Londra 12 giugno 2006 PL

 

 

GUANTANAMO

I suicidi di tre prigionieri ha provocato ripercussioni internazionali

 

 

I suicidi di tre prigionieri nella base navale statunitense di Guantánamo, territorio cubano occupato illegalmente dagli Stati Uniti, ha avuto un’ampia ripercussione e alcuni li hanno definiti atti di disperazione, mentre altri ritengono si tratti di tragedie annunciate.

 

Gli avvocati dei prigionieri hanno denunciato che la decisione di togliersi la vita presa da questi uomini è dovuta alla disperazione provata dai prigionieri senza speranza di venire liberati, ha reso noto oggi la catena radiotelevisiva londinese BBC.

 

Manfred Nowak, relatore dell’ONU sulla Tortura, ha sollecitato l’Unione Europea ad esigere dagli USA la chiusura di questa prigione durante il Summit della prossima settimana con il presidente George W. Bush.

 

L’Amministrazione nordamericana mantiene reclusi nell’installazione dal 2002 più di 500 uomini catturati in Afghanistan, Pakistan ed altri paesi, denominandoli combattenti nemici e negando loro i diritti dei prigionieri di guerra stabiliti dalla Convenzione di Ginevra.

 

È proprio il limbo legale nel quale si trovano, senza protezione, accuse formali, diritto ad essere processati, visite dei familiari e quasi impossibilitati ad incontrarsi con gli avvocati, a scatenare la disperazione nelle centinaia di uomini condannati ad un vicolo cieco.

Il Pentagono ha riconosciuto che 25 prigionieri hanno tentato in 41 occasioni di togliersi la vita.

 

Ma questi tentativi sono stati considerati dal Ministero della Difesa statunitense come manovre per richiamare l’attenzione e manipolare l’opinione pubblica.

 

Lo stesso argomento è stato utilizzato dal comandante del centro, il contrammiraglio Harry Harris, quando sabato scorso ha annunciato la morte dei due yemeniti e del saudita, scartando l’ipotesi della disperazione e denunciandola come guerra asimmetrica.

 

I tre si sarebbero impiccati utilizzando i loro vestiti e coperte nel campo 1 di questo carcere. La notizia si è diffusa in un lampo, trattandosi dei primi suicidi in questa prigione dei quali si è venuti a conoscenza.

 

Dopo l’incidente sono state formulate nuovamente le richieste di chiusura del carcere e gli avvocati dei prigionieri hanno considerato queste morti una tragedia annunciata dalle condizioni di isolamento e solitudine.

 

William Goodman, direttore legale del Centro dei Diritti Costituzionali, un gruppo di giuristi che ha sede a New York, ha precisato che i prigionieri hanno agito per la disperazione causata dal non poter provare la loro innocenza, poiché si trovano di fronte un sistema senza giustizia e senza speranza.

 

Gli Stati Uniti non sono sfuggiti alle critiche dei loro alleati. La Germania ha chiesto un’indagine sui fatti ed ha ribadito la posizione espressa dalla sua cancelliera, Angela Merkel, secondo la quale la detta prigione dev’essere chiusa.

 

Anche Harriet Harman, ministra degli Affari Costituzionali britannica, parlando alla BBC si è pronunciata a favore della chiusura di questo centro di detenzione o per il suo trasferimento negli Stati Uniti.

 

Harman ha chiesto il perchè, se è vero che il presidio a Guantánamo è legale, non viene trasferito in territorio nordamericano affinché il sistema giudiziario del paese del Nord processi queste persone.

 

Il primo ministro danese, Anders Fogh Rasmusse, ha denunciato che i fatti registrati a Guantanamo violano la legge con la copertura della cosiddetta guerra contro il terrorismo.

