Guantanamo

e lo strapotere dell’esecutivo

 

di Michael Ratner e Ellen Ray

NuoviMondimedia, 3 febbraio 2005

 

 

La recente sentenza della Corte Suprema ha finalmente dichiarato incostituzionali le violazioni dei diritti umani perpetrate in queste prigioni. Michael Ratner ed Ellen Ray spiegano cosa si cela dietro queste sbarre per presunti terroristi.

 

Ellen Ray: Michael, la base militare della baia di Guantanamo a Cuba è stata definita con varie espressioni, da “campo di concentramento in mezzo al mare” a “buco nero della giustizia”. Cosa sta accadendo in quel luogo e perché è così importante che io e te ne discutiamo?

Michael Ratner: Guantanamo è diventata un simbolo di molto del marcio della nostra società. È un complesso di prigioni brutali in cui centinaia di uomini e ragazzi di tutto il mondo, molti dei quali non riteniamo né colpevoli di alcun crimine né in qualche modo pericolosi per la sicurezza degli Stati Uniti, vengono tenuti dal governo statunitense in condizioni incredibilmente disumane e sotto continuo interrogatorio. Non sono stati accusati di nulla, non possono avere contatti con avvocati difensori o tribunali, né alcun diritto a udienze di qualsiasi tipo, e non sanno se e quando avrà fine la loro sofferenza. Queste prigioni sono un simbolo del disprezzo con cui l'Amministrazione Bush ha spazzato via solidi principi di diritto internazionale e condotta civile. Si tratta indubbiamente di una vergogna per la nazione.

Ray: Per iniziare la disamina del caso Guantanamo, raccontaci qualcosa sulla storia della base.
Ratner: La base navale di Guantanamo, un presidio militare statunitense che occupa 45 miglia quadrate dell'omonima baia, a Cuba, esiste in seguito a quella che potremmo definire la prima fase dell'imperialismo esterno americano (in contrapposizione all'imperialismo interno, la cosiddetta “predestinazione” sull'onda della quale gli Stati Uniti si impadronirono di gran parte del Nord America).

Per moltissimo tempo, gli Stati Uniti avevano desiderato alcune colonie spagnole, in particolare Cuba e Porto Rico, entrambe poco lontane dalla Florida. Nel 1898, mentre Cuba combatteva per la propria indipendenza contro la Spagna, gli Stati Uniti intervennero in quella che passò alla storia come la guerra ispano-americana, col pretesto di aiutare i cubani a sconfiggere gli spagnoli. Poco meno di un anno dopo, quando finì la guerra, gli Stati Uniti avevano assunto il controllo di Cuba, Porto Rico, Filippine e di molte altre ex colonie spagnole. La Costituzione cubana, che fu adottata nel 1901, comprendeva quello che è noto come Emendamento Platt, una norma che stabiliva le condizioni per l'intervento americano a Cuba e concedeva agli Stati Uniti il diritto di mantenere in eterno una base militare sull'isola. Ai sensi dell'Emendamento Platt, nel 1903 gli Stati Uniti presero in affitto Guantanamo dallo stato cubano (vedi Appendice 1, Documenti). Il contratto d'affitto contiene molte disposizioni chiave per capire se i tribunali americani abbiano o meno giurisdizione sull'isola. In primo luogo, il contratto concede agli Stati Uniti “piena giurisdizione e controllo” su quel territorio, affermando semplicemente di “riconoscere la continuità della sovranità ultima della Repubblica di Cuba”.

In altre parole, i cubani non hanno alcun tipo di potere su Guantanamo. In secondo luogo, l'affitto può terminare soltanto col consenso reciproco di entrambe le parti. Anche se Cuba vorrebbe sottrarsi all'accordo dalla rivoluzione del lontano 1959, non può farlo senza il consenso degli Stati Uniti. E gli Stati Uniti possono negare il loro consenso in eterno. Il contratto in realtà stabilisce il pagamento di una cifra irrisoria, pari a un valore di 2.000 dollari circa in oro (equivalente a circa 4.085 dollari annui in moneta circolante) ma il governo cubano rifiuta di accettare denaro dal 1959.

