Proponiamo l’articolo apparso su El Moncada n° 2 /2012 per ricordare il caso Fabio Di Celmo e la vergognosa mancanza di attenzione che l’Italia ha riservato ai suoi famigliari. Da pochi mesi è morta la mamma di Fabio, nel giorno del compleanno di suo figlio.
4 settembre: sono trascorsi 15 anni dall’attentato a La Habana che mise fine alla vita di Fabio Di Celmo, un giovane imprenditore poco più che trentenne. Sulla sua vicenda, è stato steso un vergognoso velo d’indifferenza. L’Italia non solo non ha chiesto di poter processare il mandante, ma non ha neppure fatto conoscere tramite i canali d’informazione la vicenda, tenendola praticamente segreta all’intero paese.
Fabio Di Celmo era un giovane imprenditore genovese. Seguiva il padre Giustino nei suoi viaggi a Cuba dal 1993 per trattare forniture nel campo turistico e alberghiero. Fabio e suo padre soggiornavano presso la zona di Miramar a La Habana, nelle vicinanze dell’Hotel Copacabana. L’attività dei Di Celmo si inseriva nel percorso intentato a quel tempo da Cuba per uscire dalla grave crisi economica del Periodo Especial, soprattutto tramite l’incremento del turismo. Infatti con oculati interventi di ristrutturazione e con accordi internazionali mirati alla costruzione di nuovi insediamenti, il turismo divenne per Cuba una leva fondamentale per sostenersi e per aprire la strada verso l’autonomia economica. Per inciso ora l’Isola ha superato i 2,5 milioni di turisti all’anno e viaggia a ritmi sostenuti verso i 3 milioni.
Ma ben sapendo che la nascente industria turistica stava diventando un settore strategico per Cuba, a partire dal 1997 l’Isola fu travolta da una serie di attentati dinamitardi contro le più importanti istallazioni turistiche ad opera del terrorismo anticubano. Con l’obbiettivo di ridurre al collasso l’economia per ottenere il consenso utile a far crollare il governo, allora guidato da Fidel Castro, tra i vari attentati (all’Hotel Melia Cohiba, Hotel Triton e alla famosa Bodeguita del Medio), il 4 settembre del 1997 fu piazzata una carica di esplosivo C-4 nel bar dell’Hotel Copacabana. Qui si trovava con degli amici, in attesa dell’apertura del ristorante, Fabio Di Celmo. Morì vittima dell’attentato all’età di 32 anni. Le autorità cubane arrestarono, dopo breve tempo e con una serrata indagine, il salvadoregno Raúl Cruz León come esecutore materiale. León successivamente confessò di aver agito sotto le direttive di Luis Posada Carriles, noto terrorista ed esule cubano.
Carriles vive da anni negli Stati Uniti dove aveva partecipato alla nascita della FNCA (Fondazione Nazionale Cubano-Americana), un’associazione fantoccio, sulla carta creata senza scopo di lucro per fini solidali e umanitari e che aveva come scopo principale, quello di favorire la “democrazia pluripartitica” a Cuba. Posada Carriles, l’anno seguente, rilasciò delle dichiarazioni incredibili ai giornalisti Ann Louise Bardach e Larry Rother del New York Times, attribuendosi orgogliosamente la paternità di molti attentati a Cuba e confermando i suoi legami con la CIA. Le sue testuali parole, rintracciabili nell’intervista del quotidiano, furono: “Quando posso aiutarli, lo faccio”. Il noto terrorista giustificò gli attentati organizzati a Cuba come “atti di guerra” e l’assassinio di Fabio Di Celmo come “la morte di una persona che si è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato”, aggiungendo sempre nella dichiarazione, che comunque “questo fatto non lo aveva turbato per nulla e che riusciva a dormire come un bambino”.
Nel settembre del 1999, il portavoce della Commissione dei Diritti Umani dell’ONU sul fenomeno dei mercenari, ha confermato la responsabilità di Luis Posada Carriles nella morte di Fabio Di Celmo.
Nel 2006 venne lanciato un appello firmato da Nadine Gordimer, Salim Lamrani, Noam Chomsky, Adolfo Pérez Esquivel, Gianni Minà, José Saramago e altri che non fu rilanciato dai media.
Oggi, Luis Posada Carriles, vive tranquillamente a Miami in Florida. Venne arrestato ma per il solo reato di immigrazione clandestina e il successivo processo, che ha potuto seguire in regime di libertà, lo ha visto poi assolto. Cuba e Venezuela continuano a chiederne l’estradizione perché vorrebbero processarlo per omicidio, strage e atti di terrorismo, essendo accusato di molti altri attentati nei due paesi tra cui quello all’aereo civile della Cubana de Aviación, in cui persero la vita 72 persone (compresa tutta la squadra nazionale giovanile cubana di scherma).
Nella richiesta di asilo politico al governo degli Stati Uniti, formulata per contrastare l’accusa di immigrazione clandestina, i suoi legali hanno affermato senza giri di parole che Posada Carriles ha sostenuto gli interessi degli Stati Uniti per 40 anni. Nel 2010 ha partecipato a una manifestazione pubblica a Miami in sostegno delle mercenarie Damas de blanco.