 

 

12 giugno 2006 di G.Pavani da www.altrenotizie.org

 

 

GUANTANAMO

I suicidati

 

 

Adesso, solo adesso, Gorge W. Bush dice di essere "profondamente turbato". E adesso, sempre e solo adesso, la sua preoccupazione è che i corpi dei tre primi suicidi del carcere di Guantanamo, due detenuti sauditi e uno yemenita, siano trattati secondo quanto prevede la legge islamica, nel massimo rispetto, dunque, della loro religione.
Rispetto. Una parola che oggi risuona come un'ingiuria postuma a chi non ha avuto il privilegio di vedersi riconoscere questo primario diritto umano da vivo. Ma è un insulto anche per i vivi, per quelli che non possono far a meno di leggere nelle parole di Bush l'ennesimo, goffo tentativo dell'Amministrazione Usa di frenare l'inevitabile risposta che questo atto di apparente, estrema disperazione di tre uomini detenuti in modo arbitrario e definitivo nel "gulag dei tempi moderni", potrebbe scatenare a livello internazionale. Perché c'è soprattutto una domanda che aleggia indiscreta su questa vicenda, più che su altre maturate in seguito a fatti recenti: si sono uccisi davvero o li hanno ammazzati alla fine di un classico "confronto all'americana" tipico dell'unico carcere off shore del mondo? Bush, ovviamente, conosce la risposta. E sa che stavolta la pioggia di critiche internazionali sarà ancora più acida e corrosiva di sempre per la stabilità del suo governo e per la tenuta dell'asse anti-islamico occidentale.

Guantanamo, infatti, é un punto di scontro tra l'Amministrazione Bush e gli alleati e le prese di distanza, stizzite, che sono cadute pesanti nella stanza ovale di Washington, soprattutto dopo le denunce di Amnesty International, stanno lentamente incrinando il muro di sicurezza e di arroganza del presidente texano. La chiusura del carcere é stata chiesta dal cancelliere tedesco Angela Merkel, dal premier danese Anders Fogh Rasmussen e dal ministro della giustizia britannico Lord Goldsmith. Una pressione molto forte che aveva convinto Bush, solo venerdì scorso, a sedare gli animi affermando che il suo obiettivo sarebbe stato quello di chiudere Guantanamo. ''Vorremmo vedere la fine di Guantanamo. Vorremmo vederla vuota''. Poi, però, si era lasciato andare ad un'aggiunta che ha smascherato il vero pensiero, dunque l'ennesima menzogna. ''Dentro c'e' gente che, se liberata, farebbe del male ad americani e a cittadini di altri paesi del mondo. Per questo ritengo che questi prigionieri debbano essere processati in tribunali negli Stati Uniti''. La chiusura del Gulag, dunque, non è nell'agenda setting del governo americano: più chiaro di così non si può.

Ma l'imbarazzo derivante da quest'ultimo "incidente" è comunque forte per l'amministrazione americana. La preoccupazione di Bush è oggi anche la vendetta, la rappresaglia del mondo islamico. Non a caso il contrammiraglio Harry Harris, comandante della base prigione, ha parlato dei tre suicidi come "non di un atto di disperazione ma di un atto di guerra". Che non ha mancato, in qualche modo, di essere subito dichiarata, grazie all'immediatezza con cui il regime talebano in Afghanistan ha respinto al mittente la ricostruzione del suicidio dei tre detenuti bollandolo come un falso. Fino ad oggi a Guantanamo sono stati registrati 41 tentativi di suicidio e neppure uno è riuscito. Pensare che i tre musulmani possano aver portato a termine il loro intento impiccandosi con un cappio improvvisato di lenzuola e vestiti al soffitto delle loro celle non convince. Mofleh al-Qahtani, vice presidente dell'Assemblea nazionale saudita per i diritti umani, ha espresso forti dubbi sulle cause che hanno portato al decesso dei tre prigionieri, così come ha fatto un sedicente portavoce dei talebani, Mohammad Hanif. ''Noi non possiamo accettare l'affermazione che essi si sono suicidati, perché nessun musulmano, nessun mujaheddin può suicidarsi. E' proibito dalla sharia, la legge islamica''. ''Gli Stati Uniti dicono che i tre uomini, tre arabi, si sono suicidati e questo non e' vero, sono stati uccisi dai loro guardiani; un mujaheddin si impegna a battersi fino all'ultimo respiro'' ha aggiunto Hanif.

