di G. Colotti http://www.farodiroma.it
Se il diritto internazionale non fosse stato ridotto a un involucro vuoto dai tanti arbitrii contro i più deboli, permessi o facilitati, il signor Luis Almagro, Segretario generale dell’Osa, verrebbe ritenuto indegno di dirigere un organismo portandolo verso finalità che non gli competono.
A che titolo va dichiarando che “contro la dittatura bolivariana non si esclude l’invasione militare”? Con quale mandato occulto – altro da quello di istituire un gruppo tecnico di “aiuto umanitario”, com’è stato deciso nell’ultima riunione dell’Osa – si è recato alla frontiera colombo-venezuelano? Lì si è fatto fotografare con i profughi a cui vorrebbe destinare la riedizione della legge dei “pies secos pies mojados” dedicata agli anticastristi di Miami. Gruppi di cittadini, a ben vedere, tutt’altro che denutriti, hanno ascoltato i suoi proclami destabilizzanti. Molti di loro stanno però già tornando indietro attraverso il corridoio istituito dal governo bolivariano, dopo aver sperimentato la realtà tutt’altro che rosea che si vive nei paesi neoliberisti di confine.
Ma le finalità di Almagro sono tutt’altro che umanitarie. Altrimenti perché avrebbe nominato a capo del “gruppo tecnico” uno dei membri più estremisti delle destre venezuelane, quel David Smolansky, dirigente di Voluntad Popular, ex sindaco in prima fila nelle violenze di piazza contro il governo? Le parole pronunciate da Almagro contro “la dittatura bolivariana” e contro Nicolas Maduro che vorrebbe venisse rovesciato con ogni mezzo, sono le stesse pronunciate dall’amministrazione Trump. E il ricordo dell’attentato con i droni all’esplosivo contro Maduro è ancora fresco.
Sulla carta, l’Organizzazione degli stati americani, che comprende 35 stati, è un organismo regionale che ha come scopo quello di “mantenere la pace, rinforzare la democrazia e i diritti dell’uomo, e migliorare le condizioni sociali ed economiche dei paesi dell’America”. Nei fatti, è un organismo subordinato a Washington, dove è basato. Non per caso, nel 1962 ha sospeso Cuba, membro dell’organizzazione dal 1948, ed è stato a giusto titolo definito da Fidel Castro “ministero delle colonie”.
Solo durante il periodo di massima forza delle nuove alleanze solidali in America Latina, le cose stavano cominciando a cambiare. E così, dopo il golpe contro Zelaya, l’Honduras era stato sospeso, mentre Cuba era stata riammessa, anche se non ha mai voluto rientrare, mantenendo sull’organismo il giudizio dato da Fidel.
Un giudizio quanto mai pertinente a fronte delle numerose aggressioni, anche fuori dalle regole, commesse da Almagro contro il Venezuela: dall’estromissione del responsabile della Bolivia, che avrebbe dovuto presiedere una riunione arbitraria contro il Venezuela, alla validazione fuori norma di alcune riunioni, all’adozione senza sfumature della posizione sostenuta dai golpisti venezuelani contro un governo legittimo, quello di Nicolas Maduro.
Vale ricordare che il Venezuela, paese straordinariamente ricco di risorse, è un boccone appetibile per un capitalismo in crisi strutturale; che è uno schiaffo insopportabile in quanto si ostina a mostrare che il socialismo resta un cammino concreto di emancipazione e di speranza; e che per la posizione che assume nella ridefinizione di un mondo multipolare, viene considerato un ostacolo.
Per questo, in un momento così delicato, appare di grande significato la visita di Maduro in Cina, dov’è stato ricevuto con tutti gli onori. Le relazioni economiche e commerciali con la Cina esistono dai governi di Chavez. Che vengano ribadite oggi con la firma di importanti accordi e con il rinnovo della fiducia nelle possibilità di recupero del paese dopo il pacchetto di riforme varate, assume anche il significato di un messaggio rivolto agli Usa e ai loro alleati nella regione latinoamericana.
Per spezzare l’assedio, il governo bolivariano sta muovendo il modo avveduto la sua “diplomazia di pace”, ma le forze che l’avversano sono numerose e con solidi appoggi in tutti gli organismi internazionali. In Italia, il governo è cambiato ma non è certo mutato il sostegno all’opposizione venezuelana, né l’abitudine di invitarne i rappresentanti sprecando i soldi dei già assai tartassati contribuenti.
In Vaticano si è appena conclusa la visita del “partito dei vescovi” venezuelani. I rappresentanti della Conferenza episcopale venezuelana (43), sempre apertamente schierati a favore dei golpisti, sono stati ricevuti dal Papa l’11 settembre, sperando di avere l’avallo sulle loro posizioni. Secondo un articolo della giornalista Doly Hernandez, sia Bergoglio che il cardinale Parolin, hanno disatteso tali aspettative. Per tutta risposta, hanno consigliato ai 43 di meditare più che sulla cosiddetta “crisi umanitaria”, sulla necessità di “stare vicino alla gente, al popolo, a colui che soffre”.