Javier Calderon Castillo (CELAG) https://islamiacu.blogspot.com
Con il golpe giudiziario che cerca di imprigionare l’ex presidente Rafael Correa, il governo ecuadoriano dimostra l’urgenza (quasi la disperazione) d’impedire che l’ex presidente ritorni a presentarsi, come candidato, alle elezioni municipali del 2019. Anche per impedire di continuare a guidare la riorganizzazione del movimento cittadino anti-neoliberale che è in via di gestazione dopo la vertiginosa svolta a destra di Lenin Moreno. Stanno facendo appello ad una guerra giudiziaria senza quartiere, mostrando il volto autoritario ed antidemocratico del presidente. La pressione della destra all’interno e degli USA all’esterno li ha costretti a togliersi la maschera, amabile e di sinistra, inservibile per applicare a fondo il processo di rigenerazione neoliberale e di sottomissione agli USA, che contiene misure politiche ed economiche che porteranno l’Ecuador al ritorno al passato neoliberale [1].
Il sommario giudiziario da cui si accusa Rafael Correa è realmente kafkiano. Il processo di lawfare che si svolge in Ecuador ha profili particolari perché il governo ha dovuto distorcere l’istituzione giudiziaria esistente (per alcuni illegalmente). La cattura del Consiglio di Partecipazione (CPCC) designato da Moreno -a partire dal referendum- è stato un passo essenziale per il cambio nella istituzione giudiziaria e nello sviluppo della persecuzione giudiziaria di Correa. Il CPCC, in soli tre mesi, ha destituito il procuratore generale ed il Presidente del Consiglio Giudiziario, aprendo la strada affinché il governo, sostenuto dai banchi della destra, togliesse l’immunità presidenziale a Correa, con una dubbia azione dell’Assemblea Nazionale [2].
Moreno e le élite ecuadoriane stanno andando dappertutto, come lo dimostra la distruzione delle istituzioni al fine di garantire la condanna di Correa, in un processo giudiziario costruito sulle stesse grossolane basi di sospetti, falsi testimoni ed inesistenza di prove, che in Brasile mantengono imprigionato l’ex presidente Lula -per il presunto possesso di un immobile, che non è mai stato registrato a suo nome né dei suoi famigliari-, che in Argentina sostengono la causa per “tradimento della patria” contro l’ex presidentessa Cristina Fernandez.
E’ una guerra giudiziaria con molteplici obiettivi [3]: delegittimare la gestione governativa di Correa, impedire il suo ritorno alla politica, porre fine alla sua immagine pubblica, e rinviare -o cercare di impedire- una prevedibile crisi di governabilità, nella misura in cui si avvicinano le prossime elezioni, nel 2019, dei governi sezionali e del potente CPCC-. [4]
Chiavi del processo
Dall’anno scorso, appena in carica l’attuale presidente, il racconto del governo è stata lottare contro la corruzione per ripulire “la pesante eredità” del “correísmo”. Mediante successive approssimazioni, si è avvicinato a delegittimare Rafael Correa, con processi giudiziari contro militanti di Alianza País, specialmente contro funzionari ed ex funzionari governativi. Usarono la patente corsara creata dalla mega-causa mediatica delle tangenti di Odebrecht per arrestare il vicepresidente, Jorge Glas, ed intimidire i sostenitori di Correa. L’obiettivo: abbattere gli ostacoli per la convocazione del referendum legalizzatore del mandato neoliberale – realizzato lo scorso febbraio- ciò che ha permesso a Moreno designare, a sua convenienza, il CPCC e porre termine alla figura della rielezione presidenziale [5] .
Ottenuta la prima purga di funzionari -in cui è caduto il vice presidente Glas-, e la costruzione della storia di corruzione del governo Correa, Moreno è passato alla fase accelerata di rottura istituzionale, con la nomina di persone di sua fiducia nel CPCC. Da lì hanno hanno orchestrato la totale cattura del potere giudiziario, la destituzione del procuratore Carlos Baca e del Presidente del Consiglio Giudiziario, Gustavo Jalkh, ed altri quattro consiglieri vocali [6]. Azioni destituenti che hanno permesso a Moreno di tenere intrappolato il potere giudiziario per pubblicamente intimidire e infangare le forze anti-neoliberali.