Dettagli d'identità religiosa che, senza dubbio, sfuggono all'amministrazione repubblicana. Che potrebbe - e diciamo potrebbe, perché il sospetto è d'obbligo - aver costruito, nel consueto modo raffazzonato, un incidente per mascherare un interrogatorio di gruppo sfuggito di mano per eccesso di zelo di qualche aguzzino in divisa. Risuona infatti inquietante il commento del generale John Craddok, comandante del Sothern Command di Miami. Senza alcun tentennamento, Craddok ha affermato che "la struttura di Guantanamo è fondamentale per il lavoro dell'esercito contro il terrorismo e gli interrogatori procederanno. Le persone lì detenute non sono criminali comuni, sono molto pericolose e costituiscono una minaccia per il nostro paese". Un modo come un altro per legittimare il proprio lavoro, la guerra privata di Bush e la prosecuzione della violazione dei diritti umani in nome del petrolio.

Il sospetto sulle modalità del suicidio dei tre prigionieri resta dunque molto pesante. E' infatti ragionevolmente impensabile che in un carcere di massima sicurezza, nel reparto dei guardati a vista di Camp 1, sotto i riflettori internazionali e in una situazione segnata da pesanti rivolte interne, punteggiate da scontri tra guardie e prigionieri durate anche 18 ore di seguito, oppure da scioperi della fame che hanno fatto registrare anche 131 digiunanti a fronte di 460 detenuti, la strettissima sorveglianza abbia potuto peccare di un'ingenuità tale da lasciare che i tre islamici si togliessero la vita di notte per essere scoperti solo all'alba del giorno dopo. Sarebbe sorprendente a Regina Coeli, figurarsi lì. E questo a fronte anche del fatto che quei detenuti che portavano avanti lo sciopero della fame ad oltranza sono stati alla fine sottoposti ad alimentazione forzata proprio per evitare che a Guantanamo ci scappasse quel morto capace di far scoppiare un putiferio. "Qui non vogliamo che muoia nessuno", aveva detto, nei giorni scorsi, un portavoce al quotidiano Miami Herald. Invece è accaduto.

 

 

12 giugno 2006 da http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=57138

 

 

GUANTANAMO

4 suicidi, nessuno ci crede

 

 

Protestano le associazioni dei diritti umani e anche il responsabile Onu all'indomani dei quattro suicidi nel carcere di Guantanamo. Sempre che si tratti di suicidi, sarebbero i primi nel centro di detenzione speciale creato dagli americani per i presunti terroristi. Ma le famiglie e i legali di tre di loro, tutti sauditi, non credono che si siano tolti volontariamente la vita e pretendono un'inchiesta super partes.

Il presidente americano George W. Bush ha espresso «profonda inquietudine» mentre il governo britannico ha definito il caso «un triste incidente». Ma l'ipotesi più incredibile è quella formulata dal contrammiraglio americano Harry Harris, comandante della base di Guantanamo. Secondo il militare, i suicidi non dipenderebbero dal livello di disperazione dei detenuti ma sarebbero piuttosto da archiviare come veri e propri «atti di guerra». In pratica i presunti terroristi uccidendosi sarebbero alla fine riusciti a mettere in atto un piano «d´attacco», come i martiri dei kamikaze che si fanno esplodere per colpire il nemico. Secondo la versione ufficiale i tre sono stati trovati morti sabato mattina nelle loro celle e si sarebbero impiccati con cappi improvvisati annodando lenzuola e indumenti, come ha precisato lo stesso ammiraglio Harris.

Le organizzazioni per i diritti umani saudite non credono si sia trattato di suicidi ma neanche di martiri e vorrebbero accertare le responsabilità delle autorità che gestiscono il carcere. «Le famiglie non ci credono, e neanche io ci credo» alla teoria del suicidio - ha affermato Me Kateb al-Chammari, il legale che rappresenta le famiglie dei due detenuti sauditi morti a Guantanamo, aggiungendo - è stato commesso un crimine e ne sono responsabili le autorità americane». Del resto, come fanno notare gli integralisti, nessun mujaeddin, nessun combattente, può suicidarsi in base alla sharia, la legge islamica.

