Mision Verdad, 5 agosto 2021
Il giornalista John McEvoy pubblicava su The Canary i dettagli di come Guaidó ha prelevato fondi dalla Banca Centrale del Venezuela (BCV) negli Stati Uniti per finanziare il furto di oro venezuelano dal Regno Unito, secondo un’indagine giornalistica. Di seguito passiamo in rassegna le operazioni del settore antichavista sostenuto dagli USA per ottenere all’estero la stessa quantità di risorse della Repubblica Bolivariana, riportate dal ricercatore britannico di Declassified UK.
Furto alla BCV
Nel maggio 2020, quando il governo venezuelano citò in giudizio la Banca d’Inghilterra per il rifiuto di rilasciare l’oro, iniziava una battaglia legale interrottasi nel luglio 2021. La Corte Suprema del Regno Unito avviò un procedimento sui 2 miliardi di dollari in oro. La richiesta di accesso all’oro avveniva per rispondere alla pandemia di covid-19 e acquistare cibo tra le difficoltà che intensificano le misure coercitive unilaterali che Washington applica contro il Venezuela. Nel febbraio 2021, l’esperta indipendente di sanzioni delle Nazioni Unite, Alena Douhan, esortava “i governi di Regno Unito, Portogallo e Stati Uniti e le banche corrispondenti a sbloccare i beni della Banca centrale del Venezuela (BCV) per acquistare medicinali, vaccini, cibo, attrezzature mediche e altro”. Sebbene la massima corte inizialmente si sia schierata con la parte “provvisoria”, la Corte d’appello del Regno Unito successivamente decise nell’ottobre 2020 che il riconoscimento di Guaidó da parte del Regno Unito era “ambiguo, o comunque meno che inequivocabile”. Così il governo legittimo guidato dal Presidente Nicolás Maduro vinse il ricorso e i cooperanti alla pirateria furono condannati a pagare 400mila sterline per coprire le spese legali del governo costituzionalmente eletto nel 2018. Nel novembre 2020, il team legale dell’ex-deputato Guaidó “ricevette l’avvertimento dal giudice del tribunale commerciale, Sara Cockerill, in caso di mancato rispetto dell’ingiunzione di pagamento imposta dalla giustizia britannica in relazione al contenzioso per l’oro di Venezuela detenuto dalla Banca d’Inghilterra”. Poi, alla fine del mese, l’ex-rappresentante di Guaidó nel Regno Unito, Vanessa Neumann, disse al Financial Times che l’OFAC (Office of Foreign Assets Control) dell’ufficio delle “sanzioni” del Tesoro statunitense “aveva tanto ritardato il rilascio dei fondi congelati all’opposizione di Guaidó per le spese legali che la battaglia giudiziaria [del Regno Unito] rischiava di perderla”. Ironia della sorte, il brutale regime sanzionatorio di Washington contro il Venezuela sembrava rendere difficile il pagamento e l’ex deputato dovette richiedere una licenza all’OFAC per poter pagare le spese legali con settimane di ritardo. Cogli stessi fondi, si dice che abbiano pagato A&P (il loro consulente legale), le spese legali e gli esborsi, stimati dall’azienda in oltre 3,8 milioni di dollari a metà luglio 2020. In realtà quello che successe è che Washington mantiene “sanzioni” nei confronti di chi avrebbe riscosso la multa, per cui il board di Guaidó dovette richiedere una licenza all’OFAC per effettuare il pagamento con denaro sottratto alla BCV negli Stati Uniti, congelata nelle banche nordamericane.
