(informe speciale)
Come se si trattasse di una scossa elettrica, il tentativo di assassinio, nel pomeriggio di ieri il 4 agosto, con l’evidente carica traumatica che incarna un fatto di tale natura, sembra averci restituito la coscienza del luogo in questa ora critica della nostra storia nazionale. Dove ci stiamo giocando la vita, anche nella vita stessa di Maduro.
I fatti già noti dell’operazione
Nel mezzo di una attività di massa, nell’Avenida Bolivar di Caracas, riguardante l’81esimo anniversario della nascita della Guardia Nazionale Bolivariana (GNB), due droni carichi di esplosivo sono esplosi vicino al palco presidenziale, quando il presidente nazionale stava per chiudere il suo discorso davanti ai presenti.
Data l’entità dell’esplosione la trasmissione della televisione nazionale è stata sospesa, gli effettivi presenti hanno reagito con manovre di ripiegamento ed i protocolli di sicurezza per proteggere la vita del capo dello Stato, sono stati debitamente attivati.
Pochi minuti dopo, davanti alla confusione generata, il ministro della comunicazione ed informazione, Jorge Rodriguez, ha confermato che si trattava di un attentato e che il presidente Maduro e gli alti funzionari civili e militari dello Stato venezuelano che stavano sul palco, erano illesi. Sette militari sono stati feriti dalle esplosioni, e stanno già ricevendo cure mediche.
Secondo versioni della polizia, dove i droni sono caduti, dopo l’esplosione, si è constatata l’esistenza di materiale esplosivo. Fonti “non ufficiali”, riferite da un giornalista dell’opposizione, di nome Román Camacho, hanno sottolineato che i dispositivi contenevano esplosivi C4.
Pochi minuti dopo, un gruppo denominato “Soldati di Flanella”, legato all’estinto gruppo paramilitare dell’ex Cicpc, Oscar Perez, che alla fine dell’anno scorso ha realizzato vari attentati armati contro istituzioni civili e militari nel paese, ha rivendicato l’attentato attraverso le reti sociali.
Questo riconoscimento ha annullato la narrazione dell’ “auto attentato” o “un’esplosione isolata” in un edificio adiacente alla Avenida Bolivar, che alcuni operatori nelle rete sociali e media internazionali, come Associated Press, avevano cercato d’installare per distrarre l’attenzione e coprire le responsabilità.
La cellula guidata da Pérez è stata smantellata da un forte scontro con le forze di sicurezza, all’inizio di quest’anno, molto vicino alla capitale venezuelana, specificatamente a El Junquito. Tuttavia, il ritorno sulla scena di uno dei suoi resti indica che la carta paramilitare contro il Venezuela rimane sulla scacchiera.
Alla fine della serata il presidente Nicolás Maduro è comparso davanti al paese, ha riferito quello che è successo ed ha sottolineato che gli autori materiali dell’attentato sono detenuti. Le prime indagini, secondo il capo dello stato, mettono in luce il legame tra l’asse Bogotá-Miami, del presidente uscente della Colombia, Juan Manuel Santos, e operatori con sede in Florida.
Gli aspetti simbolici e materiali: selezione del momento, linguaggio corporale e logica dello spettacolo
Il tentativo di assassinio ha anche mostrato una carica di violenza simbolica specifica, diretta ad entità politiche sensibili alla stabilità del paese ed allo Stato in generale. La natura dell’evento che si svolgeva in Avenida Bolivar, come coloro che facevano parte del palco presidenziale, a sua volta descrive la selezione di un momento specifico per eseguire l’operazione.
Si celebrava l’anniversario della GNB, corpo militare incaricato dell’ordine interno che nella rivoluzione colorata dello scorso anno è stato determinante nel neutralizzare l’avanzata paramilitare della guarimba (rivolte di strada ndt) e della sua infrastruttura logistica.
Attaccare proprio in tale atto, e non in un altro, il Presidente portava con sé il correlato simbolico di esibire il corpo militare come vulnerabile ed incapace di risposta, ciò che dovrebbe servire a rilanciare nel discorso pubblico, con un atto shock (fallito) su larga scala, il clima di scontro violento disarticolato dall’Assemblea Nazionale Costituente un anno fa.