Intanto il portavoce del ministero dell'Interno saudita, Mansour Turki, ha annunciato che il governo ha già iniziato le procedure per garantire il ritorno delle salme di Mani bin Shaman bin Turki al Habradi e di Yasser Talal Abdullah Yahya al Zahrani, i tre detenuti sauditi morti. Di un quarto suicida, di nazionalità yemenita, non è neppure trapelato il nome. Si tratta dei primi casi di suicidio registrati nel penitenziario, aperto dagli Usa nel 2002. Da allora si erano registrati oltre 40 tentativi di suicidio da parte di almeno 20 detenuti, solitamente compiuti tramite impiccagione o overdose di medicinali. A Guantanamo è tutt'ora in corso anche uno sciopero della fame in protesta contro le condizioni di detenzione, anche se il numero degli aderenti è sceso da 131 a 18. Il 25 percento dei detenuti a Guantanamo è di nazionalità saudita. Domenica Amnesty International è tornata a chiedere la chiusura del carcere «illegale» di Guantanamo. E ora anche il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Manfred Nowak - co-autore del rapporto Onu sul carcere speciale Usa a Guantanamo, sull'isola di Cuba, pubblicato a febbraio -invita l'Unione europea a premere per una rapida chiusura da parte degli Stati Uniti del centro di detenzione per sospetti terroristi nella base militare Usa della baia di Guantanamo, nel corso del prossimo vertice con il presidente americano George W.Bush previsto a Vienna il 21 giugno.
 

 

 

12 giugno 2006 da www.lastampa.it

 

 

GUANTANAMO

PROTESTANO LE ASSOCIAZIONI UMANITARIE E LANCIANO UN ALLARME: CI SARA’ UN’EPIDEMIA DI MORTI VOLONTARIE. L’UE CHIEDE A WASHINGTON LA CHIUSURA DEL CAMPO
Guantanamo, «Si sono uccisi per fare pubbliche relazioni»
Il giudizio del dipartimento di Stato sul suicidio dei detenuti

 

 

Un gesto di disperazione, come sostengono gli attivisti per la difesa dei diritti umani? Un «atto di pubbliche relazioni per attirare l'attenzione», come suggerisce un alto funzionario del Dipartimento di Stato, Coleen Graffy? O un omicidio mascherato, come accusano parenti e avvocati difensori dei tre «sospetti terroristi» trovati morti sabato nel campo di Guantanamo? Mentre si moltiplicano gli appelli internazionali per la chiusura di un carcere che Amnesty definisce «un gulag moderno», crescono i dubbi sulla versione fornita dalle autorità americane sulla morte dei tre arabi, due sauditi e uno yemenita. I militari responsabili del campo sull'isola di Cuba - dove dal gennaio 2002 sono rinchiusi senza mai essere stati processati uomini sospettati di legami con Al Qaeda o i talebani afghani - sostengono che si sono impiccati nelle loro celle con cappi improvvisati messi insieme con lenzuola e abiti. Ma, si chiedono i loro avvocati, come sono riusciti ad aggirare una sorveglianza capillare e continua come quella praticata a Guantanamo?

Tutti i dubbi saranno chiariti dall'autopsia, garantiscono i reponsabili del campo repingendo le accuse. Qualunque ne sia l'esito, la morte dei tre prigionieri costituisce un duro colpo per il presidente Bush e l'immagine degli Stati Uniti nel mondo. Il timore, fra quanti credono al suicidio, è di trovarsi all'inizio di una vera e propria «epidemia» di morti volontarie. «Le condizioni nel carcere provocano forme di despressione dalle quali cercano di uscire col suicidio», denuncia Mark Denbeaux, insegnante di diritto all'Università del New Jersey e difensore di due tunisini. Uno di loro, sostiene Denbeaux, «sta tentando di uccidersi con lo sciopero della fame». Ma il suo caso non è il solo: «Sull'intero campo grava un fetore di disperazione».