Il passo successivo è stato quello di torcere il regolamento del Potere Legislativo, per -con un’operazione politica- garantire che l’Assemblea Nazionale si dichiarasse incompetente a trattare il ‘caso Balda’ decisione che è stata interpretata dagli organi giurisdizionali ordinari come via libera per perseguire l’ex presidente. Gli hanno tolto l’immunità presidenziale de facto senza che sia stato discusso e deciso da maggioranze qualificate come richiesto dalla legge -dopo averlo tentato, senza successo, un giorno prima, in una sessione straordinaria, citata dalla presidenza dell’Assemblea-.
Alcuni possibili scenari
Rafael Correa non è sconfitto. Il rifiuto della persecuzione contro di lui è iniziato a crescere con la mobilitazione del 5 luglio scorso, che ha traboccato le strade di Quito per esigere dal governo di cessare l’operazione giudiziaria. Un importante settore della cittadinanza lo sostiene, come è stato dimostrato nel referendum, dato che circa il 36% dell’elettorato l’ha sostenuto. A questa base correista si andranno sommando altri settori colpiti dalla svolta neoliberale del governo -benché non si identifichino con l’ex-presidente in quanto le misure di “austerità” e l’incerto piano economico finiranno per rompere la quiete (e certa compiacenza) che mantengano le centrali dei lavoratori ed il movimento sociale.
Si prepara lo scenario delle elezioni comunali e del Consiglio di Partecipazione, dove Moreno e Correa misureranno le forze. Sarà un momento di scontro nei territori, che può iniziare a decantare la disputa politica che ha distrutto il movimento di Alianza País; un impegno a favore o contro il neoliberalismo. Queste elezioni possono dare origine ad una nuova forza cittadina che intenda assumere il controllo degli strategici spazi elettorali che riconfigurano la mappa politica ecuadoriana.
Potrebbero anche mostrare l’effetto elettorale della campagna anticorreista (giudiziaria e mediatica), che può essere contrario agli obiettivi di Moreno. Esistono esempi vicini: in Brasile, un Lula prigioniero è il candidato preferito da parte dei cittadini per essere eletto, ancora una volta, come presidente; ed in Argentina c’è un picco nell’intenzione di voto per Cristina Fernandez. La persecuzione giudiziaria è dannosa per le persone, ma non definitiva per farla finita con i progetti in lotta.
E’ uno scenario incerto per Lenin Moreno, poiché non è chiaro che la campagna di lawfare, scatenata contro Correa ed i settori anti-neoliberali -realizzata al limite dell’illegalità e della finzione-, impediscano una crisi di governabilità guidata e scatenata dagli interessi di potere dalla destra di Lasso e Nebot. In breve, a loro non piace Moreno, sebbene agisca da intermediario e normalizzatore delle relazioni tra il governo ed il potere oligarchico. La destra vuole assumere direttamente le redini del governo.
A Lenin Moreno gli si esaurisce la risorsa mediatica della “pesante eredità” e deve iniziare a mostrare le opere del governo. Ogni volta avranno meno effetto le denunce contro Correa ed i suoi alleati; si cominceranno ad imporre la realtà economica e politica; senza una forte coalizione di governo e con una eclettica proposta di piani da eseguire. Se i temi dell’orientamento dell’economia e della politica ecuadoriana sono messi al centro dell’agenda di discussione, a Moreno terminerà il tempo di governare usando lo specchietto retrovisore.
L’ex presidente Correa ha credibilità nella comunità internazionale; ha suscitato l’appoggio del progressismo in tutto il mondo ed il suo status di statista si impone alla virulenza con cui viene trattato da Lenin Moreno. La popolazione dell’Ecuador non dimenticherà i dieci anni di cambi democratici e di progresso economico raggiunti dalla Rivoluzione Cittadina, che ha fatto rivivere un paese prospero, forte e con potenzialità autonome dal potere straniero e dalle corporazioni bananiere che, in precedenza, lo hanno governato.
Sembra venire il momento del reale scontro politico: a favore o contro il neoliberalismo, che rimpiazzerà l’astuta strategia dell’accanimento personale -efficace a breve termine- contro gli ex-presidenti progressisti, ma non abbastanza definitivo per porre fine al proposito di giustizia sociale di ampi settori cittadini.
- Lawfare come “la strategia di usare – per un bene o un male maggiore, come se fosse una tecnica neutrale – la legge come sostituto dei mezzi tradizionali per ottenere la vittoria sugli obiettivi militari”, cioè per portare la guerra a un altro livello, quello giudiziario.