Ma il tentativo è fallito, e di conseguenza ciò che doveva scatenarsi se avesse raggiunto il suo obiettivo di colpire la vita del presidente: l’accumulo di una “massa critica”, attraverso la propaganda, per promuovere il caos, sfruttare la situazione per generalizzare una retorica di rivolta propagata da poteri esterni e “risolvere” il “vuoto di autorità” con una misura di forza esterna (militare, probabilmente), o almeno presentarla, come unico meccanismo per “stabilizzare” la nazione ed imporre la fascia presidenziale ai molteplici presidenti del Venezuela che attendono di governare.
Solo pensando al peggio, e in ciò che ieri era il più probabile, possiamo cogliere la dimensione della zona di estremo pericolo in cui siamo appena entrati.
Un dato simbolico non minore: nell’atto c’era il capo dello Stato, l’alto comando militare ed i rappresentanti dei poteri pubblici venezuelani. Nello stesso palco, la sintesi materiale, umana degli elementi costitutivi dello Stato venezuelano. In tale selezione del momento, il tentativo di assassinio ha plasmato la sua impostazione di base: uccidere lo Stato ed i corpi fisici che rappresentano ancora il sottile confine tra la pace e la guerra.
L’Avenida Bolivar contempla un insieme di attributi (spazi aperti, grattacieli nelle vicinanze, ecc.) che hanno dato un senso d’opportunità al fine di realizzare l’attentato, mentre la manipolazione dei droni esplosivi poteva raggiungere l’obiettivo sovra-sfruttando alcuni punti deboli nella sicurezza. Tuttavia, il fatto che sia successo nel bel mezzo di una trasmissione radiofonico e televisiva descrive l’intenzione di imprimere una certa logica spettacolare al fatto, funzionale a perpetuare nell’immaginario collettivo un precedente mortale per la storia contemporanea del paese. Non solo cercavano di ucciderlo, ma che fosse un evento spettacolare, mediatico ed a catena nazionale.
In politica, a volte, il linguaggio corporale dice più che i discorsi. Ed in questa linea, il presidente Maduro entra nella storia proprio per la sua condotta in una situazione, in definitiva, estrema: al momento dell’esplosione, è stato visto inalterabile, tranquillo, persino disposto a continuare il suo discorso con la morte davanti. Se questo momento funge da precedente per interiorizzare fino a che punto sono disposti a giungere gli operatori della guerra contro il Venezuela è anche utile vedere la determinazione di Maduro e la sua forza proprio quando la morte tuona
Paramilitarizzazione della politica, tecnificazione della violenza ed i salti qualitativi dal Golpe Blu
È con il Golpe Blu (fallito) che s’introduce, con maggior nitidezza, nella politica venezuelana un tipo di violenza politica dove il fattore armato gioca un ruolo centrale. È lì dove ha incominciato ad incontrare punti di convergenza la cospirazione interna nel mondo militare (sponsorizzata dall’estero), lo spettro più demente dell’opposizione venezuelana e la somministrazione finanziaria USA e colombiana verso agende anti – politiche. Lì, si sono distinti Julio Borges e Antonio Ledezma come operatori della guerra sporca.
È da quel piano di bombardare il Palazzo di Miraflores ed assassinare il presidente Maduro che, ad ora, si può osservare una mutazione operativa, un’espansione delle capacità e una professionalizzazione nei metodi, che viene aumentando la sua presenza nella vita politica del paese. Ne è prova non solo il grado di preparazione nella guerra urbana negli operatori delle guarimbe del 2014 e 2017, ma l’emergere di una versione creola dello Stato Islamico, caso Oscar Pérez e la sua cellula, con un senso sofisticato e selettivo della violenza irregolare. I suoi attacchi ad istituzioni civili e militari lo dimostrarono.
Dagli eventi nella fattoria Daktari, nell’anno 2004 in poi, passando attraverso tutti i piani di assassinio smantellati dall’apparato di sicurezza venezuelano fino ad arrivare a Óscar Pérez, è presente l’impronta del paramilitarismo colombiano. E ciò che si vede più chiaramente, in termini di retrospettiva, è un cambio nelle sue forme di esecuzione, ma anche nella selezione dei suoi punti focali.
Non avendo, nello scenario attuale, le condizioni che propiziano una guerra aperta, sotto la coordinazione colombiana, il trattamento o il modo per raggiungere l’obiettivo si adatta.