Gli Stati Uniti da molti anni sono formalmente nel torto, perché il contratto precisa che la base può essere usata solo come porto per il rifornimento di carbone, ma i cubani non sono mai riusciti a far valere questo argomento. La base è stata usata per un'infinità di scopi, da campo di raccolta per i profughi haitiani a prigione per i detenuti di Guantanamo: per tutto, tranne che per la sua destinazione originaria di porto per il rifornimento di carbone. Gli Stati Uniti sostengono di non avere sovranità sulla base di Guantanamo, ma di fatto esercitano tutti gli aspetti della sovranità. Per tutte le sue finalità, Guantanamo è una colonia o un territorio degli Stati Uniti. Un soldato americano che commette un crimine a Guantanamo (stupro, omicidio o altro) può essere processato da una corte marziale a Guantanamo o portato negli Stati Uniti e processato da una corte distrettuale federale. La legge che vige a Guantanamo è quella in vigore negli Stati Uniti, che hanno pieno controllo e giurisdizione su Guantanamo, e i tribunali americani dovrebbero avere il permesso di esaminare le detenzioni.
[...]
Ray: A cosa serve Guantanamo?
Ratner: Lo scopo di Guantanamo è distruggere la personalità dei detenuti per carpire loro, con la violenza, tutto ciò che vogliono i loro aguzzini, far
confessare loro qualsiasi cosa, accusare chiunque. Guantanamo è un carcere dove vengono praticati trattamenti crudeli, disumani e degradanti – persino la tortura – ed è assolutamente illegale. Questo è ciò che la base cubana è ed è stata per quasi tre anni. Il governo statunitense non nega che si tratti di un campo di interrogatorio, ma nega che vi si pratichi la tortura. Tuttavia, l'Amministrazione ammette di usare metodi che legalmente costituiscono trattamenti crudeli, disumani e degradanti, proibiti dalle norme del diritto. Il vero interrogativo è perché l'Amministrazione americana stia privando tutte queste persone di ogni diritto giuridico e umano, perché tagli loro la barba e li tenga chiusi in gabbia, perché non possano comunicare con le proprie famiglie, perché in molti casi queste ultime non possano neppure sapere se sono vivi o morti.

Ray: Perché ai cittadini americani dovrebbe interessare Guantanamo e ciò che sta accadendo laggiù?
Ratner: Dovrebbe interessare loro per molte ragioni.
In primo luogo, il modo in cui stiamo trattando i prigionieri a Guantanamo è scandaloso, motivo di imbarazzo per la gente di questa nazione e oltraggio ai popoli di tutto il mondo. Poter prendere qualcuno e sbatterlo in prigione su un'isola senza diritti di alcun tipo per due anni e mezzo è una cosa semplicemente disumana.

In secondo luogo, il trattamento che riserviamo a queste persone, che sono in prevalenza musulmani e di origine araba, dovrebbe essere motivo di profonda costernazione per il messaggio che invia al mondo musulmano. Guantanamo è diventata un'icona nel mondo arabo e musulmano: rappresenta il fatto che gli Stati Uniti sono nel torto e fanno del male alle persone. Se vogliamo vivere in un mondo sicuro, il messaggio che dobbiamo mandare è che tratteremo le persone non come animali, ma come esseri umani. Anche se dovremmo cercare di attenuare la rabbia verso gli Stati Uniti all'interno del mondo arabo e musulmano, non lo stiamo affatto facendo: in realtà stiamo facendo l'esatto contrario.

Terzo, dovrebbe interessarci Guantanamo perché dovremmo avere a cuore il modo in cui gli altri tratteranno i nostri concittadini. Se un americano – un soldato o un civile – viene catturato all'estero, come vogliamo che venga trattato? Vogliamo che venga trattato in modo giusto, nel rispetto delle leggi penali e delle Convenzioni di Ginevra, o vogliamo che venga trattato come noi stiamo trattando i prigionieri a Guantanamo? Gli Stati Uniti stanno dando un esempio di quale sorte possano subire i prigionieri internazionali, e si tratta di un esempio terribile.

Una quarta ragione per cui ci dovrebbe importare è ciò che tutto questo potrà implicare per il futuro dei precetti giuridici e per la struttura di società basate su questi ultimi, e non sui diktat di sovrani e presidenti. Per quasi 800 anni, da quando fu firmata la Magna Carta nel 1215, le nostre leggi hanno ribadito che ogni singolo individuo ha diritto a una qualche forma di processo giudiziario prima di essere gettato in prigione. Gli Stati Uniti stanno cercando di ribaltare uno dei principi fondamentali della giurisprudenza anglo-americana e del diritto internazionale. E si tratta di un principio che troviamo nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

Siamo regrediti a un sistema medievale anteriore alla Magna Carta: non un sistema di leggi, ma di strapotere dell'esecutivo, in cui il re – o, nel nostro caso, il Presidente – semplicemente decide, un bel giorno: “Sto per gettarti in una prigione. Non potrai vedere né un avvocato né nessun altro, non potrai sapere se sei accusato di qualcosa, o se potrai mai uscire da questa prigione”. Guantanamo è diventata la nostra Devil's Island, il nostro Château d'If del Conte di Montecristo.

