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domenica 15 gennaio 2006
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Gianni Minà
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L'indecente uso elettorale che la
destra e alcuni mezzi di informazione hanno fatto e stanno facendo
delle immagini dell'assassinio di Fabrizio Quattrocchi in Iraq, mi
spinge a una riflessione come cittadino e come giornalista. Il
coraggio e la dignità mostrati dal contractor genovese al momento
della morte hanno convinto il nostro Ministro degli Esteri,
Gianfranco Fini, a definirlo un eroe, aggiungendo che dovrebbero
vergognarsi tutti quelli che all'epoca di quell'esecrabile
episodio mostrarono perplessità per il mestiere scabroso che
Quattrocchi stava svolgendo in Iraq. Nel migliore dei casi quello
di coprire le spalle a manager e uomini d'affari occidentali che
vanno a portarsi via l'ultimo brandello di ricchezza della terra
di Babilonia.
Fini sarebbe credibile, in questa teorizzazione se, in tutti
questi anni «terroristici», si fosse ricordato di usare le stesse
parole per i milioni di esseri umani che, ogni giorno, lasciano
questo mondo e i loro cari con coraggio e dignità per colpa del
terrorismo economico e di stato, messi in atto da molte nazioni,
anche definite democratiche.
Del terrorismo economico, che annichilisce la maggior parte
dell'umanità e di quello di stato, che condanna all'esclusione e
alla repressione intere popolazioni, non si occupa mai, per
esempio, Magdi Allam, che sul Corriere della Sera invoca la guerra
santa per il terrorismo di matrice islamica, ma dimentica di
lanciare la stessa fatwa a organismi come Fondo Monetario
Internazionale e Banca Mondiale, che esprimono nelle loro logiche
e nelle ricette economiche che impongono alle nazioni più povere
la stessa spietatezza di Al Zarqawi.
Ma c'è qualcosa di più che mi lascia perplesso: nel 1999 un
giovane imprenditore italiano,
Fabio Di Celmo,
fu dilaniato, all'Hotel Copacabana dell'Avana, dall'esplosivo
messo da Ernesto Cruz Leon, un povero disgraziato salvadoregno
ingaggiato per 10mila dollari, per conto della Fondazione
Cubana-americana di Miami, da
Luis Posada Carriles.
Questo famigerato personaggio, un vero e proprio Bin Laden
latinoamericano, era, per conto della Cia, la mente di questa
attività dinamitarda che voleva mettere in crisi il turismo
cubano, prima fonte di entrata del paese. Non a caso Posada
Carriles, che fece
esplodere, nel `76, un aereo civile della Cubana de Aviacion,
che partecipò, nello stesso anno, all'organizzazione
dell'attentato mortale a Washington ai danni di Orlando Letelier,
ex Ministro degli esteri del governo di Salvador Allende, vive
ora, protetto dalla famiglia Bush, in un centro di detenzione
dell'Ufficio immigrazione e dogane del Texas, dove la sua
posizione verrà esaminata il 24 gennaio. Posada Carriles (dopo
essere stato processato e condannato a Panama e poi fatto fuggire)
ha chiesto asilo politico, invocando per il suo caso addirittura
«il segreto di stato».
In un libro che uscirà alla metà di febbraio per Sperling & Kupfer,
Il terrorismo degli Stati Uniti contro Cuba, tutta questa vicenda
è raccontata, fra gli altri, da saggisti come Noam Chomsky, Howard
Zinn, James Petras, Ignacio Ramonet, diplomatici come Wayne Smith,
avvocati dei diritti civili come Leonard Weinglass e scrittori
premio Nobel come Garcia Marquez e Nadine Gordimer. Ma Posada
Carriles se ne frega. Per le nazioni che si autodefiniscono
«democratiche» e perfino per una parte della cosiddetta sinistra,
tutto questo non è mai successo e non succede.
Eppure, per le trame infami di terroristi di fiducia del governo
di Washington come Posada Carriles, più di 3500 persone, in questi
anni, ci hanno rimesso la vita, per attentati organizzati in
Florida ed attuati a Cuba, senza commiserazione alcuna
dell'Occidente.
Fabio Di Celmo non ebbe neanche il tempo, come Quattrocchi, di
dire come voleva morire. Fu spazzato via dal mondo senza che il
governo del suo paese, l'Italia, si sia mai ricordato di lui. Non
faceva il contractor, come i 15mila colleghi di Quattrocchi che
lavorano in Iraq, anche con compiti inquietanti come quello di
interrogare prigionieri senza tutela, per liberare da queste
sgradevoli incombenze l'esercito degli Stati Uniti, tanto
chiacchierato per i metodi usati ad Abu Ghraib e a Guantanamo. Di
Celmo portava solo aiuto all'economia di un paese costretto da
quasi 50 anni a soffrire per un immorale embargo degli Stati
Uniti. Ora la sua opera di volontariato la continua il padre
Giustino, ottantaquattrenne.
Se è giusto, come ha deciso il Comune di Roma, dedicare una via a
Fabrizio Quattrocchi, vittima ed esempio di un'insensata
prepotenza subita, credo sia morale promuovere la stessa
iniziativa per Fabio Di Celmo, a meno che non ci sia differenza
fra terrorismi e ci siano quelli «buoni» perché convenienti alle
politiche del governo degli Stati Uniti, pervicacemente teso a
cancellare la Revolucion cubana, e quelli «cattivi» perché messi
in atto, invece, da quello che viene chiamato terrorismo islamico.
Il terrorismo è abbietto sempre e le sue vittime hanno diritto
all'attenzione sempre.
Per questo se il governo italiano avesse la famosa dignità di cui
abbiamo parlato, avrebbe già chiesto al governo degli Stati Uniti,
l'estradizione di Luis Posada Carriles, mandante dell'assassinio
di Fabio Di Celmo, come è stato fatto per i militari argentini
della dittatura. Forse il Ministro degli esteri Fini, per coerenza
dovrebbe pensarci.