Rotte di volo 2: tempi di crisi

Javier Gomez Sanchez  https://jovencuba.com 

Crisi dei Balseros. 1994

balsaLa dissoluzione dell’Unione Sovietica e la transizione al capitalismo nell’Europa orientale provocò una catastrofica caduta del tenore di vita, a Cuba, che durante gli anni ’80 era andato in relativo aumento. Il paese entrò in una situazione di penuria generalizzata che solo conobbe l’Europa del dopoguerra.

Dopo diversi scontri nella capitale il governo cubano decise di non impedire la migrazione illegale via mare, solo si sarebbe continuato a vigilare la frontiera terrestre con gli USA, che costituisce la Base Navale di Guantánamo.

Gli indici di migrazione illegale s’impennarono. Migliaia di tentativi si realizzavano, ogni giorno, dalla costa settentrionale dell’isola. Cercare di attraversare lo Stretto della Florida, in rustiche imbarcazioni, costò la vita di un numero ancora non pubblicato e probabilmente indeterminato di cubani. Nuovi accordi migratori posero fine ufficialmente alla migrazione illegale che evolse in varie forme clandestine ed in reti di traffico di persone altamente criminali e lucrative.

Decadi del 90 e 2000.

In pochi anni centinaia di migliaia di cubani uscirono dal paese per stabilirsi, con migliore o peggior fortuna, negli USA e nel resto del mondo. Si formarono grandi comunità cubane in Spagna, Canada, Messico, Italia e molti altri paesi. Emigrare divenne, da allora come mai prima, un paradigma per tutti i cubani, anche dall’infanzia. Nella Cuba della terribile crisi del Periodo Speciale significava, quasi assolutamente, un’esistenza migliore. L’idea che andarsene da Cuba significava una vita più felice s’installò con tale forza che ancora oggi fa parte della mentalità popolare. La mancanza di futuro e la vita in un paese in cui le azioni più semplici come fotocopiare un documento o acquistare l’articolo o alimento più ordinario fossero angustiosamente difficili rendevano la vita, a Cuba, insopportabile. Molti di questi elementi si mantengono nella psiche sociale dei cubani, nonostante l’evoluzione che ha avuto la realtà sull’isola e le crisi che affliggono le destinazioni migratorie.

La Crisi dei Balseros, nel 1994, così come la migrazione della decade ’90 e parte del 2000, significò un enorme sollievo politico per il governo sopraffatto e reso incapace, da fattori propri ed esterni, di fornire una vita migliore ai propri cittadini. A tutto questo si aggiungeva che la maggior parte degli emigranti manteneva legami familiari sull’isola ciò che fece delle rimesse una delle maggiori fonti di valuta per l’economia nazionale.

Migliaia di case abbandonate rimasero disponibili ogni anno. Essendo illegale vendere gli immobili, il marchio alle porte di dette case divenne qualcosa di noto, e molte famiglie di funzionari, dannificati e altri ricevettero le chiavi di case arredate, con i vestiti negli armadi e cibo scaduto nel frigorifero. In alcuni casi scoprirono, persino, il putrefatto spettacolo della tavola imbandita non consumata in una casa dove gli inquilini furono precipitosamente avvisati per effettuare la partenza illegale per la quale avevano pagato.

Costi nella Cuba di oggi.

Durante i primi decenni della Rivoluzione la disponibilità di risorse umane erano abbondanti. La popolazione analfabeta o poco istruita costituiva una grande riserva che i piani educativi prepararono per lo sviluppo di settori, fino ad allora, quasi inesistenti come la scienza, sport, tecnologia, difesa, arti, ed industria. La crescita demografica, nella seconda metà del XX secolo, ha significato il salto da 6 a 11 milioni di abitanti. Con l’aumento della popolazione non solo aumentarono le potenzialità produttive, ma anche le necessità di consumo di base per l’accesso completo che promuoveva il sistema socialista. Una forza lavoro con progressive mete di qualificazione si sforzava di realizzare la produzione del necessario, nella misura del possibile. Il sostegno dell’Unione Sovietica e del resto del campo socialista fu vitale.

A distanza di anni le condizioni sono diverse. Il fenomeno della migrazione interna, dalle aree rurali alla città, esistente da prima ma impennatosi con la Rivoluzione ha generato livelli allarmanti di carenza di forza lavoro giovane in aree di coltura, potenziale o in sfruttamento.

