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Nelle prime ore del 3 maggio, è fallita un’incursione mercenaria sulla coste di Macuto, nello stato di La Guaira. Il ministro dell’Interno, Giustizia e Pace, Néstor Reverol, ha riferito che la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) insieme alle Forze di Azioni Speciali (FAES) della Polizia Nazionale Bolivariana hanno bloccato un’invasione per “via marittima”, dal litorale, da parte di attori non statali denominata ufficialmente “Operazione Negro Primero”.
Le autorità venezuelane avrebbero ucciso nove mercenari e arrestato altri due, che costituivano la chiamata, da loro, “Operazione Gedeon”.
Nel pomeriggio del 3 maggio, è stato pubblicato, nelle reti sociali, un video in cui appaiono l’ex capitano Javier Nieto Quintero, vincolato al caso Daktari nel 2004, insieme a Jordan Goudreau, che, secondo l’agenzia Associated Press (AP), era responsabile dell’addestramento di tre campi di mercenari e disertori della FANB coordinati da Clíver Alcalá, rivendicando la responsabilità dell’ “Operazione Gedeon”.
Nel video dicono che l’ “Operazione Gedeon” è dispiegata ed attivata a est, sud ed ovest del Venezuela, facendo un appello alla FANB a “unirsi a questa impresa”, ai sensi dell’articolo 333 della Costituzione, con l’obiettivo di “catturare” i membri chiave del Governo Bolivariano accusati di traffico di droga dagli USA, che hanno offerto una ricompensa di 15 milioni di $ sulla testa del presidente Nicolás Maduro, esternalizzando le propeie operazioni anti-venezuelane.
Durante l’operazione, le autorità venezuelane hanno sequestrato 10 fucili, una pistola Glock 9mm, due mitragliatrici AFAG che facevano parte del parco armi del Palazzo Federale Legislativo, rubato da settori sediziosi il 30 aprile 2019, sei veicoli terrestri tipo camionette, una lancia con due motori fuoribordo, due quaderni con i dettagli dell’operazione violenta, telefoni satellitari, identificazioni, uniformi (incluso un casco con la bandiera USA) e cartucce cariche di diversi calibri.
Tra gli uccisi ci sarebbe l’ex capitano Robert Colina, alias “Pantera”, che aveva registrato un video uscito questa mattina su Twitter chiamando a “liberare” il Venezuela. Qualche settimana fa il latitante della giustizia venezuelana, ora detenuto negli USA, Clíver Alcalá, ha ammesso che fosse uno dei suoi uomini di “fiducia”.
Lo scorso marzo, un disertore della FANB catturato dalle autorità locali, Rubén Darío Fernández (alias “Búho”), ha confessato che il famigerato alias “Pantera” guidava uno squadrone terrorista per eseguire omicidi mirati contro i principali dirigenti dell’Esecutivo nazionale.
Reverol ha affermato che questa frustrata incursione proveniva dalla Colombia; da Riohacha, Clíver Alcalá stava organizzando un complotto, anch’esso smantellato lo scorso marzo, in cui un carico di armi da guerra che sarebbero state trasferite attraverso piste illegali nel territorio venezuelano è stata intercettata e sequestrata dalla polizia colombiana.
A quel tempo, il ministro della Comunicazione e dell’Informazione, Jorge Rodríguez, ha anticipato che queste armi sarebbero state ricevute da “uno dei tre gruppi” coordinati da Alcalá.
Inoltre, la storia dell’agenzia AP, recentemente pubblicata, afferma che una società appaltatrice militare, Silvercorp, di proprietà di Jordan Goudreau e che ha ricevuto almeno un paio di contratti dal governo USA, si è incaricata di addestrare mercenari e disertori della FANB del gruppo Alcalá in tre accampamenti in Colombia.
Poco prima di mezzogiorno di oggi, 3 maggio, il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, ha confermato, in una conferenza stampa, che i veicoli marittimi utilizzati nell’operazione provenivano dalla Colombia dalle informazioni GPS dei telefoni satellitari sequestrati durante l’operazione.
I resti di un naufragio
Il ministro Reverol ha informato “che l’operazione continua e che non si escludono altri arresti giacché è in corso un accurato rastrellamento per terra, mare ed aria”.