Un testimone del consiglio “ad interim” della BCV, cioè del piano di saccheggio che ha Guaidó come capo visibile, dichiarò ai tribunali britannici che “gli unici fondi che sono sotto il controllo del consiglio di Guaidó sono quelli in conti intestati alla BCV presso la Federal Reserve Bank di New York negli Stati Uniti”. Aggiunse che tutti i beni della BCV controllati dal “Guaidó Board” sono in conti BCV situati negli Stati Uniti, che l’amministrazione Trump sequestrò al governo venezuelano e che sarebbe messo a disposizione da Biden per López, Carlos Vecchio e Guaidó. Come è noto, l’allora segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, aveva consentito allo “schema Guaidó” di ricevere e controllare i beni della BCV nell’Ufficio Federale di New York, denunciato dal governo venezuelano come “volgare saccheggio”. Nell’aprile 2020, l’amministrazione Trump trasferì 342 milioni di dollari di asset della BCV da Citibank su un conto presso la Federal Reserve di New York. La BCV era inadempiente nei pagamenti a Citibank perché non poteva accedere alle sue riserve nella Banca d’Inghilterra ed è così che Trump e Guaidó, insieme alle oligarchie spazzine dei tre Paesi, hanno creato un circuito perverso per portare a termine l’assalto. Il legittimo direttivo della BCV, nominato da autorità non soggette a piani esteri, denunciava l’utilizzo dei suoi fondi negli Stati Uniti sotto il controllo del “piano criminale di Guaidó” per pagare la multa di 400mila sterline. I rappresentanti “ad interim” affermavano di farlo perché possono e perché la legge degli Stati Uniti gli consente di disporre dei fondi sui quali “il Consiglio di Maduro non ha alcun diritto legittimo”.
Una minacciosa spirale di corruzione e saccheggio appena iniziata
L’utilizzo di beni statali per tali scopi suggerisce come Guaidó possa utilizzare le riserve auree del Venezuela nel Regno Unito qualora dovesse vincere la battaglia legale, si tratta di centinaia di milioni di dollari di beni venezuelani saccheggiati negli Stati Uniti già utilizzati per finanziare la costruzione del muro al confine militarizzato di Trump tra Messico e Stati Uniti, mentre le reti dei cartelli dei media montavano “scene di dolore” dei migranti venezuelani che attraversano il Rio Grande. Uno dei tanti precedenti del saccheggio combinato con continui tentativi di golpe, anche se in drammatico declino, è il caso di Monómeros, la filiale di Petróleos de Venezuela, SA (PDVSA) a Barranquilla, in Colombia, smantellata e distrutta dagli amministratori di questa società, in attività congiunta col presidente colombiano Iván Duque e Guaidó. Diversi media venezuelani e colombiani diffusero il trambusto orchestrato da Alfredo Chirinos, un front man del capo del partito Azione Democratica (AD), Henry Ramos Allup. L’operazione consisteva nel finanziamento di organizzazioni antichaviste venezuelane e gestita dalla defunta Assemblea nazionale in collegamento alla “Commissione per l’energia e il petrolio” composta da membri di tali partiti. Uomini d’affari colombiani e venezuelani comparivano in materiale probatorio come audio e registrazioni di riunioni in cui consegnavano ingenti somme ai rappresentanti di AD, dopo essere stati minacciati, insultati e sottoposti a un grosso “vaccino” in dollari, secondo quanto dovevano guadagnare in buste paga o contratti. I rapporti truccati non potevano nascondere l’impossibilità finanziaria della società, che nel 2019 registrò perdite per 30 milioni di dollari. Operando con alti costi di produzione e impianti fuori servizio, il capitale fu destinato a “spese amministrative straordinarie” che implicavano grandi compensi e benefici ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, così che le spese aumentavano di quattro volte. Se lo sforzo legale di Guaidó in Inghilterra dovesse avere successo, la minaccia o il disconoscimento delle istituzioni diverrebbe un’arma letale nell’arsenale della politica estera del Regno Unito, creando un precedente e fungendo da giustificazione per la sottrazione di beni a uno Stato straniero. e poi consegnargli ad individui alleati agli interessi del Regno Unito, cioè degli Stati Uniti.