In una congiuntura mondiale, in cui milioni di migranti e rifugiati si accumulano ai confini del primo mondo, Cuba non ha una vita economica né condizioni politico-sociali che siano attraenti e facciano di essa una meta migratoria. Rimane un paese eminentemente fornitore di emigranti e non si profila la possibilità di un cambiamento in questo senso. Le attuali condizioni neppure incoraggiano particolarmente il ritorno di cittadini emigrati come hanno fatto vari paesi, incorporandoli nel loro progetto di sviluppo nazionale.

Le cifre di cubani che, ogni anno, abbandonano il paese fluttua tra i 25000 ed i 35000. Principalmente per ragioni economiche, ma l’economia non fa forse parte della politica? Affermare, categoricamente, che le ragioni migratorie dei cubani sono esclusivamente economiche è così erroneo come trattarli da ‘perseguitati politici’ quando non lo sono. Proprio l’inesistenza di politiche volte al benessere e alla facilità di tutti i giorni, un ingranaggio burocratico che sembra diretto a complicare l’esistenza delle persone, la scarsezza di canali legali per la realizzazione materiale e lo sviluppo economico, la ristrettezza e frustrazione degli orizzonti individuali e collettivi, l’impossibilità o il fallimento di progetti personali o di gruppo, la mancanza di meccanismi per l’acquisto di case al di là della compravendita diretta, la difficoltà di studi in un sistema educativo la cui unica agevolazione è la gratuità, il mal funzionamento di quasi tutto, l’aggressività del quotidiano, la bruttezza impiantata sottocchio, la precarietà elevata al rango di mentalità sociali, la corruzione dilagante, un’emarginazione che ha invaso tutte le sfere della vita e la mancanza di prospettive di cambiamento per tutto ciò frulla nella mente di ciascuno dei cubani che emigrano.

Rivedere l’impatto del fenomeno migratorio e rivalutare le sue conseguenze in una società invecchiata è un dovere cosciente delle scienze sociali cubani.

La Legge di Aggiustamento Cubano scomparirà, la migrazione cubana no. Tale legge solo agevola entro i confini di un solo paese.

La dialettica ci condurrà nel distinguere tra i tempi in cui fu un prodotto degli eventi, una conveniente conseguenza o un necessario sollievo e quando smise di esserlo.

Essere un paese che vuole essere abitato dai suoi cittadini è una delle grandi sfide politiche per la Cuba del XXI secolo.

(I parte)

Rutas de vuelo 2: tiempos de crisis

Crisis de los Balseros. 1994

La disolución de la Unión Soviética y la transición al capitalismo en la Europa del Este provocó una caída catastrófica del nivel de vida en Cuba que durante la década del 80 había ido en relativo aumento. El país entró en una situación de penuria generalizada que solo conoció la Europa de la Postguerra. Luego de varios disturbios en la capital el gobierno cubano decidió no impedir la migración ilegal por vía marítima, solo se seguiría velando por la frontera terrestre con los Estados Unidos que constituye la Base Naval de Guantánamo.

Los índices de migración ilegal se dispararon. Miles de intentos, se realizaban cada día desde la costa norte de la isla. Tratar de cruzar el Estrecho de la Florida en embarcaciones rústicas cobró la vida de un número aún no publicado y probablemente indeterminado de cubanos. Nuevos acuerdos migratorios pusieron fin oficialmente a la migración ilegal que fue evolucionando a diversas formas clandestinas y en redes de tráfico de personas altamente criminales y lucrativas.

Décadas del 90 y 2000.

En pocos años cientos de miles de cubanos salieron del país para instalarse con mejor o peor suerte tanto en Estados Unidos como el resto del mundo. Se formaron grandes comunidades cubanas en España, Canadá, México, Italia y muchos otros países. Emigrar se convirtió a partir de entonces como nunca antes en un paradigma para todo cubano incluso desde la niñez. En la Cuba de la terrible crisis del Período Especial salir de Cuba significaba casi absolutamente una existencia mejor. La idea de que irse de Cuba significaba per se una vida más feliz se instaló con tal fuerza que aún hoy forma parte de la mentalidad popular. La falta de futuro así como la vida en un país donde las acciones más simples como fotocopiar un documento o comprar el artículo o alimento más ordinario eran angustiosamente difíciles hacían la vida en Cuba sicológicamente insoportable. Muchos de esto elementos se mantienen en la psiquis social de los cubanos a pesar de la evolución que ha tenido la realidad en la Isla y la crisis que azota los destinos migratorios.