E la prova materiale di tale tecnicizzazione è precisamente l’uso di un drone armato. Questo meccanismo rappresenta una delle mortali innovazioni all’interno delle risorse belliche dello Stato Islamico, a causa dei vantaggi tattici e finanziari che implica l’uccidere con un maggior livello di efficacia. Questo meccanismo, a sua volta, è stato importato e adattato dal mondo del narcotraffico, essendo il messicano quello che lo ha strumentalizzato con un maggior livello di visibilità.
L’uso di questo strumento, piuttosto che descrivere un livello di competenza e preparazione relativo ad un tipo di violenza professionalizzata, pone le tracce dell’operazione su operatori paramilitari che fungono da canale di importazione delle novità del terrorismo.
Proprio lì dove l’aneddotico diventa strategico, ed uno spavento come quello di ieri in sintomo di qualcosa di più serio: il fenomeno paramilitare come una strategia per alterare la natura pacifica e democratica della popolazione venezuelana. L’espansione dello Stato fallito colombiano si narra anche da lì.
Bogotá-Miami: il centro delle operazioni
Un reportage del media specializzato in finanze Bloomberg, pubblicato a giugno, ha confermato quello che già sappiamo dal Golpe Blu: la Colombia è servita come base di operazione, finanziamento e coordinamento nei piani di golpe (e di assassinio) contro il Venezuela.
Quella volta si chiamava “Operazione Costituzione” ed era stata pianificata a Bogotà, con il supporto militare colombiano e finanziario. L’obiettivo era sequestrare Maduro e portarlo a processo, benché non dice a quale istanza, con solo due dita di cervello potrebbe essere la “Corte Suprema in esilio”, che utilizza il Congresso colombiano come sala riunioni ed in particolare per “giudicare Maduro”.
Lo scenario che si è venuto disegnando, nel 2018, è uno in cui gli alti funzionari USA e colombiani esercitano apertamente pressione per cercare di forzare un golpe in Venezuela, promuovendolo a volte come forma di amnistia, e altre come un mezzo per “restituire la democrazia” ché l’opposizione venezuelana non ha ottenuto.
La pubblicazione di Bloomberg descrive chiaramente il ruolo del Governo colombiano nella pianificazione e nel coordinamento di questa strategia, ma inoltre certifica, con uguale chiarezza, il suo sostegno in ciò che la guerra contro il Venezuela, in termini generali, concerne (contrabbando, attacco alla valuta, paramilitarismo, ecc.).
La seguente sequenza parla da sé: dopo essere rimasto in silenzio per mesi, l’auto-esiliato Julio Borges, di cui sappiamo che non fa lo scortese quando di colpo di stato si tratta, è resuscitato nelle reti sociali per prevedere che la caduta di Maduro era vicina. All’unisono, il presidente Juan Manuel Santos ha anche avvertito che la fine di Maduro era imminente.
Due prove incontrovertibili di un qualche tipo di coinvolgimento, o per lo meno di conoscenza di causa, di una sorta di sostegno pubblico con premeditazione, con riguardo a quello che è successo ieri, poiché solo un tentativo di assassinio è la cosa più simile alle loro profezie.
Entrambi i discorsi, così come il reportage di Bloomberg e gli intensi appelli di funzionari USA diretti all’establishment militare venezuelano per tutto il 2018, devono visualizzarsi inoltre come manovre di ammorbidimento dell’opinione pubblica, dell’immaginario collettivo, al fine di obbligare la popolazione a naturalizzare un’uscita violenta o un fatto shock a breve termine. Preparare il cervello del paese ad accettare che qualcosa di tragico stia per venire, è accompagnata, in questo caso, da una strategia di consenso forzato, artificiale, in cui la gente accetta una disgrazia come qualcosa di logico e già previsto.
Il presidente Maduro ha anche segnalato lo stato della Florida, culla dei sanzionatori cronici del Venezuela (Marco Rubio, Ileana Ros, etc.), ma anche degli operatori della guerra sporca che si sono auto-esiliati là. Come è il caso di José Antonio Colina, protetto da Marco Rubio e leader della diaspora a Miami, che divenne famoso per collocare bombe all’ambasciata di Spagna ed al CNE, nel 2003, e più recentemente per inviare strumenti per dotare i gruppi violenti che sono stati protagonisti delle guarimbe.
