La Carta Democratica dell’OSA contro il sandinismo

Atilio Borón  www.cubadebate.cu

La Segreteria Generale dell’OSA sta promuovendo l’applicazione della Carta Democratica Interamericana (CDI) contro il governo del Nicaragua. Questo strumento fu creato come una diga contro i ricorrenti colpi di stato che tormentavano la storia dei paesi latinoamericani. Dovrebbe, presumibilmente, essere un meccanismo di difesa per governi che si trovano sotto la minaccia di un’offensiva destabilizzatrice che potrebbe avere come risultato il collasso dell’ordine istituzionale.

Il suo Articolo 17 afferma esplicitamente che “Quando il governo di uno Stato Membro ritiene che sia a rischio il suo processo politico istituzionale democratico o il suo legittimo esercizio del potere, potrà ricorrere al Segretario Generale o al Consiglio Permanente al fine di richiedere assistenza per il rafforzamento e la conservazione della istituzione democratica”. Cioè, riconosce al governo del paese interessato la prerogativa di richiedere il sostegno della comunità interamericana quando si trova sotto assedio. Ciò non è accaduto nel caso in esame e la Segreteria Generale dell’OSA agisce per proprio conto violando, esplicitamente, quanto enuncia questo articolo.

La sezione seguente approfondisce ulteriormente la questione e stabilisce che “Quando in uno Stato Membro si verificano situazioni che potrebbero danneggiare lo sviluppo del processo politico istituzionale democratico o l’esercizio legittimo del potere, il Segretario Generale o il Consiglio Permanente potrà, con il previo consenso del governo interessato, disporre visite e altre procedure con la finalità di fare una analisi della situazione”. Ora le cose cambiano: ora è l’OSA (cioè il Ministero delle Colonie USA) che ha la facoltà di decidere se il potere si esercita legittimamente in un paese o se il suo quadro istituzionale è in pericolo. Naturalmente, ancora si richiede il “consenso preliminare del governo interessato”, che, ribadiamo, non è stato concesso all’OSA. Nell’artico seguente, il 19, si viola ancor più la sovranità e l’autodeterminazione nazionale poiché stabilisce che “la rottura dell’ordine democratico o un’alterazione dell’ordine costituzionale che compromette gravemente l’ordine democratico in uno Stato Membro costituisce, mentre persiste, un ostacolo insormontabile per la partecipazione del suo governo alle sessioni dell’Assemblea Generale.” Ma è l’articolo 20, che oggi si erge come una minaccia sul governo sandinista, che dice esattamente ciò che Washington ha sempre voluto lasciare confermare per iscritto, vale a dire:”Nel caso che in uno Stato Membro si produca un’alterazione dell’ordine costituzionale che comprometta gravemente il suo ordine democratico, qualsiasi Stato Membro o il Segretario Generale potrà richiedere la convocazione immediata del Consiglio Permanente per realizzare una valutazione collettiva della situazione ed adottare le decisioni che stimi più conveniente.” Questo non è né più né meno che la codificazione legale della Dottrina Monroe, lo statuto che legalizza l’interventismo USA, nella sua qualità di custode ultimo della democrazia, in qualsiasi paese del sistema interamericano.

