14/10/2004 tratto da www.radiocittaperta.it
Aggressione e
propaganda statunitensi contro Cuba
Perché l'antagonismo degli USA
contro Cuba non accenna a diminuire?
In tempi recenti, le relazioni tra gli USA e Cuba sono andate peggiorando sempre più. Sotto l'amministrazione di George W. Bush, il boicottaggio si è fatto più severo. I gruppi di interesse americani a L'Avana hanno finanziato e diretto forme di agitazione contro il governo. Il dipartimento di Stato ha reso quanto mai stringenti le |
Michael Parenti |
limitazioni per chi desidera visitare l'isola.
Ma la cosa più inquietante è che all'inizio del 2003
gli esperti americani hanno cominciato a parlare esplicitamente di invadere Cuba
- anche se la discussione è stata temporaneamente sospesa, dopo che l'invasione
dell'Iraq si è rivelata incredibilmente costosa.
Per oltre quattro decenni, i politici di Washington hanno invariabilmente
trattato Cuba con ostilità. I governanti americani e i media a loro più fedeli
hanno propagandato ogni sorta d'informazione distorta, cercando di fuorviare il
mondo circa la loro politica aggressiva nei confronti dell'isola caraibica.
Perché?
In difesa del capitalismo globale |
Nel giugno del 1959, circa nove mesi dopo il trionfo della rivoluzione cubana,
il governo de L'Avana promulgò una riforma agraria con cui lo stato si
appropriava delle grandi proprietà terriere. A seguito di questa legge, gli
zuccherifici statunitensi persero circa 1.6 milioni di acri di ottima terra e
molti milioni di dollari di esportazioni.
L'anno successivo, il Presidente Dwight Eisenhower, menzionando "l'ostilità" de
L'Avana nei confronti degli Stati uniti, ridusse la quota delle importazioni di
zucchero cubano del 95 per cento, imponendo in pratica un boicottaggio completo
dello zucchero prodotto dallo stato cubano. Tre mesi dopo, nell'ottobre del
1959, il governo cubano nazionalizzò tutte le banche e le imprese commerciali e
industriali, molte delle quali appartenevano a compagnie statunitensi.
Dopo la transizione da un sistema di libero mercato dominato dalle imprese
americane a un'economia socialista non orientata al profitto, Cuba divenne il
bersaglio di una serie di attacchi incessanti perpetrati dalle forze di
sicurezza americane: sabotaggi, spionaggio, terrorismo, dirottamenti aerei,
sanzioni commerciali, embargo e un'invasione vera e propria. L'obiettivo di
questi attacchi era indebolire la Rivoluzione e restituire Cuba alla mercè del
capitalismo globale.
La politica degli USA nei confronti di Cuba è coerente con la più generale
politica statunitense di sovvertire tutti quei paesi che cercano una via
alternativa nell'uso della terra, del capitale, del lavoro, dei mercati e delle
risorse naturali. Tutti i paesi o i movimenti politici che enfatizzano lo
sviluppo, l'equo accesso ai servizi essenziali e la proprietà pubblica sono
condannati come nemici e diventano il bersaglio di sanzioni e di altre forme di
aggressione. Al contrario, i paesi "amici degli USA" e "filo-occidentali" sono
quelli che si mettono a disposizione dei grandi investitori americani, a
condizioni totalmente favorevoli agli interessi delle multinazionali.
Naturalmente, questo non è ciò che i politici americani dicono alla popolazione
nordamericana. Nel luglio del 1960, la Casa Bianca accusò Cuba di essere
"ostile" agli Stati uniti (nonostante il governo cubano avesse più volte cercato
di instaurare delle relazioni amichevoli). Il governo di Castro, nelle parole di
Eisenhower, era "dominato dal comunismo internazionale". I funzionari
statunitensi hanno più volte accusato il governo dell'isola di essere una
dittatura brutale, sostenendo che gli USA non avessero altra alternativa che
"restituire" la libertà al popolo cubano.
I politici americani non hanno mai spiegato perché si siano così improvvisamente
preoccupati della libertà dei cubani. Nei vent'anni antecedenti la rivoluzione,
le amministrazioni di Washington non si sono mai opposte al regime autocratico e
brutalmente repressivo del generale Fulgencio Batista. Al contrario, gli
inviavano aiuti militari, facevano affari con lui, e lo trattavano bene in ogni
senso. La differenza sostanziale tra Castro e Batista, mai espressamente
menzionata, era che Batista aprì Cuba alla penetrazione dei capitali
statunitensi. Al contrario, Castro e il suo movimento rivoluzionario tolsero
alle aziende private il controllo dell'economia, nazionalizzarono le imprese
statunitensi e rinnovarono la struttura di classe, cercando di renderla più
egalitaria.