Il piano di ripresa economica: l’accelerante
Il piano di ripresa economica progettato dal presidente Maduro e dal suo team governativo, è stata una strategia presentata come integrale per attaccare i focolai sensibili della guerra economica e riportare il paese alla stabilità.
Il piano prevede un riordinamento della politica monetaria e cambiaria, una riorganizzazione del sussidio sulla benzina e una depenalizzazione (abrogando la Legge sugli Illeciti Cambiari) nel mercato delle divise per sottrarre influenza agli indicatori del dollaro parallelo nella formazione del sistema dei prezzi.
Queste misure tracciano una mappa degli interessi economici che si vedranno colpiti, specialmente in ciò che riguarda la benzina. E questo si che è un problema strettamente binazionale.
Regioni importanti della Colombia orientale, le sue élite politiche legate al narcotraffico ed al paramilitarismo, compreso il suo tessuto economico ed imprenditoriale dipende dal saccheggio di combustibile venezuelano al fine di mantenere uno stato artificiale di sovranità economica che non è tale.
La posta in gioco, con le misure proposte dalla Maduro, non è solo un cambio nelle regole del gioco, che potrebbe inabilitare focolai sensibili della guerra economica, o ciò che è lo stesso, la perdita totale di capitale politico dell’opposizione e degli USA ma la stessa sussistenza primaria di un sistema para-economico che vive, dall’altra parte del confine, del cannibalismo dei nostri combustibili.
Certamente questo fattore sostiene ancor più il coinvolgimento del lato colombiano, dal momento che il cambio che possono vivere queste regioni prodotto della regolarizzazione sul commercio di benzina impone un nuovo focolaio di stabilità all’entrante governo colombiano, che posiziona come una politica di Stato rovesciare Maduro per mantenere l’ordine corrente delle cose.
La zona di pericolo strategico e la fase di conflitto economico post sanzioni
Se guardiamo in prospettiva, in termini formali, puramente legali e politici, gli USA, il grande operatore della guerra contro il Venezuela, ha già toccato i suoi limiti.
Andare avanti per la via delle sanzioni significa rafforzare Maduro, secondo gli stessi think thanks, o favorire un conflitto con investitori ed aziende con interessi nel mantenere relazioni tollerabili in Venezuela. Avanzare per la via militare, neppure è un’opzione nelle condizioni attuali, ragione per cui si accentuata la terzarizzione delle operazioni contro l’economia e la sicurezza del Venezuela dalla Colombia, sotto meccanismi paramilitari, diplomatici, commerciali e finanziarie.
A livello internazionale, l’OSA è affaticata dal tema Venezuela (come il Gruppo di Lima) e risolvere la situazione portando Maduro alla Corte Suprema in esilio o alla Corte Penale Internazionale non ha ancora il livello di maturità necessario per interrompere il piano di ripresa economica. Parlando dell’opposizione interna avviene la stessa deriva: un paese con molteplici conflitti non li vede come un riferimento.
Allora ci sembra di entrare irrefrenabilmente in una zona di pericolo che ha le sanzioni come punti di negoziazione ed arieti di smantellamento economico, ma non come risultato in se stesso, al di là che sia permanente la ricerca di far coincidere il caos che genera il blocco finanziario con una nuova modalità di violenza che dia all’opposizione un qualche saldo politico. E in questo senso la Colombia, in attesa del nuovo governo di Iván Duque, vuole assumere la leadership che è crollata internamente.
Il potere formale è oramai avanzato sino al punto dove li marcano i limiti della legalità, il che fa della zona di pericolo strategica uno scenario dove gli attacchi a venire saranno orientati alla criminalità, agli omicidi politici, all’intensificazione del collasso economico, e altri varianti offerte dalla guerra sporca e dai giochi extrapolitici.
L’immagine dell’attentato è stato consistente e sintetizza il nuovo scenario di escalation iniziato dopo il 20 maggio, quello dove s’infonde alla situazione venezuelana un senso di totale insicurezza, dove tutta la vita (politica, istituzionale, economica, umana) della società è a rischio, sospesa in termini di diritti costituzionalmente consacrati, in quanto a ciò che politicamente è stato conquistato; dove, inoltre, le nuove modalità di morte sociale impiantate contro il Venezuela, mediante il blocco finanziario (tra gli altri crimini), si propongono farsi di massa e naturali al nostro metabolismo sociale.