Le conseguenze di questa abrogazione unilaterale di leggi fondamentali sono gravi non solo per le persone che si trovano a Guantanamo e per i cittadini di altri Paesi, ma anche per ogni persona che si trova negli Stati Uniti. Se abbiamo a cuore la civilizzazione e i precetti del diritto e della giustizia non possiamo continuare a trattare le persone in questo modo. Nessun posto al mondo dovrebbe sottrarsi alle regole della giustizia: in nessun luogo gli esseri umani dovrebbero essere privati dei loro diritti.Il coinvolgimento del Center for Constitutional Rights
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Ray: Come la guerra in Afghanistan ha portato alle detenzioni di Guantanamo?
Ratner: Ciò che è accaduto quando l'esercito americano è andato in Afghanistan nell'ottobre 2001 è stato incredibile. Come ha affermato il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, “sono state acciuffate 10.000 persone”.

Non erano necessariamente uomini presi sui campi di battaglia. Molti provenivano dal Pakistan e dalle aree circostanti; molti erano in abiti civili; molti furono catturati nel corso di raid notturni e non avevano niente a che vedere coi Talebani o con al Qaeda. E molti di loro non furono presi dalle forze armate americane, ma dall'Alleanza del Nord, una coalizione autonoma che i Talebani avevano combattuto per espellerla dal Paese. L'Alleanza del Nord, insieme a un gruppo di capi militari, finì per prelevare ben 35-40.000 persone. Gli Stati Uniti paracadutavano su tutto il Paese volantini in cui offrivano ricompense dai 50 ai 5000 dollari in cambio della consegna di membri di al Qaeda e di comandanti talebani di alto grado. In Afghanistan si tratta di somme di denaro molto ingenti. Gli abitanti dei villaggi e i capi militari, compresi gli stessi membri dell'Alleanza del Nord, cominciarono a consegnare alla polizia i loro nemici o chiunque non andasse loro a genio, oppure, alla fine, tutti quelli che riuscivano ad acciuffare. Tra coloro che sono stati liberati ci sono alcuni tassisti e persino un pastore che ha più di 90 anni.

Non sappiamo esattamente cosa sia accaduto alle migliaia di persone consegnate o catturate dagli Stati Uniti. Inizialmente, molti furono mandati in strutture detentive a Bagram e Kandahar, in Afghanistan, dove svolsero i primi interrogatori. Molti prigionieri riferirono di essere stati picchiati in questi luoghi, e ci sono testimonianze attendibili sull'impiego di metodi equiparabili alla tortura.
John Walker Lindh, il cosiddetto “Talebano americano”, fu legato nudo con cinghie di pelle a una lettiga e passò due giorni in un container. Sembra che alcuni detenuti siano stati “restituiti” ad altre nazioni. Le autorità statunitensi sapevano che i servizi segreti di quei Paesi sarebbero ricorsi alla tortura per ottenere informazioni.

Uno degli assistiti del CCR, per esempio, fu mandato in un primo tempo in Egitto, dove pare sia stato torturato, e in seguito a Guantanamo. A partire dal gennaio 2002, centinaia di questi prigionieri furono trasferiti nella base cubana. Tra di loro c'erano anche alcune persone catturate al di fuori delle cosiddette zone di guerra dell'Afghanistan e del Pakistan, in luoghi come la Bosnia, lo Zambia e il Gambia.

Ray: Una volta prelevate tutte queste persone dall'Afghanistan e dal Pakistan, cosa avrebbero dovuto fare di loro?
Ratner: A prescindere dal giudizio che si può dare della politica dell'Amministrazione, esisteva uno stato di guerra tra il governo statunitense e quello talebano dell'Afghanistan, e gli Stati Uniti effettivamente hanno il diritto di incarcerare i combattenti, ma devono essere trattati come prigionieri di guerra, nel rispetto delle Convenzioni di Ginevra. Ciò presuppone il divieto di interrogatori coercitivi, a prescindere da come vengono etichettate le persone catturate: abusi, trattamenti crudeli, disumani e degradanti e, naturalmente, la tortura sono tutte pratiche fuorilegge. Gli Stati Uniti avrebbero avuto il diritto di istituire un campo per prigionieri di guerra, e quel campo avrebbe potuto essere proprio Guantanamo, ma una struttura di questo tipo è qualcosa di radicalmente diverso dalla prigione degli interrogatori senza regole in cui è stata trasformata la base cubana.

Ray: L'Amministrazione Bush ha sostenuto che nessuno degli individui catturati era un prigioniero di guerra e che le Convenzioni di Ginevra non erano applicabili ai detenuti. Quest'obiezione è corretta?
Ratner: Assolutamente no. Gli Stati Uniti erano in guerra con la nazione dell'Afghanistan, che, come gli stessi Stati Uniti, fu ed è tuttora firmataria delle Convenzioni di Ginevra. Queste ultime sono valide nel caso di un “conflitto armato” tra “due o più fazioni” che abbiano aderito a esse, quindi non c'era ombra di dubbio sul fatto che valessero in quella guerra.