Cabello ha insistito sullo stesso davanti alla stampa nel Palazzo Federale Legislativo, aggiungendo che uno dei soggetti arrestati all’alba ha confessato di essere un narcotrafficante, agente della DEA, agenzia antidroga USA, e ha aggiunto: “È triste che quelli che si definiscono venezuelani siano finanziati dal narcotraffico, dal denaro della droga”.
La verità è che alcune delle armi e delle apparecchiature elettroniche sequestrate in questa operazione coincidono, nei loro modelli, con quelle usate nella scena dello scorso anno, il 30 aprile 2019, quando alcuni disertori della FANB e mercenari presero il distributore Altamira, in Caracas, nel fallito tentativo di deporre il governo del Presidente Nicolás Maduro per porre il delfino Juan Guaidó, scelto con cura dall’amministrazione di Donald Trump.
Tra i modelli di armi che coincidono in entrambi gli scenari c’è un fucile che non corrisponde con quelli usati dalle forze di difesa e sicurezza dello stato venezuelano.
Allo stesso modo, una radio Motorola XPR3500 sequestrata a Macuto corrisponde al modello sequestrato dalla polizia colombiana a La Guajira, lo scorso marzo, così come i fucili AR-15 e il casco con la bandiera USA, equipaggiamento che doveva essere utilizzato da “uno dei tre gruppi” che Alcalá Cordones coordinava per eseguire azioni armate contro le istituzioni e la dirigenza venezuelana.
Inoltre, una fonte vicina all’operazione ufficiale realizzata dalla FANB e dalle FAES a Macuto ha confermato a Misión Verdad, sotto anonimato, che i veicoli marittimi sono salpati da La Guajira colombiana e si sono fermati ad Aruba prima d’arenarsi sul litorale venezuelano.
Aruba, insieme a Bonaire e Curaçao, fanno parte delle colonie della corona olandese nelle Antille. Curaçao si trova a 25 chilometri dalla costa nord-occidentale del Venezuela ed i Paesi Bassi hanno deciso, l’anno scorso, di riconoscere Guaidó come “presidente” a beneficio geopolitico degli USA.
Sia Aruba che Curaçao sono sedi territoriali di due basi USA, rispettivamente Reina Beatriz e Hato Rey, da dove il Comando Sud coordina un Centro Operativo Avanzato (FOL), punta di lancia delle loro, presunte, operazioni antidroga.
Va notato che la nave da crociera Resolute ha speronato una nave della guardia costiera venezuelana, la Naiguatá, lo scorso 30 marzo vicino all’isola di La Tortuga (senza aver richiesto permesso), e che successivamente è fuggita verso il porto di Willemstad, a Curaçao.
Il capo del Comando Strategico Operativo della FANB (CEOFANB), Ammiraglio in Capo Remigio Ceballos, ha dichiarato, a metà aprile, che il Resolute aveva come obiettivo “seminare mercenari” in Venezuela.
Gli elementi (la partecipazione di alias “Pantera”, l’attrezzatura sequestrata e la fermata ad Aruba prima di arrivare a La Guaira) indicano che l’ “Operation Gedeon” fa effettivamente parte del complotto che Clíver Alcalá ha coordinato dalla Colombia con risorse, finanziamenti e logistica USA (tramite appaltatrice privata di sicurezza) e con il beneplacito della cricca guidata da Juan Guaidó.
Combattimenti all’alba contro l’agenda terroristica
Le fallite incursioni sono state anticipate dallo stato venezuelano attraverso una somma di informazioni. Diosdado Cabello ha dichiarato, nella summenzionata conferenza stampa, che era attesa un’azione di questo calibro sulle coste caraibiche del paese.
Dagli appelli all’insurrezione di Óscar Pérez e dell’ex capitano Juan Carlos Caguaripano, nel 2017, ed il tentato omicidio, con droni bomba, contro il presidente Maduro, nel 2018, l’agenda terroristico-mercenaria è andata aumentando nelle sue articolazioni e cerca di realizzarsi per diverse vie ed attori.
