Venezuela: anatomia del
terzo colpo di Stato
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18 marzo 2004 - H.Dieterich (estratto da Rebelión)
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L’avanzata del terzo colpo di Stato in Venezuela ci aiuta a capire la sua anatomia. Forse è più sofisticato della Centrale d’Intelligence statunitense (CIA) e dei mercenari di Washington dell’aprile del 2002, mette insieme elementi della distruzione del governo di Aristide in Haiti, di Allende in Cile, dei Sandinisti in Nicaragua e quelli della sovversione dei regimi del socialismo reale nell’Europa dell’est, soprattutto della Repubblica Democratica della Germania (RDA).
1. Il piano è iniziato il 27 febbraio, creando violenti focolai a Caracas, che si basavano essenzialmente sul blocco delle strade con pneumatici e rifiuti bruciati, provocando le forze dell’ordine pubblico e causando morti e feriti ad opera di franchi tiratori mercenari.
Questa prima fase della sovversione assolve due funzioni:
a) programmare mediaticamente l’opinione pubblica mondiale e nazionale con la nozione di un governo, quello del Presidente Chávez, dittatoriale e terrorista
b) distogliere dal reale obiettivo strategico degli attacchi, cioè la rimozione del Presidente Hugo Chávez.
Successivamente i focolai sono stati attivati nelle varie città dell’interno del paese, facendo riposare i mercenari della Capitale per poi farli entrare di nuovo in azione il 6 marzo.
2. Il secondo passo è consistito nella pubblica costruzione dell’alibi della Casa Bianca, compito questo, del Segretario del Dipartimento di Stato. Powell, mercoledì scorso, 3 marzo, ha detto nel Congresso statunitense, che Washington accettava i risultati del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ed il procedimento di revisione definendolo “un processo che è in marcia e che vedremo come andrà a finire quando i cittadini venezuelani potranno verificare le loro firme”.
Powell ha inoltre dichiarato che “Hugo Chávez è il presidente eletto democraticamente e gli Stati Uniti accettano questo risultato”.
Il portavoce del Dipartimento di Stato, Gonzalo Gallegos, ha specificato “ci uniamo all’appello dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) e del Centro Carter, chiedendo a tutte le parti che continuino ad impegnarsi con il Congresso Nazionale Elettorale per garantire che agisca rapidamente, in modo trasparente, rispettando i diritti costituzionali dei firmatari della richiesta del revocatorio”.
Le dichiarazioni di Powell sono servite anche a distrarre le forze sostenitrici del governo venezuelano, alcune delle quali hanno erroneamente interpretato il mezzo propagandistico come un segno di buona volontà di Bush che rispetta la sovranità del Venezuela.
3. Intanto prosegue nel paese la feroce campagna dei mass-media – con la Conferenza Episcopale Venezuelana che ha dichiarato che “le decisioni prese (dal CNE) non risolvono la crisi del paese, al contrario la radicano ancora di più e sembra che si stia giocando in modo irresponsabile con la violenza e l’eliminazione dell’altro, sotto lo spettro dell’impunità” – la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (Cidu) si è unita allo squadrone, autore della cortina di fumo internazionale, condannando il governo e lanciando “un appello urgente alla pacificazione e alla preservazione della democrazia e dello Stato di Diritto, nei termini della Convenzione Americana e della Carta Democratica”.
Il giorno prima, Amnesty International si era già espressa sulla situazione venezuelana, dicendo che “la principale responsabilità di garantire la protezione dei diritti umani di tutti i cittadini ricade fondamentalmente sul governo, ma tutti gli agenti sociali e politici sia contro o a favore del governo, devono evitare di contribuire all’incremento della violenza politica e al deterioramento della situazione dei diritti umani”.
Stranamente, il principale “agente sociale” responsabile dei danni e delle perdite umane – le televisioni e la stampa dell’oligarchia – non sono stati menzionati nel comunicato della venerabile organizzazione dei diritti umani.