Quanto sopra è la parte risolutiva della Carta, e ritorneremo su di essa. Ma guardiamo, ora, gli antecedenti, che sono importanti perché lì si stabilisce la dottrina di fondo sulla democrazia che la Carta afferma di difendere. Pertanto, nel suo articolo 3 stabilisce che “sono elementi essenziali della democrazia rappresentativa, tra altri, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; l’accesso al potere ed il suo esercizio soggetto allo stato di diritto; lo svolgimento di elezioni periodiche, libere e giuste basate sul suffragio universale e segreto come espressione della sovranità del popolo; il regime plurale di partiti ed organizzazioni politiche; e la separazione e l’indipendenza dei poteri pubblici”. E nel 4 si afferma che “Sono componenti fondamentali dell’esercizio della democrazia la trasparenza delle attività governative, la probità, la responsabilità dei governi nella gestione pubblica, il rispetto per i diritti sociali e la libertà di espressione e di stampa”. Naturalmente successive voci parlano della necessità di preservare il rispetto dei diritti umani “nel suo carattere universale, indivisibile ed interdipendente” e naturalmente, come stabilito dall’articolo 9, “l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione, in particolare di genere, etnica e razziale e delle forme di intolleranza, nonché la promozione e la protezione dei diritti umani dei popoli indigeni e dei migranti ed il rispetto della diversità etnica, culturale e religiosa nelle Americhe”. E nel suo articolo 12 si dichiara, tassativamente, che “la povertà, l’analfabetismo ed i bassi livelli di sviluppo umano sono fattori che incidono negativamente nel consolidamento della democrazia. Gli Stati Membri dell’OSA si impegnano ad adottare ed eseguire tutte le azioni necessarie per la creazione di occupazione produttiva, della riduzione della povertà e lo sradicamento della povertà estrema, tenendo conto delle diverse realtà e condizioni economiche dei paesi dell’Emisfero”.

Tutto questa tediosa enumerazione è indispensabile perché risulti che l’iniziativa d’intervento della Segretaria Generale per ristabilire “l’ordine istituzionale” in Nicaragua è stata fatta niente meno che dai governi di Argentina, Colombia e Perù, mentre gli USA operavano dietro le quinte affinché i suoi lacchè andassero all’attacco. Non bisogna essere un premio Nobel in scienza politica per rendersi conto che se ci sono paesi che non rispettano i fondamenti dottrinari della democrazia, come si manifesta nella Carta, questi paesi sono quelli che, oggi, si ergono a giudici per sottomettere il governo sandinista ad una possibile condanna dell’OSA. Vediamo:

Con quale faccia il sign. Mauricio Macri può osare promuovere una sanzione contro il Nicaragua quando ha devastato lo stato di diritto in Argentina, riducendo la libertà di stampa quasi al limite assoluto, provocando il rapido aumento della povertà, calpestando i diritti sociali e criminalizzando la protesta sociale, disinvestito nell’educazione, denunciato alle organizzazioni per i diritti umani per gli “affari” (un “curro”, nella lingua volgare dell’Argentina) che nasconde il suo attivismo; perseguendo brutalmente i Mapuche, e inventando presunte guerriglie armate di quel popolo originario per giustificare una inedita, in democrazia, escalation repressiva [1] In breve: Il denunciante viola ognuna delle condizioni che la Carta pone come essenziale per la vita democratica e quindi è moralmente squalificato per opinare la qualità della democrazia in alcun paese del mondo.

Lo stesso vale per il governo di Iván Duque in Colombia, perché se c’è un paese in cui la democrazia, anche al suo grado più elementare, ha brillato per la sua assenza, quel paese è la Colombia. Uno stato che più di cinquanta anni fa montò uno spettacolo pseudo-democratico per nascondere, dietro la sua ostentazione protocollare e leguleia, il brutale dominio di una oligarchia violenta e profondamente nemica della democrazia come poche altre in America Latina. Uno Stato penetrato, fino alle sue radici, dal paramilitarismo e dal narcotraffico, al punto che, insieme con il Messico di Peña Nieto, erano considerati, dai politologi, come due degli esempi più disgraziati di involuzione verso un “narco-stato”. Un paese il cui governo assiste impassibile alla migrazione forzata di quasi 8 milioni di persone sfollate da paramilitari e narcos e da un conflitto armato che il governo non ha mai voluto, seriamente, risolvere violando metodicamente gli accordi di pace. Un governo che ha sottomesso, completamente, gli altri poteri dello Stato e che consente un monopolio de facto della stampa grafica, radio e televisione che fa sì che i colombiani/e siano blindati mediaticamente, disinformati di ciò che accade dentro e fuori della Colombia, paese in cui, secondo l’Ufficio del Difensore del Popolo, si sono registrati 331 dirigenti assassinati, tra gennaio 2016 e agosto 2018, a cui si aggiunge un numero indefinito di altri che sono stati giustiziati e che non sono stati segnalati come assassinii politici ma come vittime di risse di strada. [2]

