Posada Carriles,

l'avvoltoio senza ali

 

venerdì 18 agosto 2006 - www.altrenotizie.org

 

Per provarci, ci hanno provato, ma senza risultato. Gli Stati Uniti hanno tentato con ben sei paesi di piazzare altrove il terrorista cubano-americano, Luis Posada Carriles, ma senza riuscirci. La rivelazione è stata resa pubblica durante l'udienza presso la Corte Federale dello scorso lunedì, nella quale il 78enne terrorista ha chiesto di essere liberato ed uscire dietro la sua parola dal centro di detenzione dell'Ufficio dell'Immigrazione e Controllo Doganale (ICE), praticamente una sorta di Cpt, dove risiede dal 17 maggio del 2005. Dal maggio dello scorso anno, infatti, Posada Carriles si trova a Miami, dove era tornato ansioso di riabbracciare i vecchi amici della FNCA a seguito del perdono presidenziale offertogli dalla ex presidente di panamense Mireya Moscoso, che decise di liberarlo mentre era detenuto e imputato in un processo per il tentato assassinio di Fidel Castro tramite un attentato esplosivo che avrebbe dovuto aver luogo nella città universitaria di Panama City e che avrebbe provocato centinaia di vittime. Il processo, che si sarebbe forse concluso con dure condanne per lui e i suoi compari, venne annullato dal decreto presidenziale che liberò tutti gli imputati, tutti ex agenti della Cia e membri della Fnca.

Autore di un considerevole numero di attentati ed assassini contro
Cuba ed i cubani, tra i quali l'esplosione in volo dell'aereo della Cubana de Aviacìòn sui cieli delle Barbados nel 1976, costato 73 morti, o la catena di attentati sull'isola nel 1997, in uno dei quali rimase ucciso il giovane imprenditore italiano Fabio Di Celmo, il "Bin Laden delle Americhe" fatica non poco a trovare chi voglia ospitarlo. La sua dimora attuale non appare compatibile con la prosopopea della Casa Bianca contro il terrorismo. La presenza dell'assassino, che ha speso tutta la sua vita al soldo della CIA, risulta in effetti a dir poco imbarazzante per l'Amministrazione Bush. Si aggiunga poi che Posada è in stato di fermo solo in quanto immigrato illegalmente negli Usa, non certo in quanto assassino reo confesso e terrorista in lungo e largo per le Americhe.

L'avvocato di Posada, Eduardo Soto, ha chiesto a più riprese la liberazione del suo cliente, spiegando che le sue attività terroristiche si svolgevano "come soldato degli Stati Uniti, agli ordini e nell'esclusivo interesse del governo degli Stati Uniti". Ma congressisti, giornali ed organismi della società civile statunitense, hanno reiterato a più riprese che la presenza di Posada è causa di forte vergogna per il paese.

A complicare le cose ci si sono messe le richieste di estradizione da parte di Cuba e Venezuela, che sono state respinte dagli Usa. Il rifiuto di estradarlo da parte del paese organizzatore di Guantanamo e Abu Ghraib, dei sequestri e dei voli della tortura in giro per l'Europa, è stato spiegato con la divertente motivazione che "Posada Carriles, se venisse estradato a L'Avana o Caracas, rischierebbe di essere torturato e ucciso". Un atto comunque dovuto quello di cercare di piazzarlo da qualche parte, visto che l'anno scorso, un giudice dell'immigrazione di El Paso, proibì che il terrorista cubano-americano fosse appunto estradato a Cuba o in Venezuela, ordinando però la sua espulsione verso qualunque Paese che fosse disposto ad accoglierlo. La presenza della belva rimane dunque un problema per gli Usa. Da qui la necessità di trovare qualche paese disposto ad un favore.

La diplomazia Usa si è quindi data da fare. Prima hanno deciso di tentare con Stati internazionalmente presentabili, come Messico e Canada, ma la risposta di entrambi è stata un secco "no". Hanno quindi cercato di scaricarlo a paesi compiacenti e bisogna riconoscere che anche qui gli Stati Uniti ce l'hanno messa tutta. Prima hanno provato a scaricarlo a El Salvador, il cui presidente è un buon amico della Fondazione Nazionale Cubano Americana, sponsor di Posada: niente. Ci hanno quindi provato con il Guatemala, dove i seguaci del genocida Rioss Mont non hanno mai dimenticato i loro solidi ed affettuosi legami con tutto il terrorismo anticomunista agli ordini di Washington: macchè. Allora hanno provato con l'Honduras, piattaforma militare statunitense in servizio permanente effettivo: niente da fare. Quindi il tentativo è stato fatto con il Costa Rica, enclave statunitense sempre disponibile: anche qui, nessun esito positivo.
Secondo l'avvocato Soto, le rivelazioni del Governo dimostrano che gli Usa non riescono a deportare Posada e, a suo dire, questi dev'essere lasciato in libertà. Non farlo, aggiunge l'avvocato Soto, "violerebbe la sentenza della Corte Suprema del 2001 che si è espressa contro la detenzione infinita di stranieri non deportabili in altri paesi". Da parte sua però, Ethan Kanter, avvocato del Dipartimento di Giustizia, che rappresenta il governo Usa nel processo, ha chiesto al giudice Norbert Garney di respingere la petizione di Posada Carriles, "perchè gli sforzi del governo per estradarlo a paesi amici continuano", e anche perché la sentenza del 2001 della Corte Suprema permette la detenzione indefinita degli individui che si considera rappresentino "un pericolo per la comunità''. Posizione previdentemente anticipata in una lettera che l'ICE inviò a Posada Carriles nel marzo scorso, dove si diceva che egli "continua a rappresentare "un pericolo per la comunità e un rischio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti".
Il gioco del cerino rischia di bruciare le dita all'Amministrazione Bush. Da un lato non possono permettersi di lasciarlo a piede libero per le evidenti polemiche interne ed internazionali che ciò scatenerebbe. Dall'altro non possono estradarlo o tenerlo prigioniero a lungo, anche solo per evitare che le polemiche con la Fnca - che lo vuole libero - possano ripercuotersi negativamente per i repubblicani nella campagna elettorale di medio termine che avrà luogo il prossimo novembre. Senza dimenticare il vero e proprio spettro per gli Usa, che non vorrebbero in primo luogo che Posada, sentitosi scaricato, possa anche solo pensare di raccontare quel che sa in cambio di quel che gli resta da vivere.