GUANTANAMO

 

LE NUOVE TECNICHE DI "TORTURA"

 UTILIZZATE DAI MILITARI AMERICANI
 

 

18/06 I successi della popstar sexy Christina Aguilera trasmessi ad alto volume per impedire ai detenuti di Guantanamo di prendere sonno e distruggerli moralmente. E' questa una delle tecniche di "tortura" utilizzate dai militari americani per ottenere confessioni dai circa 520 cosidetti "combattenti nemici". Lo rivela il settimanale "Time" nel numero in edicola da oggi, proprio mentre continua ad impazzare il dibattito su una eventuale chiusura del carcere, con i centinaia di prigionieri mai incriminati e senza difesa legale. A Guantanamo "Time" dedica la sua copertina rivelando che oltre alle canzoni della Aguilera a tutto volume per impedire ai prigionieri di dormire, vengono utilizzati gavettoni, videocassette con gli attacchi alla Torri Gemelle e viene anche negato il permesso di andare al bagno. Tutto ciò si trova in un documento che "Time" ha ottenuto. Sono 84 pagine di cui il Pentagono ha confermato l'autenticità e in cui vengono spiegate le tecniche utilizzate per ottenere informazioni dai prigionieri, la maggior parte dei quali ex talibani o presunti tali catturati in Afghanistan. Nel documento si parla per esempio del "prigioniero numero 063", Mohammed al Qathami, la cui prigionia viene raccontata quasi minuto per minuto.

A un certo punto, spiega il documento, i responsabili degli interrogatori, per umiliare Qathami, gli impongono di abbaiare e di ringhiare davanti alle foto di altri detenuti. In altri episodi l'uomo viene obbligato a farsela addosso, gli vengono tagliati barba e capelli, o ancora viene fatta entrare nella stanza una donna, per metterlo in difficoltà, o un cane, di cui ha molta paura. Qathami, catturato in Afghanistan, aveva tentato di entrare negli Stati Uniti nell'agosto 2001, un mese prima degli attacchi dell'11 settembre, ma era stato rimandato indietro perché non aveva biglietto di ritorno.

Di qui il sospetto che lui fosse destinato a partecipare all'attacco dell'11 settembre 2001. Nel documento c'è anche la trascrizione dell' interrogatorio in cui lui ammette di lavorare per al Qaeda e per Osama bin Laden. Ma quando gli viene chiesto quale fosse la sua missione, Qathami risponde: "Non me l'hanno detto".Il rapporto segnala infine che ad un certo momento il detenuto ha avuto problemi di disidratazione ed è stato necessario ricoverarlo per diversi giorni in ospedale.

Tutto questo, si diceva, nel momento in cui la "questione Guantanamo" continua a "montare" nel dibattito politico. Ieri, per esempio, è stata al centro dei principali talk show televisivi domenicali con una serie di personalità - non solo dell'opposizione democratica - che iniziano a premere per una sua chiusura, visti i danni che sta arrecando all'immagine degli Stati Uniti all'estero. Davanti alle telecamere della Fox un deputato repubblicano, Duncan Hunter, presidente della commissione Forze Armate, ha addirittura rivelato che il dibattito ha investito in pieno la Casa Bianca, con diversi esponenti della stessa amministrazione del presidente George W. Bush che si dichiarano pronti a chiudere il carcere.

Nei giorni scorsi, poco dopo che Amnesty International aveva definito Guantanamo "il gulag del nostro tempo", Bush aveva reagito stizzito ("un'assurdità") ma aveva anche lasciato cadere un "stiamo esplorando tutte le alternative". Ieri però sia il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, sia il vicepresidente Dick Cheney, i due "falchi" del governo, hanno smentito una prossima chiusura della prigione di Cuba. Alla Cnn il senatore, anche lui repubblicano, Chuck Hagel, si è detto pronto ad accettare una chiusura di Guantanamo, ma solo se nel frattempo verrà trovata una alternativa per neutralizzare i terroristi che vogliono colpire gli Stati Uniti.

Sempre alla CNN, l'ex segretario di Stato Henry Kissinger ha espresso dubbi sull'utilità del carcere, visto il danno di immagine all'estero, ed ha anche messo in guardia sul rischio di creare una nuova generazioni di terroristi antiamericani, che poi era lo stesso argomento usato da Thomas Friedman, il columnist del "New York Times", che una settimana fa aveva posto il problema per primo.

Infine, il magazine settimanale dello stesso "New York Times" aveva ieri un lungo articolo dell'ex direttore del quotidiano, Joseph Lelyveld, in cui si chiedeva dove tracciare la linea tra abusi ed intimidazione nei confronti dei nemici degli Stati Uniti, dopo la tragedia dell'11 settembre.

 

(New York. Grazie alla redazione di "America Oggi")