Senza raggiungere questi estremi, non molto diversa è la situazione del Perù, il cui debito sociale verso i popoli nativi è enorme e secolare; un paese in cui solo un’infima minoranza degli anziani accede ad un’irrisoria pensione; con milioni di esiliati a causa della povertà e dell’insicurezza e dove la corruzione governativa ha causato distruzioni al punto tale che i 5 ultimi presidenti sono fuggiti, come Alejandro Toledo negli USA; o in prigione (Ollanta Humala) o indultati ma con quasi certo ritorno in carcere, nel caso di Alberto Fujimori; o processati, come ad esempio Alan García (che ha cercato, senza successo, di rifugiarsi nell’ambasciata uruguaiana a Lima qualche settimana fa) o Pedro Pablo Kuczynski. [3] Nonostante questo, il governo peruviano si sente con l’autorità morale di avviare un’azione punitiva contro il Nicaragua per la violazione dell’ordine costituzionale in cui sarebbe incorso il governo sandinista.

In breve, la decisione della Segretaria Generale dell’OSA viola i fondamenti della Carta Democratica di quell’istituzione ed è l’ignominioso riflesso di un mandato emanato dalla Casa Bianca che anela, con impazienza, tornare ad impossessarsi del Nicaragua. Questa è l’unica cosa che importa a Washington, specialmente dopo aver saputo l’interesse della Cina nella costruzione di un nuovo passaggio bi-oceanico che non sarebbe controllato dagli USA né circondato da basi militari di quel paese.

Ciò non implica minimizzare la gravità della situazione che si è prodotta in Nicaragua, dall’aprile dell’anno scorso, ma peccherebbe di un’imperdonabile ingenuità chi credesse che la violenta opposizione al governo di Daniel Ortega ed i gravi disordini avvenuti siano opera esclusiva di cittadini che solo desiderano vivere in democrazia e libertà. Ci sarà una parte, ingannata, che sicuramente ha deciso combattere il governo sandinista facendo appello alla violenza. Ma quelli che eressero le barricate e affrontarono a mano armata le forze dell’ordine non erano normali cittadini/e né comuni studenti universitari. Ce n’erano alcuni, ovvio; ma quelli che impugnavano armi di grosso calibro e sparavano per uccidere erano mercenari e sicari, non la pacifica e amabile gente comune di quel paese. La metodologia di combattimento dimostrava, chiaramente, la presenza dello stesso “direttore d’orchestra” che aveva montato le violente guarimbas, in Venezuela, nel 2014 e 2017. E inoltre, secondo alcuni attenti osservatori, alcuni di quelli che produssero gravi eccessi nel paese sudamericano riapparvero in Nicaragua. Non bisogna dimenticare che le proteste sono iniziate in risposta ad una fallita riforma del sistema pensionistico goffamente presentata dal governo all’opinione pubblica. Dal rifiuto del nuovo sistema si passò alla richiesta dell’immediata “uscita” del presidente Ortega –un’altra volta l'”uscita”, come richiedeva l’opposizione venezuelana come condizione per “negoziare” con il Presidente Nicolas Maduro- a causa dell’indignazione scatenata dalla violenta e non necessaria repressione del governo contro i manifestanti.

Come di consueto il clima dell’opinione pubblica è stato convenientemente manipolato mediaticamente dai centinaia di tentacoli del governo USA (da ONG di diafana ed innocente apparenza fino a partiti d’occasione, passando per dirigenti politici e giornalisti comprati o noleggiati dall’impero), che mai ha fatto una proposta a favore della democrazia nei nostri paesi e che, periodicamente, si arroga il diritto di essere l’incaricato di instaurare la democrazia in Nostra America e rovesciare i governi che, a suo avviso, non lo siano.