La Crisis de los Balseros en 1994, así como toda la migración de la década de los 90 y parte de los 2000, significó un alivio político enorme para un gobierno agobiado e incapacitado por factores propios y externos de brindar una vida mejor a sus ciudadanos. A todo esto se agregaba que la mayoría de los emigrantes mantenía vínculos familiares en la Isla lo que hizo de las remesas una de las mayores fuentes de divisas para la economía nacional.

Miles de viviendas abandonadas seguían quedando disponibles cada año. Siendo ilegal vender los inmuebles, el sello en las puertas de estas llegó a ser algo conocido, y muchas familias de funcionarios, damnificados y otros recibieron las llaves de casas amuebladas, con ropa en los closets y comida vencida en el refrigerador. En algunos casos descubrieron incluso el putrefacto espectáculo de la mesa servida sin consumir en una casa donde sus inquilinos fueron avisados precipitadamente para efectuar la salida ilegal por la que habían pagado.

Costos en la Cuba de hoy.

Durante las primeras décadas de la Revolución la disponibilidad de recursos humanos era abundante. La población analfabeta o con poca instrucción, constituía una gran reserva que los planes educativos prepararon para el desarrollo de sectores casi inexistentes hasta entonces como la ciencia, el deporte, la tecnología, la defensa, las artes, y la industria. El crecimiento demográfico de la segunda mitad del siglo XX, significó el salto de 6 millones de habitantes a 11 millones. Con el aumento de la población no solo crecieron las potencialidades productivas si no también las necesidades de consumo básico por el acceso pleno que promovía el sistema socialista. Una fuerza de trabajo con progresivas metas de calificación se esforzaba por lograr la producción de lo necesario en la medida de lo posible. El apoyo de la Unión Soviética y el resto del campo socialista fue vital.

Años después las condiciones son diferentes. El fenómeno de la migración interna del campo a la ciudad, existente desde antes pero disparado con la Revolución ha generado niveles alarmantes de escasez de fuerza laboral joven en zonas de cultivo potenciales o en explotación.

En una coyuntura mundial en que millones de migrantes y refugiados se acumulan en las fronteras del primer mundo, Cuba no cuenta con una vida económica ni con condiciones político-sociales que sean atractivas y hagan de ella un destino migratorio. Continúa siendo un país eminentemente emisor de migrantes y no se avizora la posibilidad de un cambio en este sentido. Las condiciones actuales tampoco favorecen especialmente el retorno de ciudadanos emigrados como han hecho varios países incorporándolos a su proyecto de desarrollo nacional.

Las cifras de cubanos que cada año abandonan el país fluctúan entre los 25 000 y 35 000. Principalmente por razones económicas ¿Pero acaso la economía no es parte de la política? Afirmar categóricamente que las razones migratorias de los cubanos son exclusivamente económicas es tan desacertado como tratarlos de ¨perseguidos políticos¨ cuando no lo son. Precisamente la inexistencias de políticas orientadas al bienestar y la facilidad cotidiana, un engranaje burocrático que parece dirigido a dificultar la existencia de las personas , la escasez de vías legales para la realización material y el desenvolvimiento económico, la estrechez y frustración de horizontes individuales y colectivos, la imposibilidad o el fracaso de proyectos personales o grupales, la inexistencia de mecanismos para adquirir viviendas más allá de la compraventa directa, la dificultad de estudios en un sistema educativo cuya única facilidad es la gratuidad, el malfuncionamiento de casi todo, la agresividad del día a día, la fealdad implantada a la vista, la precariedad elevada al rango de mentalidad social, la corrupción galopante, una marginalidad que ha invadido todos los ámbitos de la vida y la falta de perspectivas de cambio para todo eso van en la mente de cada uno de los cubanos que emigran.

Revisar el impacto del fenómeno migratorio y reevaluar sus consecuencias en una sociedad envejecida es un deber consciente de las ciencias sociales cubanas.

La Ley de Ajuste Cubano desaparecerá, la migración cubana no. Esa ley solo la facilita dentro de las fronteras de un solo país.

La dialéctica nos guiará al distinguir entre momentos en que fue un producto de los acontecimientos, una consecuencia conveniente, o un alivio necesario y cuándo dejó de serlo.

Ser un país que quiera ser habitado por sus ciudadanos es uno de los grandes retos políticos para la Cuba del siglo XXI.

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