E se il piano di ripresa economica cerca di frenare questo processo, allora deve essere minato. E se le sanzioni e le pressioni internazionali non possono, se non possono mettere la popolazione contro, allora bisogna uccidere il leader. Questo è il ragionamento che li ha portati ad assassinare Patrice Lumumba, Martín Toriijos e molti altri. Se non riesco a controllarti, ti uccido.
E uccidere in questi termini implica, prima di tutto, fratturare una società, romperla per sempre. Ciò cercavano ieri, e nuovamente, non ci sono riusciti.
Fallido intento de magnicidio contra el presidente Nicolás Maduro
(informe especial)
Como si se tratara de un corrientazo, el intento de magnicidio en la tarde de ayer 4 de agosto, con la evidente carga traumática que encarna un hecho de esa naturaleza, parece habernos devuelto la conciencia de lugar en esta hora crítica de la historia patria. Donde nos estamos jugando la vida, también en la propia vida de Maduro.
Los hechos ya conocidos de la operación
En medio de una multitudinaria actividad en la avenida Bolívar de la ciudad de Caracas, a propósito del 81 aniversario del nacimiento de la Guardia Nacional Bolivariana (GNB), dos drones cargados con material explosivo estallaron cerca de la tarima presidencial, cuando el primer mandatario nacional se disponía a cerrar su discurso frente a los presentes.
Ante la magnitud de la explosión, la transmisión en cadena nacional fue suspendida, los efectivos presentes reaccionaron con maniobras de repliegue y los protocolos de seguridad para resguardar la vida del jefe de Estado, fueron debidamente activados.
Minutos después, ante la confusión generada, el ministro de comunicación e información, Jorge Rodríguez, confirmó que se trataba de un atentado y que el presidente Maduro y los altos funcionarios civilies y militares del Estado venezolano que estaban en la tarima, salieron ilesos. Siete efectivos militares resultaron heridos por las explosiones, los cuales ya reciben cuidados médicos.
Según versiones policiales, donde los drones cayeron luego de la explosión se constató la existencia de material explosivo. Fuentes “extraoficiales” relatadas por un periodista opositor, de nombre Román Camacho, recalcaron que los artefactos contenían explosivos C4.
Minutos después, un grupo denominando “Soldados de Franelas”, vinculado al extinto grupo paramilitar del ex Cicpc, Óscar Pérez, que a finales del año pasado realizó varios atentados armados a instituciones civiles y militares con el país, se adjudicó el atentado por redes sociales.
Este reconocimiento anuló la narrativa del “autoatentado” o de “una explosión aislada” en un edificio aledaño a la avenida Bolívar, que algunos operadores en redes sociales y medios internacionales, como Associated Press, habían tratado de instalar para distraer la atención y encubrir responsabilidades.
La célula encabezada por Pérez fue desmantelada mediante un fuerte enfrentamiento con las fuerzas de seguridad a principios de este mismo año muy cerca a la capital venezolana, específicamente en El Junquito. Sin embargo, la vuelta a la escena de uno de sus remanentes, indica que la carta paramilitar contra Venezuela, también sigue sobre el tablero.
A final de la noche el presidente Nicolás Maduro compareció ante el país, relató lo ocurrido y destacó que los autores materiales del atentado están detenidos. Las primeras pesquisas, según el jefe de Estado, arrojan la vinculación del eje Bogotá-Miami, del presidente saliente de Colombia, Juan Manuel Santos y de operadores radicados en La Florida.
Los aspectos simbólicos y materiales: selección del momento, lenguaje corporal y lógica del espectáculo
El intento de magnicidio mostró, también, una carga de violencia simbólica específica, dirigida a entidades políticas sensibles a la estabilidad del país y al Estado en general. La naturaleza del evento que se daba en la avenida Bolívar, como quienes integraban la tarima presidencial, a su vez describe la selección de un momento específico para llevar a cabo la operación.
Se celebraba el aniversario de la GNB, cuerpo militar encargado del orden interno que en la revolución de color del año pasado fue clave en neutralizar el avance paramilitar de la guarimba y su infraestructura logística.
Atacar justo en ese acto y no en otro al Presidente, llevaba consigo el correlato simbólico de exhibir al cuerpo castrense como vulnerable y sin capacidad de respuesta, lo que debía servir para reflotar en el discurso público, mediante de un acto de conmoción (fallido) a gran escala, el clima de confrontación violenta desarticulado por la Asamblea Nacional Constituyente hace un año.
