Il cubano Antonio Veciana è stato una spia della CIA che dedicò la sua vita a cercare di ammazzare Fidel Castro e destabilizzare il governo cubano. A 88 anni, dice che la sua “è la storia di un fallimento”. E lo racconta con rabbia e senza pentimenti.
“Io ero un improbabile terrorista. Ero magro, asmatico ed ero pieno di insicurezze”, dice Veciana nel suo libro, “Trained To Kill” (Allenato per ammazzare), scritto con il giornalista Carlos Harrison e pubblicato da Skyhorse Publishing.
Dopo, di persona, chiarisce: “Il lavoro che io facevo è quello che fanno i terroristi. Però, a quell’epoca, non lo chiamavano così.”
È seduto nel soggiorno della casa a Miami di sua figlia, Ana, con cui vive. C’è un deambulatore al suo fianco.
E, tra le sue mani, il libro nel quale racconta come l’agente della CIA David Atlee Phillips (che lui conosceva come “Bishop”) lo reclutò nel 1959 e l’allenò a L’Avana per ammazzare Castro, che morì l’anno scorso per cause naturali.
“Bishop mi invitò a pranzare. Era facile, non doveva convincermi molto del pericolo che era Cuba col suo comunismo”, racconta. “E mi allenai per fare tutto il lavoro che dovetti fare.”
Ero contabile della Banca Nazionale di Cuba, ma gli insegnarono ad essere invisibile, a pianificare, ad essere negligente ed a diffidare.
“Al principio, l’idea era destabilizzare”, racconta. “Nei paesi dove c’è destabilizzazione, la gente crede alle chiacchiere. Quello era il mio lavoro, creare le dicerie.”
“Ed inoltre il cubano è molto propenso a credere qualunque cosa. Uno tirava fuori una circolare e la gente ci credeva.”
La circolare più famosa è stata un presunto disegno di legge secondo cui il governo avrebbe tolto ai genitori la patria potestà dei loro figli.
“Allora i genitori inviarono circa 14.000 persone qui”, a Miami. “Molti si riunirono dopo coi loro figli, ma altri non poterono vederli più, perché morirono o non poterono uscire dal paese.”
Questo esodo passò alla storia come “l’Operazione Peter Pan”. Tra il 1960 ed il 1962, i genitori inviarono fuori da Cuba i loro figli attraverso le pratiche fatte dalla Chiesa Cattolica. I bambini senza accompagnatori adulti erano ricevuti in accampamenti in Florida.
Si è pentito Antonio Veciana di essere il colpevole della separazione di migliaia di famiglie?
“Io non mi pento, in realtà. Magari sono un irresponsabile, ma quello che ho fatto è stato per convinzione. Ero convinto in quel momento che stavo facendo la cosa corretta, cosicché lo tornerei a fare.”
Esagerazioni militari
Veciana si esiliò negli Stati Uniti nel 1961, dovuto ad un fallito attentato contro Castro che facilmente segnalava alle autorità la sua colpevolezza.
Dopo, quando fu contattato da Bishop a Miami, fondò il gruppo paramilitare anticastrista “Alpha 66” che negli anni ’60 e ’70 “faceva azioni commando e manteneva la lotta contro il comunismo.”
“Quegli attacchi fomentavano una speranza. Quando si pubblicavano sulla stampa, c’era euforia. La gente manteneva ancora la speranza che avrebbe potuto vincere la battaglia.”
“Ma si esagerava sempre. Quando uno attacca una barca, forse sparava 20 colpi ad una certa distanza, ma diceva poi che si spararono più colpi da più vicino e che aveva ferito la gente della parte contraria…”
Come molti cubani della sua età, Veciana mantiene fresco il rancore verso l’allora presidente John F. Kennedy, perché “tradì” gli esiliati quando ritirò l’appoggio militare alla fallita invasione della Baia dei Porci nel 1961.
Questo “tradimento”, secondo lui, fu riscosso dalla CIA. Veciana assicura di avere visto il suo “addetto”, Bishop, riunito con Lee Harvey Oswald tre mesi prima dell’assassinio di Kennedy in Texas, nel 1963. Ma Oswald fu poi identificato come se avesse attaccato da solo.
Un seguente tentativo di ammazzare Castro in Santiago del Cile è stato un altro fallimento. Anni dopo, Vaciana dovette abbandonare un altro attentato. Il suo sforzo per screditare Ernesto “Che” Guevara dopo la sua morte in Bolivia, non risultò. La leggenda del rivoluzionario argentino scappò alla CIA dalle mani.
“Realmente tratto di non pensare molto a tutto ciò, perché la mia è la storia di un fracasso. Quando uno fallisce per circostanze differenti sente che non ha fatto la cosa corretta, o che la sorte non l’aiutò, ma si sente un fallito.”
E nel 1979 gettò la spugna.
(Con informazioni di AFP)
traduzione di Ida Garberi