Inutile a dirsi, gli Usa hanno applicato anche ad altri paesi i maltrattamenti
di cui è stata oggetto Cuba. Numerosi regimi, potenzialmente dissidenti, che
hanno cercato di instaurare relazioni amichevoli con gli USA, hanno ottenuto da
Washington solo abusi e aggressioni: il Vietnam, il Cile di Salvador Allende, il
Mozambico, l'Angola, la Cambogia, il Nicaragua sandinista, il Panama di Torrijo,
Grenada (sotto il movimento New Jewel), la Yugoslavia di Milosevic, Haiti (con
Aristide), il Venezuela di Hugo Chavez e molti altri.
Il modus operandi degli USA è il seguente:
cominciano a criticare il governo preso di mira per aver messo in prigione i
macellai, gli assassini, i terroristi e i torturatori del regime precedente,
spalleggiato dagli USA;
bollano il governo rivoluzionario o riformista come "totalitario" per non aver
immediatamente istituito un sistema elettorale di tipo occidentale;
lanciano attacchi ad personam contro i leader, bollandoli come fanatici,
brutali, repressivi, genocidi, assetati di potere o persino squilibrati mentali;
accusano il paese di essere una minaccia alla stabilità e alla pace regionale;
molestano, destabilizzano e impongono sanzioni per distruggerne l'economia; e
attaccano con forze surrogate, addestrate, equipaggiate e finanziate dagli Stati
uniti e comandate da membri del regime precedente, o addirittura con l'esercito
regolare statunitense.
Un'opinione pubblica manipolata |
Il modo in cui la stampa capitalista si è prestata alla crociata contro Cuba può
aiutarci a capire perché il pubblico americano sia così disinformato circa le
questioni che riguardano l'isola caraibica. Seguendo la linea ufficiale della
Casa bianca, i media istituzionali negano regolarmente che gli Stati uniti
abbiano ambizioni aggressive nei confronti di Cuba o di qualunque altro governo.
L'atteggiamento nei confronti dell'isola, dicono, è semplicemente una difesa
contro i piani di espansione del comunismo. Cuba è stata ripetutamente
condannata quale strumento dell'aggressione e dell'espansionismo sovietico. Ma
adesso che l'URSS non esiste più, Cuba è tratta ancora come un nemico mortale.
Gli atti di aggressione statunitensi - inclusa l'invasione armata - continuano a
essere magicamente trasformati in azioni difensive.
Prendiamo, per esempio, la Baia dei porci. Nell'aprile del 1961, circa 1600
emigrati cubani di destra, addestrati e finanziati dalla CIA, e assistiti da
centinaia di "consiglieri" statunitensi, invasero Cuba. Nelle parole di uno dei
loro leader, Manuel de Varona (citato nel New York Daily News dell'8 gennaio
1961), il loro obiettivo era rovesciare Castro e instaurare "un regime
provvisorio" che "restituisse tutte le proprietà ai legittimi titolari". Le voci
sull'invasione imminente si diffusero rapidamente in tutto il Centro America.
Negli Stati uniti, tuttavia, pochi erano al corrente dei fatti. Le sempre
maggiori prove sui piani di invasione vennero soppresse dalla Associated Press,
da United Press International e dai principali giornali e settimanali -
un'incredibile atto di auto-censura.
L'accusa mossa da Fidel Castro, che i governanti statunitensi avevano in
programma di invadere Cuba, venne liquidata come "pura... propaganda
antiamericana" dal New York Times e come "un piccolo melodramma di pessimo
gusto" dalla rivista Time. Quando Washington ruppe le relazioni diplomatiche con
l'isola nel gennaio 1961, il New York Times spiegò: "ad aver logorato la
pazienza degli Stati uniti è stata una nuova propaganda offensiva de l'Avana,
che ha accusato gli Stati uniti di pianificare 'un'invasione imminente' di
Cuba". In realtà, l'invasione della Baia dei porci si rivelò essere ben più che
un semplice frutto dell'immaginazione di Fidel Castro.
Tale è il predominio dell'ortodossia anti-comunista nella vita pubblica
statunitense che, dopo la Baia dei porci, non vi fu alcuna discussione critica
fra i politici americani e i media circa l'inappropriatezza morale e legale
dell'invasione. Al contrario, i commenti si occuparono solo questioni tattiche.