Per questo la Casa Bianca ha lanciato un attacco frontale per farla finita con il sandinismo anche se, prima di questa offensiva destabilizzatrice, era il paese più stabile dell’America Centrale, con un Indice di Sviluppo Umano, secondo il PNUD, maggiore di quello di Honduras, Guatemala, Guyana e Haiti e appena sotto quello di El Salvador. Naturalmente, in nessuno di quei paesi l’ ‘ordine istituzionale e politico’ è in pericolo, nonostante la scandalosa frode delle elezioni honduregne e le sue conseguenze che durano fino ad oggi. [4] Il Nicaragua era anche il paese che più aveva progredito in termini di lotta alla povertà e alla disuguaglianza e quello di minor insicurezza cittadina di tutto il Centro America. Con un tasso di 7 omicidi per 100000 abitanti il Nicaragua appariva, nel 2017, superando di gran lunga il Costarica (12,1 omicidi ogni 100.000 abitanti), Guatemala (26,1 per 100000), Honduras (42,8 per 100000), El Salvador (60 per 100000). A titolo di confronto, il tasso per l’Argentina era, nello stesso anno 2017, di 6 per 100000 abitanti. Nonostante questi dati, il problema è il Nicaragua, non gli altri. [5]

Per concludere, la menzione di questi risultati -alcuni dei tanti- non pretende occultare gli errori commessi dal governo sandinista negli ultimi tempi. Secondo me i principali sono un preoccupante allontanamento dalle sue stesse basi sociali; la chiusura del gruppo dirigente; un’impressionante difficoltà nel “leggere” ciò che sta accadendo nella società e una sorprendente mancanza di riflessi per evitare di reagire, con imprudenza e violentemente, di fronte alla provocazioni dell’impero. Ma stiamo parlando di un paese a cui il governo USA ha dichiarato guerra. Non solo promuovendo la violenza ed il caos sociale, per poi applicare l’ “aiuto umanitario” e affrettare un sanguinoso “cambio di regime”, ma attraverso una pezza legale, il NICA Act, mediante il quale si stabilisce che il governo USA deve vietare qualsiasi tipo di aiuto economico o finanziario effettuato da banche o agenzie di sviluppo operanti nell’emisfero. Questa legge ha attirato un massiccio ripudio dell’opinione pubblico del Nicaragua, dove l’84,8% ha ritenuto che il “NICA Act” danneggiava la democrazia del Nicaragua.[6]

Quanto sopra, dall’iniziativa dell’OSA e del suo immorale Segretario Generale sino alla promozione di disordini e scontri violenti, passando per la sanzione del NICA Act sono anelli di una luttuosa sequenza di aggressioni USA contro un piccolo paese ed un popolo coraggioso che, da tempi immemorabili, la borghesia USA ha cercato d’impossessarsi e sottomettere al suo dominio. E di fronte a questa critica congiuntura non c’è spazio per esitazioni o mezze misure: o si sta con il governo sandinista, con tutti i suoi errori e limiti; o si sta al servizio dell’impero e aprendo le porte all’installazione di un tenebroso protettorato yankee nella terra di Sandino, come lo fecero prima installando la dittatura di Anastasio Somoza e assassinando Augusto Cesar Sandino.

Di fronte a questo dilemma l’autore di queste righe non ha il minimo dubbio. Per prima cosa bisogna sconfiggere l’imperialismo e sbaragliare la sua strategia golpista, modello “Libia di Gheddafi”. Una volta raggiunto questo obiettivo, progredire nel percorso di rivoluzionare la Rivoluzione sandinista, correggere ciò che si è fatto male ed approfondire il molto che è stato fatto bene; che non è poco per un paese della convulsa America centrale.