4. Milos Alcalay, l’ambasciatore del Venezuela alle Nazioni Unite, è stata la successiva mossa di Washington. Già durante il colpo di Stato dell’aprile del 2002, il social-cristiano Alcalay aveva tradito il governo, offrendo al golpista Carmona, in una lettera, i suoi servigi. Inspiegabilmente gli perdonarono il tradimento permettendogli di rimanere in carica e preparando il circo della sua teatrale rinuncia del 4 marzo, a New York.
“Mi è impossibile rappresentare una diplomazia di Stato in un contesto conflittuale come quello attuale (nel paese), che nega i diritti umani, altera la democrazia e danneggia il dialogo”, ha dichiarato il diplomatico criticando ”la repressione militare e della polizia”, che ha sopportato la marcia dei mercenari del 27 febbraio; e disapprovando il lavoro del CNE perché le sue determinazioni “costituiscono una negazione della vera nozione di democrazia”, e ha chiamato alla formazione di un “governo di salvezza nazionale”.
5. Il bersaglio psicologico dell'incessante campagna televisiva interna dei canali Globovisión, il cui direttore è Alberto Federico Ravel, e Venevisión, proprietà del magnate Cisneros, è doppia: da una parte si cerca di creare nella popolazione, uno stato piscologico che faciliti la sua manipolazione e dall’altra si vuole moralmente distruggere la Guardia Nazionale (GN) che sostiene il peso dei conflitti che avvengono in strada e degli attacchi dei franco tiratori.
6. Le ultime strategie dei mercenari di Washington, sono due. Entrambi partono da una doppia premessa:
a) che non sarà possibile vincere il Presidente Chávez con elezioni pulite
b) che senza la neutralizzazione del Presidente, l’oligarchia e Washington non potranno recuperare lo Stato e i suoi beni.
7. La prima strategia consiste nell’inclinare il fragile equilibrio dinamico di potere che esiste tra i vari disordini della strada legati, attraverso la trasmissione televisiva, ai veri leaders della sovversione e la forza armata democratica che non ammazzerà i civili, a favore dei settori dell’impero e dell’oligarchia.
“Ragazzo, così è caduto il Muro di Berlino”, ha detto uno dei leader mercenari in una conversazione telefonica con i gruppi agitatori delle strade, cercando di dargli coraggio.
Se questa strategia non raggiungerà il suo obiettivo finale, probabilmente i mercenari si contenderanno, per ora, l’ottenimento di alcune concessioni da parte del CNE o del governo, che permetteranno di aprire la campagna elettorale del referendum revocatorio. In questo caso Washington investirà tutto il suo know how e le sue risorse necessarie per vincere.
8. Se questo piano fallisce, è probabile che scatti il piano “b” cioè un attacco aereo di un pilota comprato. In fondo, se si comprano diplomatici e generali, perché non si possono trovare piloti militari in vendita?
Il Palazzo dei Mirafiori, il Ministero della Difesa e il Comando dell’Esercito stanno uno accanto all’altro nella città di Caracas e quasi in linea retta. In questo modo, un cacciabombardiere F-16 o Mirage, potrebbe attaccare i tre bersagli in una sola aggressione, per rifugiarsi immediatamente dopo nelle basi aeree statunitensi in Curazao o Aruba, dove chiederebbe asilo politico.
9. Se non si riesce a neutralizzare il Presidente a breve termine, a medio termine si attiverà l’uso delle bande armate, così come è successo in Nicaragua e ad Haiti. Le basi dell’aggressione contro Nicaragua erano in Hunduras; quelle dell’aggressione contro Haiti a Santo Domingo e quelle delle bande armate che si stanno utilizzando contro il Venezuela, in Colombia.
Il governo di Bush non farà concessioni sull’imposizione di questo piano. La solidarietà internazionale dovrà avere la sensibilità e la saggezza di capire le mosse di questa partita di scacchi imperiali sovversivi, prima che vengano attuate.
Solo così si potrà dare scacco matto al grande Dipartimento del Nord.
Come successe a Cuba nel 1961, ore prima dell’invasione della Baia dei Porci.
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