Vi furono vari riferimenti al "fiasco" e al "tentativo disastroso" e alla
necessità di liberare Cuba dal "giogo comunista". Non si ammise mai che
l'invasione fallì non a causa "dell'insufficiente copertura aerea", come
sostenevano alcuni degli invasori, ma perché il popolo cubano, anziché
sollevarsi al seguito delle forze contro-rivoluzionarie, come speravano i leader
americani, serrarono i ranghi a difesa della loro Rivoluzione.
Tra gli esiliati cubani presi prigionieri vicino la Baia dei porci (secondo il
governo cubano) c'erano persone le cui famiglie, nel complesso, avevano
posseduto a Cuba più di 900 mila acri di terra, 9.666 case, 70 fabbriche, 5
miniere, 2 banche e 10 zuccherifici. Erano i discendenti della classe
proprietaria privilegiata della Cuba pre-rivoluzionaria, che tornavano per
reclamare le loro ingenti proprietà. Ma i media statunitensi li presentarono
come strenui difensori della libertà - che avevano vissuto comodamente e senza
protestare troppo sotto il regime di Batista.
Perché mai il popolo Cubano avrebbe dovuto sopportare "la dittatura di Castro"?
Questa cosa negli USA non è mai stata
spiegata. La stampa statunitense non ha mai speso una parola sui progressi fatti
dai cubani dopo la Rivoluzione, sui milioni di cubani che per la prima volta
avevano accesso all'istruzione, alle cure mediche, a una casa decente, a un
lavoro ben pagato e a buone condizioni lavorative, e una serie di altri servizi
pubblici - sicuramente ben lontani dall'essere perfetti, pur offrendo
sicuramente una vita migliore delle miserie causate dal libero mercato e dal
regime di Batista e degli USA.
A causa dell'embargo statunitense, Cuba ha il più alto costo per tonnellata di
import-export al mondo; deve infatti comprare i pulmini scolastici e le medicine
dal Giappone e da altri paesi lontani. Un miglioramento delle relazioni con gli
Stati uniti garantirebbe più commercio, tecnologie, turismo e la possibilità di
ridurre le spese militari. Eppure, i tentativi fatti da l'Avana per instaurare
relazioni amichevoli sono stati respinti da tutte le amministrazioni di
Washington.
Se il governo americano giustifica la propria ostilità dicendo che Cuba è a sua
volta ostile nei confronti degli USA, quale giustificazione può addurre quando
il governo cubano cerca di essere amichevole? La risposta è cercare di
enfatizzare gli aspetti negativi. Anche quando parlano dei cordiali tentativi di
apertura da parte di Cuba, i media e i politici statunitensi continuano a
insistere sullo stereotipo di un sinistro "regime marxista" manipolatore e
aggressivo. Il 1 agosto 1984, il New York Times pubblicò un'analisi intitolata "What's
Behind Castro's Softer Tone" (Cosa si nasconde dietro i toni gentili di Castro).
Il titolo stesso suggeriva che Castro stesse tramando qualcosa. La frase di
apertura diceva: "Ancora una volta Fidel Castro parla come se volesse migliorare
le relazioni con gli Stati Uniti" ("come se", non perché di fatto lo volesse).
Secondo il NYT, Castro voleva "approfittare" del commercio, della tecnologia e
del turismo statunitense, perché "avrebbe preferito non dover spendere tanto
tempo ed energie sulla difesa nazionale". Eppure, si trattava di basi
promettenti per un miglioramento delle relazioni fra i due paesi. Fidel Castro
stava dicendo l'interesse nazionale cubano risiedeva nel migliorare le relazioni
economiche e diplomatiche con Washington e non, come sostenevano gli Stati
uniti, nell'escalation militare e in scontri aggressivi. Nonostante tutto,
l'analisi del NYT non diede alcuna importanza alle intenzioni di Fidel,
presentando invece il resto della storia dal punto di vista del governo
statunitense. Per esempio, sottolineò come i funzionari di Washington "sembrano
scettici... l'amministrazione continua a credere che il modo migliore di
trattare con il leader cubano sia con fermezza incrollabile... I funzionari
dell'amministrazione non vedono alcun vantaggio nel cedere...".
L'articolo non spiegava cosa giustificasse questo atteggiamento "scettico", né
perché una risposta negativa a Castro su tutta linea dovesse essere descritta
come "fermezza incrollabile" invece di, diciamo, "inflessibilità incrollabile".