Le Convenzioni di Ginevra parlano molto chiaro: chi viene catturato o trattenuto in prigionia nel corso di una guerra è tutelato dalle convenzioni e dev'essere trattato come prigioniero di guerra. Se c'è qualche incertezza sul fatto che i soggetti siano o meno prigionieri di guerra, esiste una speciale procedura, seguendo la quale un “tribunale competente” determina, individuo per individuo, la condizione specifica dei detenuti. Finché quel tribunale non si riunisce e non prende una decisione, il detenuto dev'essere trattato come prigioniero di guerra.

In effetti gli Stati Uniti hanno una serie di norme che regolano nel dettaglio le procedure da seguire di fronte a questi “tribunali competenti” e li hanno usati migliaia di volte nel corso di conflitti precedenti. Ma in questa guerra l'Amministrazione si è rifiutata di farlo. Se un'udienza stabilisce che un detenuto non è prigioniero di guerra, quest'ultimo viene considerato un civile ed è tutelato da una sezione diversa delle convenzioni. Una simile conclusione potrebbe voler dire che egli non aveva il diritto di imbracciare armi e uccidere soldati nemici – diritto concesso invece ai componenti di un esercito nazionale – e di conseguenza il detenuto potrebbe essere perseguito per omicidio. Oppure l'udienza potrebbe stabilire che un soggetto non è né un prigioniero di guerra né un civile che ha fatto uso di armi, ma è semplicemente stato fatto prigioniero per errore. In quest'ultimo caso dovrebbe essere liberato. Queste udienze sono dunque fondamentali, specialmente in una guerra nella quale gli Stati Uniti sostengono che i soldati nemici non indossavano una divisa; in tali circostanze sbagliare è inevitabile e la necessità di tenere le udienze diventa quanto mai urgente. Il nocciolo della questione è che chiunque venga catturato nel corso di una guerra è tutelato dalle Convenzioni di Ginevra. Nessun individuo può essere privato dei suoi diritti e nessuno può essere lasciato alla mercé di coloro che lo hanno fatto prigioniero. La fine della legalità

Ray: Nel maggio 2004, gli organi di stampa hanno ottenuto e reso pubblico un memorandum datato 25 gennaio 2002, da Alberto R. Gonzales, consigliere della Casa Bianca, al Presidente, e la risposta datata 26 gennaio 2002 dal Segretario di Stato Colin Powell a Gonzales, in merito all'applicazione delle Convenzioni di Ginevra (vedi Appendice 1, Documenti). Che cosa dicono questi documenti riguardo alle leggi che dovrebbero valere per quei detenuti?
Ratner: Il memorandum Gonzales rappresenta l'inizio della fine della legalità relativamente al trattamento dei prigionieri di Guantanamo.
Esso raccomanda apertamente di non applicare le Convenzioni di Ginevra per i Talebani e per i membri di al Qaeda. Inizia affermando che il Presidente ha l'autorità costituzionale di decidere la non applicazione delle Convenzioni di Ginevra, un assunto che personalmente rifiuto. Le convenzioni, ratificate dal Senato, rappresentano, dopo la Costituzione, la suprema legge degli Stati Uniti e non possono semplicemente essere messe da parte da un Presidente che decide da solo.

Gonzales fornisce tre ragioni principali per giustificare la non applicazione delle convenzioni. In primo luogo, stabilire che non vanno applicate “elimina ogni disputa relativa al bisogno di verificare caso per caso lo status di prigioniero di guerra”. Naturalmente, l'analisi dei singoli casi individuali costituisce l'essenza del trattamento personalizzato richiesto dalla legge. In secondo luogo, la guerra al terrore “rende obsolete le rigide limitazioni di Ginevra sull'interrogatorio dei nemici combattenti”. In altre parole, le convenzioni interferiscono con gli interrogatori. Infine, il fatto di non attenersi alle Convenzioni di Ginevra “riduce in modo sostanziale la minaccia di provvedimenti penali [nei confronti di esponenti dell'Amministrazione] negli Stati Uniti, ai sensi del War Crimes Act (18 U.S.C. 2441)”. Quello statuto contiene violazioni gravi e criminali delle Convenzioni di Ginevra, a prescindere dal riconoscimento dello status di prigioniero di guerra. Tali violazioni comprendono, come sottolinea Gonzales stesso, “oltraggi alla dignità personale” e “trattamenti disumani”. Sembra ovvio che, già nel gennaio del 2002, l'Amministrazione Bush progettava di utilizzare (o aveva già utilizzato) metodi d'interrogatorio che riteneva potessero costituire “trattamenti disumani” e violare le convenzioni, esponendosi in questo modo a provvedimenti penali.