Ogni analisi crollerebbe di fronte al fatto che un Paese abroga il diritto di trattenere beni in un altro perché non ne riconosce il governo, anche quando mantiene il controllo dello Stato, da consegnare a una rete di operatori che non ha il controllo di qualsiasi apparato statale. Ciò avrebbe conseguenze potenzialmente gravi e avverse per Londra come rifugio sicuro per i beni sovrani. Il giornalista McEvoy afferma che il congelamento dei beni venezuelani è chiaramente parte della guerra ibrida condotta da Stati Uniti e Regno Unito contro il Venezuela, parte cruciale che comporta la distruzione dell’economia del Paese, come riconobbe nel 2018 Boris Johnson, oggi primo ministro britannico. Al tempo riconobbe che le “sanzioni” equivalgono a punizioni collettive contro la popolazione civile, aggiungendo che “alla fine le cose devono peggiorare prima di migliorare e potremmo dover stringere la vite economica sul Venezuela”. Curiosamente, il complotto neoliberista che cercva di riordinare le economie a favore delle élite si lamenta dell’indipendenza politica e amministrativa delle banche centrali. La questione dell’oro venezuelano depositato presso la Banca d’Inghilterra è fondamentalmente politica, e non può essere separata dallo sforzo degli Stati Uniti di destabilizzare e rovesciare il Paese, non solo il suo governo, ma anche l’identità nazionale che gli permette di resistere e avanzare tra le difficoltà.
CITGO: il prossimo colpo
Una nota di Bloomberg pubblicata il 5 agosto affermava che Citgo Petroleum Corporation, holding energetica statale venezuelana che opera negli USA, rischia di essere venduta per ripagare 7 miliardi di debito. I creditori montano sfide legali per prendere il controllo della società, e sembra che ci riescano, poiché il decreto di Trump che mantiene la società sotto il controllo di Guaidó scade ad ottobre. I media, che si riferiscono all’azienda come “raffinatore e distributore di gas nordamericano col potenziale di contribuire con centinaia di milioni di dollari a rovesciare il Presidente Nicolás Maduro”, affermano che il mercato sembra credere che l’azienda finirà in mani non venezuelane per la prima volta dagli anni ’80. Citgo possiede tre raffinerie, sei oleodotti e 42 terminali in 21 Stati con 3.400 dipendenti e, poiché la produzione petrolifera del Venezuela è diminuita, la direttiva dall’”ad interim” installata doveva sostituire il greggio pesante ricevuto dal Paese a quelli simili da Messico e Colombia , inoltre l’ingresso di greggio venezuelano scese dal 29% del 2015 a zero nel 2020. Attribuiscono il crollo dell’azienda al fatto che due raffinerie nel Golfo del Messico furono colpite da uragani, tempesta invernale, attacco informatico al gasdotto e pandemia. L’anno scorso registrava una perdita di 667 milioni e le obbligazioni furono classificate spazzatura, raccogliendone 1,4 miliardi l’anno scorso. Diventata garanzia su quanto una compagnia o individuo dello Stato del Venezuela o del PDVSA deve concedere, specialmente quando furono diffuse le azioni corrotte di Guaidó e del suo ambiente, ampiamente discusse da questa tribuna.
Spiccano due contratti legati col PDVSA: la compagnia petrolifera ConocoPhillips, che rivendica 1,3 miliardi di dollari per la nazionalizzazione, e investitori che hanno 2 miliardi di dollari in obbligazioni PDVSA non pagate. Tali obbligazioni hanno un interesse collaterale del 50,1% nelle azioni di Citgo Holding. Crystallex, società mineraria di Toronto, rivendica 1 miliardo di dollari per una presunta miniera d’oro espropriata. Il valore di Citgo è stimato in 7,8 miliardi di dollari e le pretese nei suoi confronti in 7 miliardi di dollari, e quindi un giudice del Delaware deciderà come verranno vendute le azioni e diviso il ricavato, cosa che salverebbe Crystallex, che fa di tutto nel perseguire i beni venezuelani ed attende che un incaricato speciale presenti un ordine di vendita al giudice.
Bloomberg afferma che nello “schema Guaidó” c’è poco accordo su come procedere. Mentre una parte del cartello del saccheggio vuole vendere una raffineria in Illinois e cercare di raggiungere un accordo coi creditori, il “capo diplomatico” di Guaidó, Julio Borges vuole trasferire Citgo a un trust indipendente. L’attuazione del saccheggio di beni per espandere il saccheggio di risorse del Venezuela è, senza dubbio, uno degli aspetti della guerra contro il Venezuela che meglio mostra cosa c’è dietro il “piano Guaidó”, poiché non è un’operazione isolata contro il Venezuela ma piuttosto un modello d’intervento in cui gli alleati si uniscono al quadro aziendale che controlla il capitale globale.
Traduzione di Alessandro Lattanzio