Né diceva perché prendere seriamente in considerazione le proposte del leader
cubano significasse "cedere". L'impressione che dava l'articolo era che Fidel
Castro, affamato di potere, stesse cercando di ottenere qualcosa da noi, e che i
nostri leader non erano certo pronti a farsi ingannare. Non c'era alcuna
spiegazione di cosa avrebbero perso gli Stati uniti se avessero instaurato delle
relazioni amichevoli con Cuba.
In breve, l'atteggiamento degli USA è immune a qualunque prova. Se i Cubani
condannano l'aggressione statunitense, questo dimostra la loro ostilità e i loro
piani diabolici. Se si comportano in modo amichevole e cercano di negoziare un
accordo, mostrandosi disponibili a fare concessioni, allora si assume che stiano
tramando qualcosa, ricorrendo a ogni sorta di inganno e manipolazione. La
posizione degli USA non è smentibile: A e non-A sono la prova della stessa cosa.
Democrazia a due pesi e due misure |
I politici statunitensi hanno sempre condannato Cuba per il controllo sulla
stampa. I cubani, ci dicono, sono vittime di un indottrinamento totalitario e
non possono godere della diversità di opinioni che si troverebbero sui media
statunitensi "liberi e indipendenti". In realtà, il cubano medio ha più accesso
a fonti di notizie occidentali di quanto l'americano medio non abbia a fonti
cubane. Lo stesso avveniva nell'ex Unione sovietica. Nel 1985, il Mikhail
Gorbachev fece notare come programmi televisivi, film, libri, musica e riviste
statunitensi fossero relativamente diffusi nell'URSS, rispetto alla quasi totale
assenza di film e pubblicazioni sovietiche negli USA. Offrì di smettere di
censurare le trasmissioni di Voice of America nel suo paese, se Washington
avesse permesso a Radio Mosca di trasmettere normalmente negli USA. Il governo
americano declinò l'offerta.
Allo stesso modo, Cuba è bombardata da trasmissioni statunitensi, inclusi Voice
of America, programmi in lingua spagnola trasmessi da Miami, e una stazione
radio di propaganda americana chiamata "Radio Martì". L'Avana ha chiesto agli
Usa di concedere a Cuba una frequenza per trasmettere i propri programmi negli
Stati uniti, ma Washington si è rifiutato di farlo. Rispondendo a coloro che
denunciano la mancanza di dissenso nei media cubani, Fidel Castro ha promesso di
aprire la stampa cubana a tutti gli oppositori della Rivoluzione il giorno in
cui i comunisti americani abbiano libero accesso ai principali media americani.
Inutile dire che Washington non ha accettato l'offerta.
Cuba è stata anche condannata per non permettere alla sua gente di lasciare il
paese. Il fatto che così tante persone vogliano lasciare Cuba viene addotto come
prova del fatto che il socialismo cubano sia un sistema fortemente repressivo,
anziché del fatto che l'embargo statunitense abbia reso la vita difficile ai
cubani. Che milioni di persone vogliano abbandonare paesi capitalisti come
Messico, Nigeria, Polonia, El Salvador, Filippine, Corea del Sud, Macedonia e
moltissimi altri non viene mai usato per mettere in discussione il sistema di
libero mercato, che causa tanta miseria ai paesi del Terzo mondo.
In base a un accordo tra L'Avana e Washington, il governo cubano ha consentito
ai cubani di partire per gli USA purché disponessero di un visto statunitense.
Washington aveva promesso di concedere 20 mila visti l'anno, ma non l'ha fatto,
preferendo invece incitare le partenze illegali, che hanno un maggior valore di
propaganda. I cubani che fuggivano illegalmente su piccole imbarcazioni o con
mezzi sequestrati venivano accolti come eroi che rischiavano la vita per
sfuggire alla tirannia di Castro, ottenendo diritto di asilo negli USA. Quando
L'Avana ha annunciato che avrebbe permesso a chiunque di partire,
l'amministrazione di Clinton tornò a chiudere le frontiere, temendo un'ondata
migratoria. Adesso i politici temono che la fuga di troppi rifugiati politici
possa aiutare Castro a restare al potere, riducendo le tensioni nella società
cubana. Cuba viene condannata, sia quando permette ai suoi cittadini di andar
via sia quando lo vieta.
In mancanza di una chiara prospettiva di classe, le opinioni degli esperti su
Cuba sono basate sulle apparenze. Trovandomi a una riunione del World Affairs
Council a San Francisco, ho sentito alcuni partecipanti raccontare come,
ironicamente, Cuba sia tornata al punto in cui era prima della Rivoluzione.