La Carta Democrática de la OEA contra el Sandinismo

Por: Atilio Borón

La Secretaría General de la OEA está promoviendo la aplicación de la Carta Democrática Interamericana en contra del gobierno de Nicaragua. Este instrumento fue creado como un dique de contención en contra de los recurrentes golpes de Estado que atribularon la historia de los países latinoamericanos. Supuestamente debería ser un mecanismo de defensa para gobiernos que se encuentran bajo la amenaza de una ofensiva desestabilizadora que podría tener como resultado la quiebra del orden institucional. Su Artículo 17 dice explícitamente que “Cuando el gobierno de un Estado Miembro considere que está en riesgo su proceso político institucional democrático o su legítimo ejercicio del poder, podrá recurrir al Secretario General o al Consejo Permanente a fin de solicitar asistencia para el fortalecimiento y preservación de la institucionalidad democrática”. Es decir, reconoce en el gobierno del país afectado la prerrogativa de solicitar el apoyo de la comunidad interamericana cuando se encuentra bajo asedio. Tal cosa no ha ocurrido en el caso que nos ocupa y la Secretaría General de la OEA actuá por cuenta propia violando explícitamente lo que enuncia este artículo.

El apartado siguiente avanza un poco más en este asunto y establece que “Cuando en un Estado Miembro se produzcan situaciones que pudieran afectar el desarrollo del proceso político institucional democrático o el legítimo ejercicio del poder, el Secretario General o el Consejo Permanente podrá, con el consentimiento previo del gobierno afectado, disponer visitas y otras gestiones con la finalidad de hacer un análisis de la situación”. Ya las cosas cambian: ahora es la OEA (es decir, el Ministerio de Colonias de EEUU) quien está facultada para decidir si el poder se ejerce legítimamente en un país o si su marco institucional está en peligro. Claro que aún se requiere “el consentimiento previo del gobierno afectado” que, reiterarmos, no le fue concedido a la OEA. En el artículo siguiente, el 19, se avasalla aún más la soberanía y autodeterminación nacionales pues establece que “la ruptura del orden democrático o una alteración del orden constitucional que afecte gravemente el orden democrático en un Estado Miembro constituye, mientras persista, un obstáculo insuperable para la participación de su gobierno en las sesiones de la Asamblea General.” Pero es el Artículo 20, que hoy se yergue como una amenaza sobre el gobierno sandinista, quien dice exactamente lo que Washington siempre quiso dejar sentado por escrito, a saber: “En caso de que en un Estado Miembro se produzca una alteración del orden constitucional que afecte gravemente su orden democrático, cualquier Estado Miembro o el Secretario General podrá solicitar la convocatoria inmediata del Consejo Permanente para realizar una apreciación colectiva de la situación y adoptar las decisiones que estime conveniente.” Esto no es ni más ni menos que la codificación legal de la Doctrina Monroe, el estatuto que legaliza la intervención de Estados Unidos, en su calidad de custodio último de la democracia, en cualquier país del sistema interamericano.

Lo anterior es la parte resolutiva de la Carta, y ya volveremos a ella. Pero veamos ahora los antecedentes, que son importantes porque allí se establece la doctrina de fondo sobre la democracia que la Carta dice defender. Así, en su artículo 3 estipula que “son elementos esenciales de la democracia representativa, entre otros, el respeto a los derechos humanos y las libertades fundamentales; el acceso al poder y su ejercicio con sujeción al estado de derecho; la celebración de elecciones periódicas, libres, justas y basadas en el sufragio universal y secreto como expresión de la soberanía del pueblo; el régimen plural de partidos y organizaciones políticas; y la separación e independencia de los poderes públicos.” Y en el 4 se afirma que “Son componentes fundamentales del ejercicio de la democracia la transparencia de las actividades gubernamentales, la probidad, la responsabilidad de los gobiernos en la gestión pública, el respeto por los derechos sociales y la libertad de expresión y de prensa.” Por supuesto, sucesivos items hablan de la necesidad de preservar el respeto de los derechos humanos “en su carácter universal, indivisible e interdependiente” y por supuesto, como lo determina el artículo 9, “la eliminación de toda forma de discriminación, especialmente la discriminación de género, étnica y racial, y de las diversas formas de intolerancia, así como la promoción y protección de los derechos humanos de los pueblos indígenas y los migrantes y el respeto a la diversidad étnica, cultural y religiosa en las Américas.” Y en su artículo 12 queda se declara, taxativamente, que “La pobreza, el analfabetismo y los bajos niveles de desarrollo humano son factores que inciden negativamente en la consolidación de la democracia. Los Estados Miembros de la OEA se comprometen a adoptar y ejecutar todas las acciones necesarias para la creación de empleo productivo, la reducción de la pobreza y la erradicación de la pobreza extrema, teniendo en cuenta las diferentes realidades y condiciones económicas de los países del Hemisferio”.