Pero el atentado falló, y en consecuencia lo que tenía que desencadenarse si lograba su objetivo de afectar la vida del Presidente: la acumulación de una “masa crítica” vía propaganda para propiciar el caos, aprovechar la situación para generalizar una retórica del alzamiento propagada desde poderes externos y “resolver” el “vacío de autoridad” con una medida de fuerza externa (militar, probablemente), o al menos plantearla, como único mecanismo para “estabilizar” la nación e imponerle la banda presidencial a los múltiples próximos presidentes de Venezuela que aguardan gobernar.
Sólo pensando en lo peor, y en lo que ayer fue lo más probable, podemos agarrar dimensión de la zona de peligro extremo en la que acabamos de entrar.
Un dato simbólico no menor: en el acto se encontraba el jefe de Estado, el alto mando militar y los representantes de los poderes públicos venezolanos. En un mismo palco, la síntesis material, humana, de los elementos constitutivos del Estado venezolano. En esa selección del momento el intento de magnicidio plasmó su planteamiento de fondo: matar al Estado y a los cuerpos físicos que representan todavía la delgada frontera entre la paz y la guerra.
La avenida Bolívar contempla un conjunto de atributos (espacio abierto, edificios de altura en sus adyacencias, etc.) que dieron un sentido de oportunidad para realizar el atentado, en tanto la manipulación de los drones explosivos podía llegar al objetivo sobreexplotando algunas debilidades en la seguridad. Sin embargo, que haya sido en medio de una cadena de radio y televisión describe la intención de imprimirle cierta lógica del espectáculo al hecho funcional a eternizar en el imaginario colectivo un precedente mortal para la historia contemporánea del país. No sólo buscaban matarlo, sino que fuera un hecho espectacular, mediatizado y en cadena nacional.
En la política a veces el lenguaje corporal dice más que los discursos. Y en ese renglón el presidente Maduro entra a la historia precisamente por su conducta en una situación en definitiva extrema: en el momento de la explosión, se le vio inalterable, tranquilo, incluso con disposición a continuar el discurso con la muerte en frente. Si este momento sirve cómo precedente para internalizar hasta dónde están dispuestos a llegar los operadores de la guerra contra Venezuela, también es útil para ver la determinación de Maduro y su fortaleza justo cuando la muerte truena.
Paramilitarización de la política, tecnificación de la violencia y los saltos cualitativos desde el Golpe Azul
Es con el Golpe Azul (fallido) que se introduce con mayor nitidez en la política venezolana un tipo de violencia política donde el factor armado juega un papel central. Es allí donde comenzó a encontrar puntos de convergencia la conspiración interna en el mundo castrense (patrocinada desde el extranjero), el espectro más demente de la oposición venezolana y el suministro financiero estadounidense y colombiano hacia agendas antipolíticas. Allí se destacaron Julio Borges y Antonio Ledezma como operadores de guerra sucia.
Es desde ese plan de bombardear el Palacio de Miraflores y asesinar al presidente Maduro que hasta la actualidad, puede observarse una mutación operativa, una ampliación en las capacidades y una profesionalización en los métodos, que viene aumentado su presencia en la vida política del país. Muestra de ello no fue sólo el grado de preparación en guerra urbana en los operadores de las guarimbas de 2014 y 2017, sino la emergencia de una versión criolla del Estado Islámico, caso Óscar Pérez y su célula, con un sentido sofisticado y selectivo de la violencia irregular. Sus ataques a instituciones civiles y militares así lo demostraron.
Desde los sucesos en la finca Daktari en el año 2004 en adelante, pasando por todos los planes de magnicidio desmantelados por el aparato de seguridad venezolano hasta llegar a Óscar Pérez, la huella del paramilitarismo colombiano está presente. Y lo que se ve con mayor nitidez, en términos de retrospectiva, es un cambio en sus formas de ejecución, pero también en la selección de sus focos.
Al no tener en el escenario actual las condiciones que propicien una guerra abierta bajo la coordenada colombiana, el tratamiento o la forma de llegar al objetivo se adapta.