Le autorità militari ribattono che le condizioni dei detenuti sono «normali»: «Questi uomini sono determinati, intelligenti e continuano a fare quello che possono per diventare martiri», sostiene il contrammiraglio John Craoddock. Nel frattempo le proteste aumentano, nel mondo: in un'intervista alla Cnn il premier danese Rasmussen ha lamentato che le procedure di detenzione a Guantanamo «violano il principio stesso della legalità». Secondo il ministro degli Esteri svedese Eliasson i suicidi sono «una tragica conseguenza» delle condizioni di detenzione: «Il campo va chiuso». La presidenza di turno europea dovrebbe rivolgere un appello a Bush - si augura il coautore del rapporto Onu su Guantanamo, Nowak - in occasione del vertice Ue-Usa in programma il 23 giugno. Perfino fra i repubblicani si registrano perplessità: il senatore Arlen Specter ha dichiarato ieri che la mancanza di accuse precise contro i detenuti costituisce «un grave problema», e che molte persone sono state portate a Guantanamo «sulla base di prove poco convincenti». La chiusura del campo, obietta tuttavia Coleen Graffy, sarebbe «un processo complicato» e porrebbe problemi molto seri: «Cosa accadrebbe ai detenuti» una volta liberati? Soltanto una decina dei 460 prigionieri sono stati incriminati e sono in attesa di comparire davanti al tribunale militare. Tutte le udienze sono però state sospese in attesa della decisione della Corte Suprema, attesa entro la fine del mese e sollecitata da un detenuto yemenita che contesta la legalità dei tribunali militari: se la Corte respingerà il suo ricorso, i processi dovrebbero svolgersi rapidamente.

In caso contrario non è chiaro che cosa accadrà. Prima di pronunciarsi in merito, comunque, la Corte dovrà rispondere a un quesito sulla propria competenza posto dall'Amministrazione Bush, che ha chiesto ai giudici supremi di ricusarsi sulla base di una recente legge sul trattamento dei detenuti: se la Corte si dichiarerà incompetente, i tribunali militari saranno di fatto validi e tutte le procedure avviate dai prigionieri davanti a corti civili saranno annullate.

 

 

11 giugno 2006 Fausto della Porta - www.ilmanifesto.it

 

 

GUANTANAMO

Primi morti

 

 

Due sauditi e uno yemenita trovati cadaveri, «probabilmente suicidi», nel famigerato lager Usa. Inutili i tentativi di rianimarli. Sono le prime vittime di Camp Delta: la loro morte potrebbe suscitare reazioni gravissime in tutto il mondo islamico.