Toda esta tediosa enumeración es indispensable porque resulta que la iniciativa de intervención de la Secretaría General para restablecer “el orden institucional” en Nicaragua fue hecha nada menos que por los gobiernos de Argentina, Colombia y Perú, mientras Estados Unidos operaba tras las bambalinas para que sus lacayos pasaran al ataque. No hace falta ser un premio Nobel en ciencia política para caer en la cuenta que si hay países que incumplen con los fundamentos doctrinarios de la democracia tal cual se manifiesta en la Carta esos países son los que hoy se erigen en jueces para someter al gobierno sandinista a una posible condena de la OEA. Veamos:

¿Con qué cara el señor Mauricio Macri puede atreverse a impulsar una sanción en contra de Nicaragua cuando ha arrasado el Estado de Derecho en la Argentina, recortado casi hasta el límite absoluto la libertad de prensa, provocando el rápido aumento de la pobreza, pisoteando los derechos sociales y criminalizando la protesta social, desinvertido en educación, denunciado a los organismos de derechos humanos por el “negocio” (un “curro”, en lenguaje vulgar de la Argentina) que esconde su activismo; persiguiendo con saña a los mapuche, e inventando supuestas guerrillas armadas de ese pueblo originario para justificar una inédita, en democracia, escalada represiva?[1] En breve: el denunciante viola cada una de las condiciones que la Carta fija como esenciales para la vida democrática y por lo tanto está moralmente descalificado para opinar sobre la calidad de la democracia en ningún país del mundo.

Lo mismo vale decir en relación al gobierno de Iván Duque en Colombia, porque si hay un país en donde la democracia, aún en su grado más elemental ha brillado por su ausencia ese país es Colombia. Un estado que hace más de cincuenta años montó un tinglado pseudodemocrático para ocultar, detrás de su parafernalia protocolar y leguleya, la brutal dominación de una oligarquía violenta y profundamente enemiga de la democracia como pocas en Latinoamérica. Un Estado penetrado hasta sus raíces por el paramilitarismo y el narcotráfico, al punto tal que junto con el México de Peña Nieto eran considerados por los politólogos como dos de los ejemplos más desgraciados de involución hacia un “narcoestado”. Un país cuyo gobierno asiste impasible a la migración forzada de casi 8 millones de personas desplazadas por paramilitares y narcos y por un conflicto armado que el gobierno jamás quise seriamente resolver violando metódicamente los acuerdos de paz. Un gobierno que ha sometido por completo a los demás poderes del Estado y que consiente un monopolio de facto de la prensa gráfica, radical y televisiva que hace que las colombianas y los colombianos estén blindados mediáticamente, desinformados de lo que ocurre dentro y fuera de Colombia, país en el cual, según la Defensoría del Pueblo, se reportaron 331 líderes asesinados entre enero de 2016 y agosto de 2018 a lo que se añade un número indefinido de otros que fueron ejecutados y que no fueron reportados como asesinatos políticos sino como víctimas de reyertas callejeras.[2]