Gonzales concludeva che la scelta presidenziale di non applicare le convenzioni “avrebbe fornito una solida difesa contro future sanzioni”. Il memorandum di risposta di Powell si schiera nettamente a favore del trattamento di tutti i detenuti nel rispetto delle Convenzioni di Ginevra. Egli afferma che gli Stati Uniti non hanno mai stabilito che le convenzioni non debbano valere in conflitti armati in cui siano impegnate forze militari statunitensi, e sostiene che la loro applicazione sarebbe di aiuto per garantire un trattamento da prigionieri di guerra ai soldati americani catturati, riducendo al tempo stesso le minacce legali alle detenzioni, “offrendo un'immagine positiva in ambito internazionale” e “preservando la credibilità e l'autorità morale degli Stati Uniti”. Evidentemente, il suggerimento del segretario Powell non è stato seguito. Abu Ghraib ne è la prova lampante.
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Ray: Il Presidente Bush ha sostenuto che stava applicando le Convenzioni di Ginevra ai Talebani, ma non ai membri di al Qaeda. È davvero così? E cosa significa questa affermazione?
Ratner: Sì, il Presidente effettivamente lo disse nel febbraio del 2002, ma continuò affermando che, anche se le convenzioni erano valide per i Talebani, essi non sarebbero stati trattati da prigionieri di guerra. Quindi, ai sensi delle convenzioni, non avevano alcuno status effettivo, né effettivi diritti. Ciò era completamente illegale.

Per quanto riguarda i singoli individui catturati in Afghanistan, in Pakistan e in altre parti del mondo in seguito a loro presunte relazioni col terrorismo o con al Qaeda, sottolineò che le convenzioni non regolavano il loro trattamento. Su questo punto, relativamente a coloro che erano stati prelevati al di fuori delle zone di combattimento, formalmente poteva essere nel giusto; le Convenzioni di Ginevra e il diritto di guerra vengono infatti applicati soltanto nei conflitti tra le nazioni e nelle guerre civili. al Qaeda e altre presunte organizzazioni del terrorismo internazionale senza alcuna relazione con la guerra non dovrebbero essere soggette a queste regole. Ma se è vero che leggi e convenzioni non valgono per i presunti terroristi, questo non significa che il loro trattamento non sia soggetto ad alcuna regola.

Quegli individui avrebbero dovuto essere tutelati da tutte le leggi vigenti in condizioni di pace, un insieme di disposizioni chiamato “leggi sui diritti umani” del quale il diritto penale costituisce una branca. Ai sensi di questo insieme di leggi, chi è detenuto ha diritto a un'udienza pressoché immediata in tribunale, a un avvocato e a conoscere le accuse formulate contro di lui. Ma naturalmente l'Amministrazione Bush non ha concesso a nessuno i diritti che normalmente valgono per coloro che sono detenuti al di fuori di un contesto di guerra. Pur agendo come se la “guerra al terrorismo” costituisse un tipo di conflitto tradizionale, l'Amministrazione non ha applicato le Convenzioni di Ginevra, che secondo questa accezione sarebbero valide.

Ray: In pratica cosa ha comportato la decisione di Bush?
Ratner: Quando il Presidente ha stabilito che nessun soldato talebano era in realtà tutelato dalle convenzioni, e che nessun individuo presumibilmente legato al terrorismo o ad al Qaeda era protetto dalle convenzioni o dalle altre leggi, la situazione dei soggetti incarcerati dagli Stati Uniti nelle basi sparse nel mondo è diventata senza regole. Il trattamento dei detenuti è stato rimesso alla sola discrezione delle autorità di governo: una situazione totalmente illegale.