Li hanno trovati esanimi, corpi senza vita nelle celle in cui erano rinchiusi da anni. Due cittadini sauditi e uno yemenita, prigionieri del campo di detenzione di Guantanamo sull'isola di Cuba, hanno deciso di togliersi la vita, probabilmente come atto supremo di protesta per una condizione che si era fatta insostenibile. Mentre scriviamo, si aspetta una dichiarazione del Pentagono e del presidente George W. Bush. Si aspetta una versione ufficiale per quelle che sono le prime morti nel grande carcere off-shore americano, dove marciscono 460 «sospetti terroristi», per lo più senza incriminazione né processo. «Due sauditi e uno yemenita che si trovavano a Camp 1 sono stati trovati dalle guardie nelle loro celle quando già non respiravano e non rispondevano più agli stimoli», si legge nel comunicato diffuso dal Comando meridionale. La loro morte è stata dichiarata dopo che i tentativi di ripristinare le funzioni vitali si sono dimostrati inutili.
I tre hanno probabilmente deciso di compiere quest'azione estrema insieme, per risvegliare l'attenzione del mondo su quello che Amnesty International ha definito il «gulag dei tempi moderni». Un'azione che poteva probabilmente prevedersi, soprattutto alla luce degli eventi di questi ultimi mesi, che hanno visto una vera e propria escalation degli atti di autolesionismo e di proteste violente. Alla fine di maggio, un gruppo di detenuti aveva attaccato i carcerieri con armi artigianali ricavate da ventilatori e lampade, dando inizio a una rivolta che era andata avanti per ore. Poco prima, altri tre uomini avevano tentato di suicidarsi ingerendo dosi massicce di farmaci. Da mesi, alcuni detenuti portano avanti uno sciopero della fame a oltranza, chiedendo migliori condizioni di detenzione. Ma la loro protesta è spesso stroncata con il ricorso all'alimentazione forzata, praticata legando i prigionieri mani e piedi ai propri letti.
L'episodio di ieri rischia di scatenare un putiferio e di rendere la posizione dell'amministrazione Bush - già invisa all'opinione pubblica dei paesi islamici per la sua guerra d'aggressione in Iraq e criticata per le frequenti violazioni dei diritti umani - estremamente delicata. Tanto più che il campo di Guantanamo era diventato un vero e proprio rebus negli ultimi tempi per la Casa bianca e il Pentagono. Tutti i principali alleati degli Stati uniti - persino il fido premier britannico Tony Blair - hanno auspicato in tempi recenti la chiusura del centro. Il comitato contro la tortura delle Nazioni unite l'aveva definito «illegale» e ne aveva chiesto lo smantellamento.
Critiche che, dopo un primo momento di indifferenza, hanno avevano finito per incrinare leggermente il muro di sicurezza e di arroganza dell'amministrazione Bush. Solo l'altro ieri il presidente aveva detto che gli sarebbe piaciuto porre fine a Guantanamo, svuotarlo. Ma non aveva poi mancato di aggiungere: «Alcuni prigionieri, se mandati in strada, possono arrecare gravi danni ai cittadini americani e del mondo».

 

 

 

Washington 10 giugno 2006 - Adnkronos

 

 

GUANTANAMO

tre detenuti si suicidano in carcere

 

 

Tre detenuti del carcere americano di Guantanamo si sono suicidati. Le vittime sono due prigionieri di nazionalità saudita e uno yemenita, secondo quanto ha reso noto il Comando meridionale Usa da cui dipende la base. ''Due sauditi e uno yemenita che si trovavano a Camp 1 sono stati trovati dalle guardie nelle loro celle quando già non respiravano e non rispondevano più agli stimoli'', si legge nel comunicato diffuso dal Comando. La loro morte è stata dichiarata dopo che i tentativi di ripristinare le funzioni vitali si sono dimostrati inutili. I militari americani precisano che le salme vengono trattate ''con il massimo rispetto'' e che è stata aperta un'inchiesta. La notizia è stata diffusa da un funzionario dell'Amministrazione. Il presidente George W. Bush, che si trova a Camp David per il fine settimana, è stato informato di quello che viene descritto come ''un incidente''. Il gesto appare invece come un atto di protesta contro la prigione militare in cui si trovano ancora circa 460 presunti terroristi, la maggior parte dei quali senza essere mai comparsi di fronte a un giudice o incriminati formalmente. Nel frattempo, sono ancora 18 i detenuti della base americana che proseguono lo sciopero della fame che una settimana fa avevano iniziato in 131 per protestare contro le condizioni cui sono costretti.

 

Lo scorso maggio le Nazioni Unite avevano sollecitato la chiusura del carcere, denunciando che la detenzione di persone a tempo indefinito viola il bando internazionale alla tortura. Alla richiesta del Palazzo di Vetro avevano fatto seguito quelle del cancelliere tedesco Angela Merkel, del premier danese Anders Fogh Rasmussen e del ministro della Giustizia britannico Lord Goldsmith.

''Vorremmo chiudere Guantanamo, vorremmo che fosse vuoto. Ma ci sono alcuni detenuti che se rimessi in strada costituirebbero un grave pericolo per gli americani e per i cittadini di altri Paesi del mondo. Quindi credo che debbano essere processati in tribunali negli Stati Uniti'', aveva dichiarato Bush venerdì scorso, dopo aver incontrato Fogh Rasmussen. Il presidente americano aveva anche precisato che stava aspettando la pronuncia della Corte Suprema in merito alla sua autorità di affidare i casi ai tribunali militari.