El libreto del “lawfare” contra Rafael Correa
Javier Calderón Castillo (CELAG)
Con el golpe judicial que pretende encarcelar al ex-presidente Rafael Correa, el Gobierno ecuatoriano demuestra la urgencia (casi desesperación) para impedir que el ex-mandatario regrese a presentarse como candidato a las elecciones municipales del 2019. También para evitar que siga al frente de la reorganización del movimiento ciudadano antineoliberal que se viene gestando tras el vertiginoso giro a la derecha de Lenin Moreno. Están apelando a una guerra judicial sin cuartel, mostrando el rostro autoritario y antidemocrático del presidente. La presión de la derecha en lo interno y de los EE.UU. desde lo externo, le obligó a quitarse su máscara amable y de izquierdas, inservible para aplicar a fondo el proceso de regeneración neoliberal y de sumisión a los EE.UU., que contiene medidas políticas y económicas que llevarán al Ecuador de regreso al pasado neoliberal[1].
El sumario judicial por el cual se acusa a Rafael Correa es realmente kafkiano. El proceso de lawfare que se desarrolla en Ecuador tiene ribetes particulares porque el Gobierno tuvo que torcer la institucionalidad judicial existente (para algunos, de forma ilegal). La captura del Consejo de Participación (CPCC) designado por Moreno -a partir del referéndum- fue un paso esencial para el cambio en la institucionalidad judicial y el desarrollo de la persecución judicial a Correa. El CPCC, en tan sólo tres meses, ha destituido al fiscal general y al presidente del Consejo de la Judicatura, abriendo el camino para que el Gobierno, apoyado por las bancadas de derecha, le quitara el fuero presidencial a Correa, con una dudosa acción de la Asamblea Nacional[2].
Moreno y las élites ecuatorianas están yendo por todo, como lo demuestra la destrucción de las instituciones para garantizar la condena de Correa, en un proceso judicial construido sobre las mismas burdas bases de sospechas, testigos falsos e inexistencia de pruebas, que en Brasil tienen preso al ex-presidente Lula -por la supuesta posesión de un inmueble, que nunca ha estado registrado a su nombre ni de sus familiares-, que en Argentina sustentan la causa por “traición a la patria” contra la ex-presidenta Cristina Fernández.
Es una guerra judicial con múltiples objetivos[3]: deslegitimar la gestión gubernamental de Correa, impedir su retorno a la política, acabar con su imagen pública, y aplazar -o tratar de impedir- una crisis de gobernabilidad -previsible, en la medida en que se acerquen las próximas elecciones en el 2019 de Gobiernos seccionales y del poderoso CPCC-.[4]
Claves del proceso
Desde el año pasado, recién asumido el actual presidente, el relato de Gobierno ha sido luchar contra la corrupción para limpiar “la pesada herencia” del “correísmo”. Mediante aproximaciones sucesivas fue acercándose a deslegitimar a Rafael Correa, con procesos judiciales a militantes de Alianza País, en especial, contra funcionarios y ex-funcionarios gubernamentales. Usaron la patente de corso creada a partir de la mega-causa mediática de las coimas de Odebrecht para apresar al vicepresidente Jorge Glas y amedrentar a partidarios de Correa. El objetivo: derribar los obstáculos a la convocatoria del referéndum legalizador del mandato neoliberal -que se realizó el pasado mes de febrero-, lo que le permitió a Moreno designar a su conveniencia al CPCC y acabar con la figura de la reelección presidencial[5].
Logradas la primera purga de funcionarios -en la que cayó el vicepresidente Glas-, y la construcción del relato de la corrupción del Gobierno de Correa, Moreno pasó a la fase acelerada de quiebre institucional, con el nombramiento de personas de su confianza en el CPCC. Desde allí instrumentaron la captura total del Poder Judicial, al destituir al fiscal Carlos Baca y al presidente del Consejo de la Judicatura, Gustavo Jalkh, y a otros cuatro consejeros vocales[6]. Acciones destituyentes que le permitieron a Moreno tener atrapado al Poder Judicial para amedrentar y enlodar públicamente a las fuerzas antineoliberales.
El paso siguiente fue torcer el reglamento del Poder Legislativo para -con una operación política- lograr que la Asamblea Nacional se declare incompetente para tratar el “caso Balda”, decisión que fue interpretada por la Justicia ordinaria como la vía libre para enjuiciar al ex-presidente. Le quitaron el fuero presidencial de facto sin que haya sido discutido y decidido por mayorías cualificadas como lo exige la ley -después de intentarlo sin éxito un día antes en una sesión extraordinaria, citada por la presidencia de la Asamblea-.
