Mano a mano che la situazione in Bolivia si surriscalda e si avvicina lo
scontro all'ONU per il seggio latino-americano in Consiglio di sicurezza
(che gli Usa vogliono impedire vada al Venezuela), aumenta la tensione fra
i paesi della regione andina.
In Bolivia Evo Morales, poco meno di un anno dopo la sua trionfale
elezione, è in forte difficoltà sia all'interno (sanguinoso conflitto fra
i minatori dello stagno e scioperi a raffica) e all'esterno (dopo la
nazionalizzazione degli idrocarburi di maggio). In Ecuador domenica si va
ad elezioni presidenziali in cui appare favorito, al momento, un candidato
considerato vicino a Hugo Chavez, che però è stato per l'occasione più
discreto nel suo appoggio a Rafael Correa di quanto non lo sia stato in
aprile verso il candidato nazionalista Ollanta Humala in Perù (che di
fatti perse il ballottaggio con Alan Garcia). In Venezuela tutta
l'attenzione è rivolta all'imminente voto dell'assemblea dell'Onu sul
seggio a rotazione in Consiglio di sicurezza, con l'America impegnata a
schierare i suoi vassalli - il Guatemala ma non solo - per stoppare le
ambizioni di Caracas.
Hugo Chavez, come al solito, non va tanto per il sottile nell'uso delle
parole. E ieri ha messo in guardia l'esercito boliviano, a cui si
attribuisce «nervosismo» e «malessere» per le iniziative di Evo, da mosse
avventate. Leggi golpe. Secondo Chavez c'è in atto un piano Usa,
attraverso le transnazionali del gas e del petrolio, per rendere
impossibile la vita a Morales, fino a una possibile sua «rimozione» da
parte dei militari. Ma attenti, perché «il Venezuela non resterà a braccia
conserte se il popolo boliviano e il suo governo fossero attaccati da
forze interne o esterne». Chavez non ha fatto che ribadire l'intervento
dell'ambasciatore venezuelano a La Paz che sabato, parlando ai cocaleros
del Chapare, aveva garantito la disponibilità di Caracas a dare «il suo
sangue e la sua vita» in difesa della rivoluzione boliviana, suscitando le
reazioni indignate dell'opposizione e imbarazzate del governo.
Il portavoce di Morales, Alez Contreras, ha accusato l'opposizione e «i
gruppi detentori del potere nel passato» di diffondere «l'onda di voci»
sul golpe, anche se la situazione è perfettamente sotto controllo dal
momento che forze armate, polizia e movimenti sociali continuano ad
appoggiare Evo.
E' di qualche settimana fa l'annuncio di un accordo militare molto stretto
fra Venezuela e Bolivia che ha acceso l'allarme dei paesi vicini e
naturalmente di Washington. Ma le voci si accavallano. Non solo di golpe
ma anche di basi militari. Ieri è stata la volta del peruviano Alan Garcia
ad affermare di essere «enormemente preoccupato e offeso» per le voci
sulla costruzione di «12 basi militari» (o addirittura 20) da parte della
Bolivia - «paese fratello» del Perù -, «alcune delle quali alla frontiera
peruviana», come parte dell'accordo recente con il Venezuela. A La Paz
smentiscono: gli accordi con Caracas in materia di difesa sono simili a
quelli esistenti con altri paesi e al massimo le basi militari sulla
frontiera sarebbero un paio. Garcia, ricevuto giorni fa da Bush, ha
accusato il Venezuela per le basi e la Bolivia per il suo «fondamentalismo
legato alla coca». E' singolare tanto rumore sugli accordi militari fra
Venezuela e Bolivia rispetto al silenzio pressoché completo, l'anno
scorso, sull'apertura di una enorme base militare Usa nel desolato deserto
paraguayano del Chaco, a Mariscal Estigarribia, con una pista lunga 3800
metri e 400 militari americani. A due passi dal confine boliviano.