Sin llegar a esos extremos, no muy diferente es la situación del Perú, cuya deuda social para con los pueblos originarios es enorme y de siglos; un país en donde sólo una ínfima minoría de los adultos mayores accede a una irrisoria pensión; con millones de exiliados producto de la pobreza y la inseguridad y en donde la corrupción gubernamental ha hecho estragos al punto tal que los 5 últimos presidentes están o bien fugados, como Alejandro Toledo en Estados Unidos; o en la cárcel (Ollanta Humala) o indultados pero con casi seguro retorno a la cárcel, caso de Alberto Fujimori; o procesados, como Alan García (que intentó infructuosamente asilarse en la embajada del Uruguay en Lima pocas semanas atrás) o Pedro Pablo Kuczynski.[3] Pese a ello el gobierno del Perú se siente con autoridad moral para iniciar una acción punitoria en contra de Nicaragua por la violación del orden constitucional en que habría incurrido el gobierno sandinista.

En resumen, la decisión de la Secretaría General de la OEA viola los fundamentos de la propia Carta Democrática de esa institución y es el ignominioso reflejo de un mandato emanado desde la Casa Blanca que anhela con impaciencia volver a apoderarse de Nicaragua. Eso es lo único que importa en Washington, sobre todo después de conocido el interés de China en construir un nuevo paso bioceánico que no estaría controlado por Estados Unidos ni rodeado de bases militares de ese pais.

Esto no implica minimizar la gravedad de la situación que se ha producido en Nicaragua desde Abril del año pasado, pero pecaría de una imperdonable ingenuidad quien creyera que la violenta oposición al gobierno de Daniel Ortega y los graves disturbios ocurridos son obra exclusiva de ciudadanos que sólo desean vivir en democracia y libertad. Habrá una porción, engañada, que seguramente ha decidido combatir al gobierno sandinista apelando a la violencia. Pero quienes erigieron las barricadas y enfrentaron a mano armada a las fuerzas del orden no eran ciudadanas o ciudadanos corrientes ni prolijos estudiantes universitarios. Había algunos, obvio; pero quienes empuñaban armas de grueso calibre y tiraban a matar eran mercenarios y sicarios, no la pacífica y amable gente común de ese país. La metodología del combate demostraba claramente la presencia del mismo “director de orquesta” que había montado las violentas guarimbas en Venezuela en 2014 y 2017. E inclusive, según algunos muy atentos observadores, algunos de los que produjeron graves desmanes en el país sudamericano reaparecieron en Nicaragua.

No hay que olvidar que las protestas comenzaron como respuesta a una fallida reforma al sistema de pensiones torpemente presentada por el gobierno ante la opinión pública. Del rechazo al nuevo sistema se pasó a la exigencia de la inmediata “salida” del presidente Ortega -¡otra vez “la salida”, como exigía la oposición venezolana como condición para “negociar” con el Presidente Nicolás Maduro!- a causa de la indignación desatada por la violenta e innecesaria represión del gobierno contra los manifestantes.

Como de costumbre el clima de opinión fue convenientemente manipulado mediáticamente por los centenares de tentáculos del gobierno de EEUU (desde ONGs de diáfana e inocente apariencia hasta partidos de ocasión, pasando por líderes políticos y periodistas comprados o alquilados por el imperio) que jamás ha hecho una propuesta a favor de la democracia en nuestros países y que periódicamente se arroga el derecho de ser el encargado de instaurar la democracia en Nuestra América y tumbar gobiernos que, según su opinión, no lo sean.

Por eso la Casa Blanca ha lanzado un ataque frontal para acabar con el sandinismo pese a que, antes de esta ofensiva desestabilizadora, era el país más estable de Centroamérica, con un Índice de Desarrollo Humano según el PNUD superior al de Honduras, Guatemala, Guyana y Haití y apenas inferior al de El Salvador. Pero claro, en ninguno de esos países el “orden institucional y político” está en peligro, pese al escandaloso fraude de las elecciones hondureñas y sus secuelas que perduran hasta el día de hoy.[4] También era Nicaragua el país que más había progresado en materia de combate a la pobreza y la desigualdad y el de menor inseguridad ciudadana de toda Centroamérica. Con una tasa de 7 homicidios por 100.000 habitantes Nicaragua aparecía en el 2017 superando ampliamente a Costa Rica (12.1 homicidios por 100.000 habitantes), Guatemala (26,1 por 100.000), Honduras (42,8 por 100.000), El Salvador (60 por 100.000). A modo de comparación la tasa para la Argentina fue, en ese mismo año 2017, de 6 por cada 100.000 habitantes. Pese a estos datos, el problema es Nicaragua, no los demás.[5]