Nella Cuba pre-rivoluzionaria, i migliori hotel e negozi erano riservati agli
stranieri e a quei pochi cubani che avessero dollari. Oggi è lo stesso,
osservavano sogghignando gli esperti.
Questa conclusione ignora alcune differenze cruciali. Avendo un bisogno
disperato di valuta forte, il governo rivoluzionario ha deciso di approfittare
delle meravigliose spiagge e del clima soleggiato del paese per sviluppare
l'industria del turismo. Oggi il turismo è una delle fonti principali di valuta
forte per Cuba, se non la più importante. È vero, i turisti possono permettersi
di alloggiare in hotel che la maggior parte dei cubani non possono neppure
sognare. Ma nella Cuba pre-rivoluzionaria, i profitti del turismo finivano nelle
tasche delle grandi imprese, dei generali, dei giocatori d'azzardo e dei
gangster. Oggi i profitti sono divisi fra gli investitori stranieri, che
costruiscono e gestiscono gli hotel, e il governo cubano. La quota spettante al
governo serve a pagare gli ospedali, l'istruzione, i macchinari, l'importazione
di petrolio, e così via. In altre parole, il popolo cubano si appropria di molti
dei benefici del turismo - così come di quelli delle esportazioni di zucchero,
caffé, tabacco, rum, pesce, miele, nichel e marmo.
Se Cuba fosse nelle condizioni in cui si trovava prima della Rivoluzione,
completamente asservita allo stato americano, Washington avrebbe già terminato
l'embargo e abbracciato L'Avana, come ha già fatto in una certa misura con la
Cina e il Vietnam, che stanno incoraggiando la crescita dell'investimento
privato nei settori a bassi salari. Quando il governo cubano smetterà di usare
il settore pubblico per ridistribuire una parte del proprio surplus alla
popolazione, quando permetterà a poche imprese di intascare tutta la ricchezza,
e quando restituirà le fabbriche e le terre a una ricca classe di proprietari -
come hanno fatto gli ex paesi comunisti dell'Europa dell'Est - allora sì che
tornerà indietro ai tempi precedenti la Rivoluzione, ritrovandosi ancora una
volta schiava delle privatizzazioni e del libero mercato. Solo allora verrà
accolta a braccia aperte da Washington.
Nel 1994, ho scritto una lettera al deputato Lee Hamilton, presidente del
Foreign Affairs Commitee della Camera dei rappresentanti, chiedendo con urgenza
una normalizzazione dei rapporti con Cuba. Hamilton rispose dicendo che la
politica statunitense nei confronti di Cuba doveva essere "aggiornata" in modo
da essere più efficace, e che gli Stati Uniti "avrebbero dovuto far entrare Cuba
in contatto con le idee e la pratica della democrazia... e con i benefici
economici di un sistema di libero mercato". L'embargo, continuava Hamilton, era
stato imposto per "promuovere un cambiamento democratico a Cuba e in risposta
alla confisca, su larga scala, delle proprietà americane da parte del regime di
Castro".
Inutile a dirsi, Hamilton non spiegò perché il suo governo - che aveva
appoggiato per generazioni la dittatura pre-rivoluzionaria - insistesse adesso
per instaurare sull'isola una democrazia in stile americano. La sua lettera era
però rivelatrice; in essa, Hamilton riconosceva che la politica di Washington
mirava a portare avanti la causa del "sistema di libero mercato" e a vendicare
"la confisca, su larga scala, delle proprietà americane".
Chi non crede che i politici statunitensi siano impegnati a propagare il
capitalismo dovrebbe notare come, in realtà, spingano espressamente per "riforme
orientare al mercato" in un paese dopo l'altro (inclusi, oggi, la Serbia e
l'Iraq). Non è più necessario accusare loro di avere queste intenzioni. Quasi
tutte le loro azioni e, sempre più frequentemente, le loro parole sono una
dimostrazione evidente di quello che stanno facendo. Se costretti a scegliere
fra una democrazia senza capitalismo, o un capitalismo senza democrazia, i
politici americani prediligono senza esitare il secondo, pur preferendo anche
darsi, dove possibile, una parvenza di legittimità, attraverso una "democrazia"
controllata e ben limitata.
Tutto questo dovrebbe ricordarci che i maggiori nemici della pace e della
democrazia non sono a l'Avana, ma a Washington.