È così che le agenzie statali venezuelane sono andate gestendo la disarticolazione di detta agenda, in cui il volto più visibile, degli ultimi mesi, è stato lo stesso Clíver Alcalá Cordones. Il ministro Jorge Rodríguez aveva informato il paese, lo scorso marzo, che c’era una minuziosa sorveglianza dei piani che sarebbero derivati da quello che si complottava in Colombia.
Di recente, il 20 aprile scorso, quattro capitani ed un tenente della Guardia Nazionale Bolivariana (GNB) sono stati arrestati ed accusati dinanzi ai tribunali militari per furto di armi nel distaccamento della GNB 441 a Puerta Morocha, nello stato di Miranda.
Questi militari, prima di essere arrestati e sempre secondo media dell’opposizione, intendevano impadronirsi di quel parco di armi per trasferirsi al centro di detenzione di Ramo Verde, Caracas, liberare altri ufficiali sediziosi lì imprigionati ed armarli per incorporarli in una “rivolta militare”.
Secondo informazioni del giornalista anti-chavista Luis Gonzalo Pérez, di NTN24, la “rivolta” “sarebbe stata anfibia, sia per La Guaira che per Falcón”, e che i detenuti “hanno avuto conversazioni con consulenti esterni per realizzare il loro sollevamento in armi”.
Come misura preventiva, lo stato venezuelano ha deciso bloccare gli accessi all’autostrada Caracas-La Guaira ed il tunnel di Cabrera a causa delle informazioni fornite (fuori dalla Colombia o dai militari recentemente arrestati e giudicati), azione che è stata respinta dai giornalisti dell’opposizione e da Iván Simonovis, ex commissario dell’allora Polizia Tecnica Giudiziaria, capo della Sicurezza del Municipio Maggiore di Caracas al tempo del massacro di Puente Llaguno, nel 2002, e ora collaboratore degli USA per tentare di concretare un golpe violento contro il Governo bolivariano.
Chiaramente, non vi è alcun passo che tale programma non sia stato previsto dalle autorità venezuelane, in un contesto critico a causa dell’avvento della pandemia di Covid-19 in cui lo stato dispone la maggior parte degli sforzi ufficiali corrispondenti all’assistenza sanitaria della popolazione.
I pianificatori pretendevano cogliere questa “opportunità” per minare il governo di Nicolás Maduro mentre lo stato neutralizza ogni tentativo di imporre un quadro di violenza, caos e golpismo nuovamente sfruttato dagli USA.
Macuto: un nuevo capítulo frustrado de la vía armada contra Venezuela
En la madrugada del 3 de mayo fue frustrada una incursión mercenaria en las costas de Macuto, en el estado La Guaira. El ministro de Interior, Justicia y Paz, Néstor Reverol, informó que la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) junto con las Fuerzas de Acciones Especiales (FAES) de la Policía Nacional Bolivariana contrarrestaron una invasión por “vía marítima” en el litoral por parte de actores no estatales, denominada oficialmente “Operación Negro Primero”.
Las autoridades venezolanas habrían abatido a nueve mercenarios y detenido a otros dos, quienes conformaban el así llamado por ellos “Operación Gedeón”.
En horas de la tarde del 3 de mayo, se publicó en redes sociales un video donde aparecen el ex capitán Javier Nieto Quintero, relacionado al caso Daktari en 2004, junto a Jordan Goudreau, quien según la agencia Associated Press (AP) estuvo a cargo del entrenamiento de tres campamentos de mercenarios y desertores de la FANB coordinados por Clíver Alcalá, reclamando la autoría de la “Operación Gedeón”.
En el video dicen que la “Operación Gedeón” está desplegada y activada en el este, sur y oeste de Venezuela, haciendo un llamado a la FANB a “unirse a esta gesta”, amparándose en el artículo 333 de la Constitución, con el objetivo de “capturar” a los miembros clave del Gobierno Bolivariano acusados de narcotráfico por los Estados Unidos, que ofreció una recompensa de 15 millones de dólares por la cabeza del presidente Nicolás Maduro, tercerizando sus operaciones anti-venezolanas.
Durante el operativo, las autoridades venezolanas incautaron 10 fusiles, una pistola Glock 9mm, dos ametralladoras AFAG que formaban parte del parque de armas del Palacio Federal Legislativo robado por sectores sediciosos el pasado 30 de abril de 2019, seis vehículos terrestres tipo camionetas, una lancha con dos motores fuera de borda, dos cuadernos con detalles de la operación violenta, teléfonos satelitales, identificaciones, uniformes (entre ellos un casco con la bandera estadounidense) y cartuchos cargados de diferentes calibres.