Ray: Ma gli Stati Uniti non continuano a sostenere che per chi è stato catturato in Afghanistan, in Pakistan e altrove vale il diritto di guerra?
Ratner: Il Presidente sostiene che quest'ultimo è applicabile a tutti coloro che si trovano a Guantanamo, a tutti coloro che sono stati catturati nel corso della cosiddetta “guerra al terrore”. Ma Bush sta utilizzando il diritto di guerra in modo selettivo, estrapolandone e prendendone in considerazione a suo piacimento alcune parti. Ci sono soltanto due sistemi giudiziari applicabili in caso di arresti, cattura di prigionieri e detenzioni: il diritto penale, da una parte, le leggi sui diritti umani, il diritto di guerra (anche definiti “diritto umanitario”) dall’altra. Ma gli Stati Uniti hanno messo a punto un terzo sistema, che dipende totalmente dal loro arbitrio e dalla loro propria accezione del diritto di guerra.
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Ray: Come è stato giustificato il ricorso al diritto di guerra?
Ratner: L'hanno giustificato in parte sostenendo che la risoluzione del Congresso, che autorizzava il Presidente all'uso della forza contro i responsabili degli attacchi dell'11 settembre, veniva a determinare uno stato di guerra. Ma il solo fatto di definire l'azione americana “guerra al terrorismo”, o persino di autorizzare le forze armate a fare prigionieri presunti terroristi, non la rende né una guerra tra due nazioni né una guerra civile. Si tratta sempre di un atto di applicazione del diritto internazionale soggetto al diritto penale ordinario.
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Ray: Come hai già detto, l'Amministrazione usa l'espressione “nemici combattenti” quando si riferisce a coloro che si trovano a Guantanamo. Che cosa significa esattamente? Da dove deriva questa definizione?
Ratner: Nel suo utilizzo dell'espressione “nemici combattenti” e nella discussione relativa al trattamento degli individui ai sensi del diritto di guerra, il governo ricava molte delle proprie argomentazioni da un famoso caso giudiziario della seconda guerra mondiale, chiamato Ex Parte Quirin.

Il caso Quirin riguardava i sabotatori tedeschi che si infiltrarono negli Stati Uniti presumibilmente per compiere atti di sabotaggio. Furono processati da un tribunale militare e condannati; alcuni di loro furono immediatamente giustiziati, altri furono liberati alla fine della guerra. Si trattò del primo caso in cui venne utilizzata effettivamente l'espressione “combattenti fuorilegge”. Nonostante la somiglianza terminologica, tuttavia, il caso Quirin non dovrebbe riguardare i prigionieri di Guantanamo. Esso infatti si svolgeva nel contesto di una guerra dichiarata tra due Stati sovrani e gli imputati erano spie o sabotatori direttamente al servizio del nemico nazista. Persino a queste persone fu concesso un processo; certamente la procedura con cui si svolse oggi sarebbe inaccettabile, ma si trattava pur sempre di un processo. Gli imputati non furono tenuti prigionieri in eterno senza aver diritto a un'udienza.

Quindi, questo caso non fornisce all'Amministrazione alcuna autorità per trattenere, a tempo indefinito, persone non legate a una nazione sovrana senza concedere loro un processo. Nel momento in cui alcuni di coloro che si trovano a Guantanamo fossero riconosciuti componenti dell'esercito talebano, dovrebbero comunque essere trattati come prigionieri di guerra e non come “nemici combattenti”, espressione che, dal punto di vista giuridico, è completamente priva di significato. Si tratta di una definizione vaga, adottata dall'Amministrazione Bush per far sembrare che i prigionieri che sono in carcere a Guantanamo e altrove possano essere trattenuti a tempo indefinito e senza alcun diritto.

Ray: L'Amministrazione sostiene di poter etichettare chiunque si trovi a Guantanamo come nemico combattente. C'è qualche fondamento per questa affermazione?
Ratner: Il punto è che quest'etichetta non ha alcuna rilevanza giuridica. Il suo unico significato, piuttosto ovvio, è quello riportato dai dizionari: una persona di un'altra nazione che ricorre alle armi, in questo caso contro gli Stati Uniti. L'Amministrazione Bush usa l'espressione per indicare presunti terroristi che non appartengono a un preciso Stato sovrano e che dovrebbero essere processati ai sensi del diritto penale. Quei detenuti non sono nemici combattenti, ma semplicemente persone sospettate di poter essere terroristi. Il governo parla di nemici combattenti riferendosi a soldati catturati in Afghanistan e in Iraq che dovrebbero essere classificati come prigionieri di guerra. Questo è ciò che le Convenzioni di Ginevra stabiliscono e ciò che l'Amministrazione sta ignorando. “Nemici combattenti” è una specie di definizione jolly cui non sono applicabili status e diritti previsti dal diritto nazionale e internazionale e che l'Amministrazione, di conseguenza, crede di poter usare per trattare la gente come vuole. L'utilizzo dell'espressione è stato più volte condannato.