Y la prueba material de esa tecnificación es precisamente el uso de un dron artillado. Este mecanismo representa una de las mortales innovaciones dentro de los recursos bélicos del Estado Islámico, debido a las ventajas tácticas y financieras que implica para matar con mayor nivel de efectividad. Este mecanismo, a su vez, ha sido importado y adaptado por el mundo del narcotráfico, siendo el mexicano el que lo ha instrumentalizado con mayor nivel de visibilidad.
El uso de este instrumento más que describir un nivel de experticia y preparación relacionado a un tipo de violencia profesionalizada, pone las trazas de la operación en operadores paramilitares que sirven como canal de importación de las novedades del terrorismo.
Justo allí donde lo anecdótico se vuelve estratégico, y un susto como el de ayer en síntoma de algo más grave: el fenómeno paramilitar como una estrategia para alterar la naturaleza pacífica y democrática de la población venezolana. La expansión del Estado fallido colombiano también se narra por ahí.
Bogotá-Miami: el centro de operaciones
Un reportaje del medio especializado en finanzas Bloomberg, publicado el mes de junio, ratificó lo que sabemos desde el Golpe Azul: Colombia ha servido como base de operación, financiamiento y coordinación en planes golpistas (y magnicidas) contra Venezuela.
Esta vez se llamaba “Operación Constitución” y había sido planificada en Bogotá, con respaldo militares colombianos y financieros. El objetivo era secuestrar a Maduro y llevarlo a juicio, aunque no dice hacia qué instancia, con sólo tener dos dedos de frente se puede que sería hacia el “Tribunal Supremo en el exilio”, el cual utiliza el Congreso colombiano para sala de reuniones y específicamente para “enjuiciar a Maduro”.
El paisaje que se ha venido dibujando en 2018 es uno donde los altos funcionarios estadounidenses y colombianos presionan abiertamente para intentar forzar un golpe de Estado en Venezuela, promocionándolo unas veces como forma de amnistía, y otras como un medio para “restituir la democracia” que la oposición venezolana no pudo.
La publicación de Bloomberg describe con nitidez el papel del Gobierno colombiano en la planificación y coordinación de esta estrategia, pero también certifica, con igual nivel de claridad, su respaldo en lo que a la guerra en términos generales contra Venezuela concierne (contrabando, ataque a la moneda, paramilitarismo, etc.).
La siguiente secuencia habla por sí sola: luego de permanecer callado por meses, el autoexiliado Julio Borges, de quien sabemos que no le hace el feo cuando golpes de Estado se trata, resucitó en redes sociales para predecir que la caída de Maduro estaba cerca. Al unísono, el presidente Juan Manuel Santos, también alertó que el fin de Maduro era inminente.
Dos pruebas irrefutables de algún tipo de involucramiento, o al menos conocimiento de causa, de un tipo de respaldo público con premeditación, con respecto a lo que sucedió ayer, pues sólo un intento de magnicidio es lo más parecido a sus profecías.
Ambos discursos, así como el reportaje de Bloomberg y los intensos llamados de funcionarios estadounidenses dirigidos al estamento militar venezolano en todo 2018, deben visualizarse, también, como maniobras de ablandamiento a la opinión pública, del imaginario colectivo, con el objetivo de obligar a la población a naturalizar una salida violenta o un hecho de conmoción en el corto plazo. Preparar el cerebro del país para aceptar que algo trágico está por venir, viene acompañada, en este caso, por una estrategia de consentimiento forzado, artificial, donde la gente acepta una desgracia como algo lógico y ya predicho.
El presidente Maduro también señaló al estado de La Florida, cuna de los sancionadores crónicos de Venezuela (Marco Rubio, Ileana Ros, etc.), pero también de operadores de guerra sucia que se autoexiliaron allá. Como es el caso de José Antonio Colina, protegido por Marco Rubio y animador de la diáspora en Miami, que se hizo famoso por colocar bombas en el embajada de España y el CNE en 2003, y más recientemente por enviar implementos para dotar a los grupos violentos que protagonizaron las guarimbas.
El plan de recuperación económica: el acelerante
El plan de recuperación económica diseñado por el presidente Maduro y su equipo de Gobierno, ha sido una estrategia presentada como integral para atacar los focos sensibles de la guerra económica y devolverle al país la estabilidad.
El plan implica un reordenamiento de la política monetaria y cambiaria, una reorganización del subsidio a la gasolina y una despenalización (mediante la derogación de la Ley de Ilícitos Cambiarios) en el mercado de divisas para restarle influencia a los indicadores del dólar paralelo en la formación del sistema de precios.