Entre los abatidos se encontraría el ex capitán Robert Colina, alias “Pantera”, quien había grabado un video que salió esta mañana al ruedo en Twitter llamando a “liberar” Venezuela. Hace unas semanas el prófugo de la justicia venezolana, ahora detenido en Estados Unidos, Clíver Alcalá, admitió que era uno de sus hombres de “confianza”.
En marzo pasado, un desertor de la FANB capturado por las autoridades locales, Rubén Darío Fernández (alias “Búho”), confesó que el mentado alias “Pantera” encabezaba un escuadrón terrorista para ejecutar asesinatos selectivos contra los principales líderes del Ejecutivo nacional.
Reverol afirmó que esta incursión frustrada provino de Colombia; desde Riohacha, Clíver Alcalá venía organizando un complot que también fue desarticulado en marzo pasado, en que un alijo de los armamentos de guerra que serían trasladados vía trochas ilegales hacia territorio venezolano fue interceptado e incautado por la policía colombiana.
Para ese momento, el ministro de Comunicación e Información, Jorge Rodríguez, adelantó que dichas armas iban a ser recibidas por “uno de los tres grupos” que coordinaba Alcalá.
Además, la historia de la agencia AP recientemente publicada afirma que una empresa contratista militar, Silvercorp, de la que Jordan Goudreau es propietario, y que ha recibido al menos par de contratos con el gobierno estadounidense, se encargó de entrenar a mercenarios y desertores de la FANB del grupo Alcalá en tres campamentos en Colombia.
Poco antes del mediodía de hoy, 3 de mayo, el presidente de la Asamblea Nacional Constituyente, Diosdado Cabello, confirmó en rueda de prensa que los vehículos marítimos usados en la operación provinieron de Colombia por la información GPS de los teléfonos satelitales incautados en la operación.
Los restos de un naufragio
El ministro Reverol informó “que la operación continúa y no se descartan otras detenciones ya que se está haciendo un rastreo minucioso por tierra, mar y aire”.
Cabello insistió en lo mismo ante la prensa en el Palacio Federal Legislativo, y agregó que uno de los sujetos detenidos en la madrugada confesó ser un narcotraficante, agente de la DEA, la agencia antidrogas de los Estados Unidos, y agregó: “Da tristeza que quienes se llamen venezolanos sean financiados por el narcotráfico, por el dinero de la droga”.
Lo cierto es que algunas de las armas y equipos electrónicos incautados en esta operación coinciden en sus modelos a las usadas en la escena del año pasado, el 30 de abril de 2019, cuando algunos desertores de la FANB y mercenarios tomaron el distribuidor Altamira, en Caracas, en un intento fracasado por deponer el gobierno del presidente Nicolás Maduro para poner al delfín Juan Guaidó, elegido a dedo por la administración de Donald Trump.
Entre los modelos de armas que coinciden en ambos escenarios está un fusil que no corresponde con los utilizados por las fuerzas de defensa y seguridad del estado venezolano.
Asimismo, una radio Motorola XPR3500 incautada en Macuto corresponde con el modelo decomisado por la policía colombiana en La Guajira el pasado marzo, así como los fusiles AR-15 y el casco con la bandera estadounidense, equipo que iba ser utilizado por “uno de los tres grupos” que Alcalá Cordones coordinaba para ejecutar acciones armadas contra las instituciones y el liderazgo venezolano.
Aunado a esto, una fuente cercana a la operación oficial que llevaron a la cabo la FANB y las FAES en Macuto confirmó a Misión Verdad, bajo condición de anonimato, que los vehículos marítimos zarparon de La Guajira colombiana e hicieron una parada en Aruba antes de encallar en litoral venezolano.
Aruba, junto con Bonaire y Curazao, forman parte de las colonias de la corona holandesa en las Antillas. Curazao se encuentra a 25 kilómetros de la costa noroccidental de Venezuela y los Países Bajos decidieron, el año pasado, reconocer a Guaidó como “presidente” a beneficio geopolítico de Estados Unidos.