Per esempio, nel 2002, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani dell'Organizzazione degli Stati Americani ha dichiarato che chiunque si trovi a Guantanamo ha diritto a un'udienza immediata che determini il suo status. L'Amministrazione ha ignorato questa disposizione e ha anche usato l'etichetta “nemici combattenti” per negare ai prigionieri il diritto all'udienza. Quando si è in guerra, sostiene l'Amministrazione, si possono trattenere fino alla fine del conflitto i soldati fatti prigionieri e non c'è bisogno di alcuna udienza. Ma le guerre convenzionali prima o poi finiscono. In questo caso, l'Amministrazione si arroga il diritto di poter tenere in prigionia degli individui per sempre, senza le garanzie che valgono per i prigionieri di guerra ai sensi delle Convenzioni di Ginevra.
Ai prigionieri di Guantanamo spetta qualche tipo di udienza, non una detenzione a tempo indefinito. Naturalmente Rumsfeld sostiene che i prigionieri possono essere tenuti a Guantanamo anche dopo essere stati processati da un tribunale militare. E che, se vengono condannati e scontano la loro pena, possono ugualmente essere trattenuti laggiù, finché lui o il Presidente non stabiliscano che non rappresentano più un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti.

Ray: Oltre alla decisione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani dell'Organizzazione degli Stati Americani, c'è stata qualche contestazione al di fuori degli Stati Uniti?
Ratner: Durante la causa Abassi un tribunale inglese ha affermato che i prigionieri di Guantanamo si trovavano in un “buco nero giudiziario,” che non avevano diritti nell'ambito del sistema utilizzato dagli Stati Uniti, e sollecitava questi ultimi – sui quali il tribunale inglese ammetteva di non avere alcuna giurisdizione – a garantire le udienze ai prigionieri.

Ray: Queste disposizioni hanno qualche valore presso i tribunali americani?
Ratner: I tribunali possono prenderle in esame, valutare le loro motivazioni e utilizzarle per riflettere sulla decisione da prendere in merito a un caso, o almeno dovrebbero agire in questo modo.
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Ray: Come è potuto accadere che l'emanazione di un provvedimento presidenziale che autorizza la reclusione a tempo indefinito abbia suscitato così poche proteste e dibattito pubblico?
Ratner: Anche se il Military Order 1 permetteva la detenzione a tempo indefinito, alla sua comparsa non è stato considerato sotto questo aspetto, ma piuttosto come un provvedimento che istituiva dei tribunali. Delineava anche le procedure standard spaventose che questi ultimi avrebbero seguito, e contro di esse ci furono opposizioni e dibattiti. I tribunali avrebbero operato al di fuori degli Stati Uniti, nel più assoluto riserbo, e i giudici sarebbero stati esponenti dell'esercito. All'accusa sarebbe stato permesso di produrre qualsiasi tipo di prova, comprese quelle derivanti da voci e dicerie. E veniva permessa l'ingiunzione della condanna a morte in caso di voto favorevole della maggioranza dei giudici. Quindi, inizialmente, le procedure furono in qualche misura contestate sia negli Stati Uniti sia nel resto del mondo.

Il provvedimento emanato da Bush prevede una politica detentiva draconiana. Afferma che il Segretario alla Difesa può tenere in prigione i sospettati su ordine del Presidente, e che, se essi vengono processati, si applicano determinate procedure. Tuttavia non specifica se avranno mai diritto a un processo.I nemici combattenti

Ray: Se il Military Order 1 non rappresenta la giustificazione legale per gran parte delle detenzioni di Guantanamo, in base a quale autorità vengono trattenuti quei prigionieri?
Ratner: Chiamando in causa i poteri costituzionali di comandante in capo del Presidente nella “guerra al terrorismo”, l'Amministrazione Bush ha rivendicato il potere unilaterale di arrestare in pratica chiunque, in qualsiasi luogo, privo o titolare di cittadinanza americana, anche nel territorio degli Stati Uniti: è sufficiente che un individuo sia ritenuto dal Presidente un nemico combattente. E questo assunto non è solo alla base della detenzione di molti cittadini stranieri a Guantanamo, ma viene anche addotto per giustificare la reclusione, presso carceri militari negli Stati Uniti, dei cittadini americani Josè Padilla e Yaser Esam Hamdi.

In un certo senso si tratta di qualcosa di peggiore di una detenzione ai sensi del Military Order; quanto meno quest'ultimo stabilisce che un detenuto deve verosimilmente ricadere in una delle tre categorie sopra menzionate. Ma in base a questi presunti poteri di comandante in capo, il Presidente può etichettare (e verosimilmente etichetta) delle persone come nemici combattenti e metterle in prigione per qualsivoglia motivo. Quando il suo consigliere, Alberto Gonzales, ha descritto questo strapotere che oggi il Presidente rivendica, in un discorso all'Associazione degli Avvocati Americani, ha affermato che “stabilire che un individuo è un combattente nemico rappresenta un giudizio eminentemente militare”, per il quale i tribunali, qualora svolgano inchieste, devono avere “grande rispetto”. In ogni caso, quando l'Amministrazione emanò il Military Order 1, pensava ai nemici combattenti come persone prive della cittadinanza americana. Riteneva i terroristi un gruppo di cittadini stranieri e si rese conto che ci sarebbe stata meno opposizione se fossero stati perseguiti in base a questo provvedimento. E in entrambi i tipi di detenzione – tanto in quella conseguente al Military Order quanto in quella stabilita dai poteri di comandante in capo – non ci sono imputazioni specifiche e i prigionieri non hanno assistenza legale, non possono vedere i familiari né sottoporre il proprio caso a un tribunale: non hanno diritto a nulla, nemmeno a essere liberati, finché non finirà questa fantomatica “guerra al terrore”.