Estas medidas dibujan un mapa de intereses económicos que se verán afectados, sobre todo en lo que corresponde a la gasolina. Y eso sí que es un asunto estrictamente binacional.
Regiones importantes del oriente colombiano, sus élites políticas ligadas al narcotráfico y al paramilitarismo, incluso su tejido económico y empresarial, depende del saqueo a los combustibles venezolanos para mantener un estado artificioso de soberanía económica que no es tal.
Lo que está en juego con las medidas planteadas por Maduro no sólo es un cambio en las reglas juego, que podría inhabilitar focos sensibles de la guerra económica, o lo que es lo mismo, la pérdida total de capital político de la oposición y Estados Unidos, sino la propia subsistencia primaria de un sistema paraeconómico que al otro lado de la frontera vive del canibalismo de nuestros combustibles.
Ciertamente ese factor apuntala aún más el involucramiento del lado colombiano, pues el cambio que pueden vivir esas regiones producto de la regularización sobre el comercio de gasolina le impone un nuevo foco de estabilidad al por estrenarse gobierno colombiano, quien posiciona como una política de Estado derrocar a Maduro para mantener el orden actual de las cosas.
La zona de peligro estratégico y la etapa de conflicto postsanciones económicas
Si lo vemos en perspectiva, en términos formales, puramente legales y políticos, Estados Unidos, el gran operador de la guerra contra Venezuela, ya tocó sus propios límites.
Avanzar por la vía de las sanciones implica fortalecer a Maduro, según sus propios think thanks, o propiciar un conflicto con inversionistas y empresas con intereses en mantener relaciones tolerables Venezuela. Avanzar por la vía militar, tampoco es una opción en las condiciones actuales, razón por la cual se acentúa la tercerización de las operaciones contra la economía y la seguridad de Venezuela desde Colombia, bajo mecanismos paramilitares, diplomáticos, comerciales y financieros.
A nivel internacional, la OEA está fatigada del tema Venezuela (al igual que el Grupo de Lima) y resolver la situación llevando a Maduro al Tribunal Supremo en el exilio o la Corte Penal Internacional, no tiene todavía el nivel de maduración necesario para interrumpir el plan económico de recuperación. Hablando de la oposición interna sucede la misma deriva: un país con múltiples conflictos no los ve como una referencia.
Entonces parecemos entrar irrefrenablemente a una zona de peligro que tiene a las sanciones como puntos de negociación y arietes de desmantelamiento económico, pero no como desenlace en sí mismo, más allá de que sea permanente la búsqueda por hacer coincidir el caos que genera el bloqueo financiero con una nueva modalidad violencia que le dé algún saldo político a la oposición. Y en ese sentido Colombia, esperando el nuevo gobierno de Iván Duque, quiere asumir el liderazgo que a lo interno colapsó.
El poder formal ya avanzó hasta donde le marcan los límites la legalidad, lo que hace de la zona de peligro estratégica un escenario donde los ataques por venir estarán orientados a la criminalidad, a los asesinatos políticos, al recrudecimiento del colapso económico, y a las demás variantes que ofrece la guerra sucia y las jugadas extrapolíticas.
La imagen del atentado fue consistente y sintetiza el nuevo escenario de recrudecimiento iniciado después del 20 de mayo, aquel donde se le imprime a la situación venezolana un sentido de inseguridad total, donde toda la vida (política, institucional, económica, humana) de la sociedad está en riesgo, suspendida en cuanto a derechos constitucionalmente consagrados, en cuanto a lo que políticamente se ha conquistado; donde, también, las nuevas modalidades de muerte social implantadas contra Venezuela, mediante el bloqueo financiero (entre otros crímenes), plantean hacerse masivas y naturales a nuestro metabolismo social.
Y si el plan de recuperación económica busca frenar ese proceso, entonces hay que socavarlo. Y si las sanciones y la presión internacional no pueden, si no podemos colocar a la población en contra, entonces hay que matar al líder. Ese es el razonamiento que los llevó a asesinar a Patrice Lumumba, Martín Toriijos, y tantos otros. Si no puedo controlarte, te mato.
Y matar en esos términos, implica, por sobretodas las cosas, fracturar una sociedad, romperla para siempre. Eso buscaban ayer, y nuevamente, no pudieron.