Dal giorno dell’uccisione di Fabio Di Celmo in Italia non si è quasi mai parlato della sua vicenda. Solo noi delle forze solidali con Cuba abbiamo raccontato gli eventi, cercando di informare con i nostri limitati mezzi. È vero che finalmente nel 2007 il Palamento italiano aveva approvato un ordine del giorno con cui impegnava il governo “ad adoperarsi con sollecitudine per la richiesta dell’estradizione in Italia di Posada Carriles nel caso in cui il procedimento penale attualmente in corso presso la Procura della Repubblica di Roma portasse a un’incriminazione nei suoi confronti per l’attentato terroristico a L’Avana in cui perse la vita Fabio Di Celmo” (l’ordine del giorno aveva come primo firmatario Jacopo Venier – PDCI). Ma la sollecitudine evocata è rimasta sulla carta. Quindi nonostante il meritorio intervento di Venier e la sua battaglia, rimasta l’unica bandiera con il marchio della dignità, la questione è sprofondata nelle sabbie “immobili” della politica. Dunque per esigere giustizia in nome di quel giovane genovese, lo stato italiano non si è mobilitato ulteriormente dopo quel formale impegno incagliatosi appena licenziato dal Parlamento? Fabio Di Celmo era forse un cittadino italiano di serie B? Se lo stesso attentato si fosse svolto in un qualsiasi altro paese e non a Cuba e se il mandante dell’atto di terrorismo non risiedesse – protetto – negli Stati Uniti, l’Italia avrebbe almeno picchiato i pugni sul tavolo per poterlo processare?
I cubani, che oltre a processare e condannare l’esecutore materiale assoldato da Posada Carriles, non dovevano formalmente fare di più, hanno invece messo in gioco anche altro, almeno sul piano etico e umano. Dove Fabio morì, è stato messo un bassorilievo in bronzo con la sua immagine e hanno inaugurato un torneo di calcio che si svolge tutti gli anni, dedicato a Fabio Di Celmo. Il padre Giustino da allora vive permanentemente a Cuba. “Sono anziano ma non mi stancherò di denunciare la tragica scomparsa di mio figlio a causa di uno degli atti terroristici contro Cuba. Questo paese accoglie tutti con grande simpatia, comprese diverse migliaia di turisti statunitensi che visitano l’isola aggirando il divieto e le sanzioni del loro governo. Cuba non ha mai fatto male a nessuno, non aggredisce e non minaccia nessuno. Perché gli Stati Uniti non cessano le loro provocazioni e aggressioni contro Cuba? Purtroppo ho constatato che l’opinione pubblica occidentale è completamente disinformata da sistematiche campagne di stampa menzognere”.
Il regista Angelo Rizzo, aveva presentato nel 2007 il film “Quando la verità si sveglia”, sul terrorismo contro Cuba e sull’uccisione di Fabio di Celmo.
Nel libro “IL RAGAZZO DEL COPACABANA” di Acela Caner Román, pubblicato in italiano dalle Edizioni ACHAB di Verona, vengono raccontati quei tragici avvenimenti e le fasi della campagna di terrorismo contro Cuba. I Cinque Eroi cubani nelle carceri statunitensi, per la cui liberazione ci battiamo da tredici anni, indagavano all’interno dei gruppi terroristici anti-cubani di Miami proprio per contrastare nuovi atti di violenza omicida contro Cuba. I due casi d’ingiustizia non sono per nulla separati tra loro, sono uniti da un denominatore comune: la violenza contro Cuba. La volontà di far smettere un’esperienza sociale che è di cattivo esempio.
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Nasce dal desiderio di dignità, oltre che da quello di giustizia, la necessità di lanciare l’invito a non far passare altro tempo, altri quindi anni come questi. Servirebbe un gesto minimo come far riprendere il cammino alla richiesta di processare chi è responsabile di tanta calcolata violenza. Questo è un invito a trovare almeno tra di noi le forze per tentare di non lasciare sepolta per sempre, come i resti di Fabio, anche la nostra umanità. Mobilitiamoci. Mentre ci prepareremo per organizzare la Manifestazione proclamata dalla nostra Associazione, prevista per il 27 ottobre a Milano, cerchiamo di mettere ancora in primo piano la “Questione Fabio Di Celmo”. Anche perché è una questione nostra. Portiamola nella Manifestazione, cerchiamo di sensibilizzare alla vicenda più mezzi informativi possibile. Quindici anni fa non esisteva ad esempio l’uso attuale della rete con divulgazioni anche dal basso. Non esistevano i social network. Inventiamoci anche solo un semplice volantino da far girare come una trottola in ogni modo, con poche chiare parole di riferimento per creare la curiosità di chi potrebbe –si spera – rimanere colpito dal fatto che l’Italia non reclami giustizia per l’assassinio di un suo cittadino.