Tutto ciò è davvero terribile. Se viene accettata la linea dell'Amministrazione Bush, quest'ultima potrà tenere in prigione e torturare la gente senza che i tribunali possano in qualche modo intervenire.

Ray: Di fatto, poche delle persone rastrellate nel corso di queste operazioni erano cittadini americani. A Guantanamo ci sono differenze nel loro trattamento rispetto a quello riservato ai cittadini stranieri?
Ratner:
Si è scoperto che una delle persone presumibilmente catturate sul campo di battaglia in Afghanistan e successivamente portate a Guantanamo, Yaser Esam Hamdi, aveva cittadinanza americana. A dimostrazione delle discriminazioni esistenti verso chi non è cittadino americano, Hamdi fu portato in una prigione militare nel South Carolina, in condizioni che potrebbero essere leggermente migliori rispetto a quelle di Guantanamo. Almeno per Hamdi, un cittadino americano detenuto all'interno del Paese, le porte dei tribunali non erano sbarrate come lo erano per i cittadini stranieri di Guantanamo.

Hamdi si poté presentare in aula, e il governo dovette ammettere di averlo catturato in battaglia e classificato come nemico combattente. Tuttavia ancora adesso non gli viene permesso di avere un avvocato per opporsi alla propria detenzione, per contestare le accuse basate soltanto su voci contenute nell'”affidavit” (è una dichiarazione scritta, garantita da un giuramento davanti a un pubblico ufficiale, NdT) del governo o portare testimoni a suo favore. Potrebbe continuare a essere cittadino americano anche marcendo in un carcere militare nel South Carolina, semplicemente grazie all'ipse dixit di qualche ufficiale governativo, a meno che, naturalmente, il suo caso non venga impugnato presso la Corte Suprema.

In seguito, anche un altro cittadino statunitense, Jose Padilla, è stato definito nemico combattente. Il suo è un caso ancor più estremo di abuso del diritto militare o di guerra: si tiene in carcere una persona che dovrebbe comparire, al massimo, dinanzi a un tribunale penale. Infatti non è stato catturato sul campo di battaglia e neppure arrestato in un Paese straniero. L'FBI lo arrestò appena sceso dall'aereo, a Chicago.

Inizialmente fu trattenuto come testimone, come soggetto che il governo avrebbe potuto gradire come membro di una giuria. Ma poi il Presidente lo etichettò come nemico combattente, presumibilmente perché Padilla stava meditando di usare una “bomba sporca” da qualche parte negli Stati Uniti. Naturalmente non sappiamo se ci sia alcuna prova di questo, e perché, se effettivamente ve ne sono, non si svolga un regolare processo. Padilla non è stato né accusato né processato: lo hanno prelevato dal carcere dove si trovava con lo status di testimone, portato nel South Carolina e sbattuto in un carcere della Marina senza un avvocato difensore.

Riflettete: il governo ha semplicemente ipotizzato che un cittadino statunitense stesse tramando qualcosa e di conseguenza l'ha ritenuto un nemico combattente che poteva essere rinchiuso in una cella per sempre. Come nel caso di Hamdi, il governo ha giustificato la sua detenzione soltanto sulla base di un “affidavit” che non poteva essere contestato. Dopo due anni, finalmente il governo ha permesso a Hamdi e Padilla di incontrare un avvocato, ma soltanto perché i loro casi sono arrivati fino alla Corte Suprema. Tuttavia gli avvocati sono stati tenuti in una stanza diversa da quella dei loro clienti e tutte le conversazioni sono state filmate. Inoltre, il governo non ha autorizzato i legali a utilizzare, nella difesa dei loro assistiti, alcuna delle informazioni ricevute nel corso dei colloqui. Naturalmente per gli avvocati è stato molto difficile, se non impossibile, discutere i casi coi loro clienti, quando finalmente si sono potuti incontrare: il governo li stava ascoltando.


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Estratti del Capitolo 1 del libro "Guantanamo. Quello che il mondo deve sapere" edito da Nuovi Mondi Media. Traduzione di Mauro Gurioli.