Tanto Aruba como Curazao son sedes territoriales de dos bases estadounidenses, respectivamente Reina Beatriz y Hato Rey, desde donde el Comando Sur coordina un Centro Operativo Avanzado (FOL, por sus siglas en inglés), puntas de lanza de sus supuestas operaciones antidrogas.
Cabe acotar que el buque crucero Resolute embistió una nave de la guardia costera venezolana, el Naiguatá, el pasado 30 de marzo cerca de la Isla La Tortuga (sin haber solicitado permiso), y que posteriormente huyó hacia el puerto de Willemstad, en Curazao.
El jefe del Comando Estratégico Operacional de la FANB (CEOFANB), Almirante en Jefe Remigio Ceballos, afirmó a mediados de abril que el Resolute tenía como objetivo “sembrar mercenarios” en Venezuela.
Los elementos (la participación de alias “Pantera”, el equipo incautado y la parada en Aruba antes de legar a La Guaira) indican que la “Operación Gedeón” efectivamente forma parte del complot que coordinaba Clíver Alcalá desde Colombia con recursos, financiamiento y logística de los Estados Unidos (vía contratista privada de seguridad) y con beneplácito de la camarilla liderada por Juan Guaidó.
Madrugonazos contra la agenda terrorista
Las frustradas incursiones fueron anticipadas por el estado venezolano mediante una suma de informaciones. Diosdado Cabello dijo en la mencionada rueda de prensa que se esperaba una acción de ese calibre en las costas caribeñas del país.
Desde los llamados a insurrección de Óscar Pérez y del ex capitán Juan Carlos Caguaripano en 2017 y el intento de magnicidio vía bombas-drones contra el presidente Maduro en 2018, la agenda terrorista-mercenaria ha venido incrementándose en sus articulaciones e intentos de llevarse a cabo bajo diferentes vías y actores.
Es así cómo las agencias estatales venezolanas han venido gestionando en la desarticulación de dicha agenda, en la que el rostro más visible en meses recientes ha sido el mismo Clíver Alcalá Cordones. El ministro Jorge Rodríguez había informado al país en marzo pasado que había un seguimiento minucioso a los planes que derivaran de aquello que se complotaba en Colombia.
Recientemente, el 20 de abril pasado, cuatro capitanes y un teniente de la Guardia Nacional Bolivariana (GNB) fueron detenidos y acusados ante los tribunales militares por robo de armas en el destacamento 441 de la GNB en Puerta Morocha, estado Miranda.
Estos militares, antes de ser detenidos y siempre según medios opositores, pretendían hacerse de aquel parque de armas para trasladarse hasta el centro de detención Ramo Verde, Caracas, liberar a otros oficiales sediciosos presos allí y armarlos para incorporarlos a un “alzamiento militar”.
Según información del periodista antichavista Luis Gonzalo Pérez, de NTN24, dicho “alzamiento” “iba a ser de manera anfibia, tanto por La Guaira como por Falcón”, y que los detenidos “tuvieron conversaciones con asesores externos para poder realizar su levantamiento de armas”.
De manera preventiva, el estado venezolano decidió bloquear los accesos de la autopista Caracas-La Guaira y el túnel de la Cabrera debido a la información suministrada (fuera desde Colombia o por los militares recientemente detenidos y enjuiciados), acción que fue rechazada por periodistas opositores e Iván Simonovis, ex comisario de la entonces Policía Técnica Judicial, jefe de Seguridad de la Alcaldía Mayor de Caracas cuando la masacre de Puente Llaguno en 2002 y hoy colaborador de los Estados Unidos para intentar cristalizar un golpe a la fuerza contra el Gobierno Bolivariano.
A todas luces no hay un paso que dicha agenda no esté anticipada por las autoridades venezolanas, en un contexto crítico por el advenimiento de la pandemia por el Covid-19 en el que el estado dispone la mayoría de los esfuerzos oficiales correspondientes a la atención sanitaria de la población.
Los planificadores del complot pretenden aprovechar esta “oportunidad” para socavar al gobierno de Nicolás Maduro mientras el estado neutraliza cada intento por imponer un marco de violencia, caos y golpismo nuevamente apalancado por Estados Unidos.