Algunos escenarios posibles
Rafael Correa no está derrotado. El rechazo a la persecución en su contra empezó a crecer con la movilización del 5 de julio pasado, que desbordó las calles de Quito para exigir al Gobierno el cese de la operación judicial. Un sector importante de la ciudadanía lo apoya, como quedó demostrado en el referéndum, pues cerca del 36 % del electorado lo apoyó. A esta base correísta se irán sumando otros sectores, afectados por el giro neoliberal del Gobierno -así no se identifiquen con el ex-presidente- puesto que las medidas de “austeridad” y el incierto plan económico del Gobierno terminarán rompiendo la quietud (y cierta complacencia) que mantienen las centrales de trabajadores y el movimiento social.
Se prepara el escenario de las elecciones municipales y del Consejo de Participación, donde medirán fuerzas Moreno y Correa. Será un momento de confrontación en los territorios, que puede empezar a decantar la disputa política que destrozó el movimiento Alianza País, una puja en favor o en contra del neoliberalismo. Estas elecciones elección pueden hacer surgir una nueva fuerza ciudadana que se proponga tomar el control de estratégicos espacios electorales que reconfiguren el mapa político ecuatoriano.
Podrían también mostrar el efecto electoral de la campaña anticorreísta (judicial y mediática), que puede ser contrario a los objetivos de Moreno. Existen ejemplos cercanos de ello: en Brasil, un Lula preso es el candidato preferido por la ciudadanía para ser elegido nuevamente como presidente, y en Argentina existe un repunte en la intención de voto para Cristina Fernández. La persecución judicial es dañina contra personas, pero no definitiva para acabar con proyectos en disputa.
Es un escenario incierto para Lenin Moreno, pues no está claro que la campaña de lawfare desatada en contra de Correa y los sectores antineoliberales -realizada al límite de la ilegalidad y la ficción- impidan una crisis de gobernabilidad liderada y desatada por los intereses de poder de la derecha de Lasso y Nebot. En definitiva, éstos no gustan de Moreno, aunque les esté sirviendo de intermediador y normalizador de las relaciones entre el Gobierno y el poder oligárquico. La derecha quiere asumir directamente las riendas del Gobierno.
A Lenin Moreno se le agota el recurso mediático de “la pesada herencia”, y debe empezar a mostrar obras de Gobierno. Tendrán cada vez menos efecto las denuncias en contra de Correa y sus aliados; se empezarán a imponer la realidad económica y política, sin una fuerte coalición de Gobierno y con una ecléctica propuesta de planes a ejecutar. Si los temas de orientación de la economía y política ecuatorianas se ponen en el centro de la agenda de discusión, a Moreno se le habrá acabado el tiempo de gobernar usando el espejo retrovisor.
El ex-presidente Correa tiene credibilidad en la comunidad internacional; ha suscitado respaldos del progresismo en todo el mundo, y su condición de estadista se impone sobre la virulencia con que está siendo tratado por Lenin Moreno. La población ecuatoriana no olvidará los diez años de cambios democráticos y de progreso económico logrados por la Revolución Ciudadana, que hizo reflotar un país trabajador, pujante y con potencialidades autónomas del poder extranjero y de las corporaciones bananeras que le gobernaron anteriormente.
Parece que viene la hora de la confrontación política real: a favor o en contra del neoliberalismo, que desplazará la astuta estrategia del ensañamiento personal -efectivo a corto plazo- en contra de los ex-presidentes progresistas, pero no lo suficientemente definitivo para acabar con el propósito de justicia social de amplios sectores ciudadanos.
Notas
[1] http://www.celag.org/plan-economico-en-ecuador-neoliberalismo-en-pequenas-dosis/
[2] https://www.dw.com/es/ecuador-parlamento-abre-v%C3%ADa-para-vincular-a-correa-en-secuestro-de-opositor/a-44233521
[3] http://www.celag.org/lawfare-la-via-legal-al-neoliberalismo/
[4]https://www.eluniverso.com/noticias/2018/02/28/nota/6643660/elecciones-serian-marzo-2019
[5] https://www.celag.org/la-revolucion-ciudadana-disputa/
[6] http://www.elcomercio.com/actualidad/resolucion-cpccs-judicatura-vocales-gustavojalkh.html