Para concluir, la mención de estos logros –algunos de los tantos- no pretende ocultar los errores cometidos por el gobierno sandinista en los últimos tiempos. A mi juicio los principales son un preocupante distanciamiento de sus propias bases sociales; el enclaustramiento del grupo dirigente; una llamativa dificultad para “leer” lo que está ocurriendo en la sociedad y una sorprendente falta de reflejos para evitar reaccionar con imprudencia y violentamente ante una provocación del imperio. Pero estamos hablando de un país al cual el gobierno de Estados Unidos le ha declarado una guerra. No sólo promoviendo la violencia y el caos social, para luego aplicar la “ayuda humanitaria” y precipitar un sangriento “cambio de régimen” sino a través de una pieza legal, la NICA Act, mediante la cual se establece que el gobierno de EEUU debe vetar cualquier tipo de ayuda económica o financiera hecha por los bancos o agencias de desarrollo operando en el hemisferio. Esta ley concitó el masivo repudio de la opinión pública de Nicaragua donde un 84,8 por ciento consideró que la “NICA Act” perjudicaba a la democracia de Nicaragua.[6]

Todo lo anterior, desde la iniciativa de la OEA y su inmoral Secretario General hasta la promoción de desórdenes y disturbios violentos pasando por la sanción de la NICA Act son eslabones de una luctuosa secuencia de agresiones estadounidenses contra un pequeño país y un pueblo valiente que desde tiempos inmemoriales la burguesía norteamericana intentó apoderarse y someter a su dominio. Y ante esta crítica coyuntura no hay lugar para titubeos o medias tintas: o se está con el gobierno sandinista, con todos sus yerros y limitaciones; o se está al servicio del imperio y abriendo las puertas a la instalación de un tenebroso protectorado yankee en la tierra de Sandino, como antes lo hicieran instalando la dictadura de Anastasio Somoza y asesinando a Augusto César Sandino.

Enfrentado a esta disyuntiva el autor de estas líneas no tiene la menor duda. Primero hay que derrotar al imperialismo y desbaratar su estrategia golpista, modelo “Libia de Gadafi”. Una vez logrado ese objetivo, avanzar por la senda de revolucionar la revolución sandinista, corregir lo que se hizo mal y profundizar lo mucho que se hizo bien, que no es poco para un país de la convulsionada Centroamérica.

Notas:

[1]https://elpais.com/tag/c/47f26f55c557055ec93f5d32f7b17582

[2]https://colombia2020.elespectador.com/pais/agresiones-contra-lideres-sociales-antes-y-despues-del-acuerdo-de-paz

[3]https://www.latercera.com/mundo/noticia/cinco-expresidentes-peru-la-mira-la-justicia/408929/

[4]https://cnnespanol.cnn.com/2017/03/27/este-es-el-pais-latinoamerica-con-menor-desarrollo-humano/

[5]https://es.insightcrime.org/noticias/analisis/balance-de-insight-crime-sobre-homicidios-en-latinoamerica-en-2017/ InSight Crime es una ONG especializada en el estudio de la criminalidad organizada en América Latina. Esta institución tiene ligazones informales con la American University de los Estados Unidos, localizada en Washington DC. No es precisamente una fuente “amiga” del gobierno sandinista.

[6]https://www.telesurtv.net/news/Mayoria-de-nicaraguenses-rechaza-la-Nica-Act-20180104-0056.html

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