| 13 ottobre 2006|  M.Matteuzzi | www.ilmanifesto.it

America latina

 

Golpe anti-Evo?

 

Attenti, dice Chavez

 


Mano a mano che la situazione in Bolivia si surriscalda e si avvicina lo scontro all'ONU per il seggio latino-americano in Consiglio di sicurezza (che gli Usa vogliono impedire vada al Venezuela), aumenta la tensione fra i paesi della regione andina.
In Bolivia Evo Morales, poco meno di un anno dopo la sua trionfale elezione, è in forte difficoltà sia all'interno (sanguinoso conflitto fra i minatori dello stagno e scioperi a raffica) e all'esterno (dopo la nazionalizzazione degli idrocarburi di maggio). In Ecuador domenica si va ad elezioni presidenziali in cui appare favorito, al momento, un candidato considerato vicino a Hugo Chavez, che però è stato per l'occasione più discreto nel suo appoggio a Rafael Correa di quanto non lo sia stato in aprile verso il candidato nazionalista Ollanta Humala in Perù (che di fatti perse il ballottaggio con Alan Garcia). In Venezuela tutta l'attenzione è rivolta all'imminente voto dell'assemblea dell'Onu sul seggio a rotazione in Consiglio di sicurezza, con l'America impegnata a schierare i suoi vassalli - il Guatemala ma non solo - per stoppare le ambizioni di Caracas.
Hugo Chavez, come al solito, non va tanto per il sottile nell'uso delle parole. E ieri ha messo in guardia l'esercito boliviano, a cui si attribuisce «nervosismo» e «malessere» per le iniziative di Evo, da mosse avventate. Leggi golpe. Secondo Chavez c'è in atto un piano Usa, attraverso le transnazionali del gas e del petrolio, per rendere impossibile la vita a Morales, fino a una possibile sua «rimozione» da parte dei militari. Ma attenti, perché «il Venezuela non resterà a braccia conserte se il popolo boliviano e il suo governo fossero attaccati da forze interne o esterne». Chavez non ha fatto che ribadire l'intervento dell'ambasciatore venezuelano a La Paz che sabato, parlando ai cocaleros del Chapare, aveva garantito la disponibilità di Caracas a dare «il suo sangue e la sua vita» in difesa della rivoluzione boliviana, suscitando le reazioni indignate dell'opposizione e imbarazzate del governo.
Il portavoce di Morales, Alez Contreras, ha accusato l'opposizione e «i gruppi detentori del potere nel passato» di diffondere «l'onda di voci» sul golpe, anche se la situazione è perfettamente sotto controllo dal momento che forze armate, polizia e movimenti sociali continuano ad appoggiare Evo.
E' di qualche settimana fa l'annuncio di un accordo militare molto stretto fra Venezuela e Bolivia che ha acceso l'allarme dei paesi vicini e naturalmente di Washington. Ma le voci si accavallano. Non solo di golpe ma anche di basi militari. Ieri è stata la volta del peruviano Alan Garcia ad affermare di essere «enormemente preoccupato e offeso» per le voci sulla costruzione di «12 basi militari» (o addirittura 20) da parte della Bolivia - «paese fratello» del Perù -, «alcune delle quali alla frontiera peruviana», come parte dell'accordo recente con il Venezuela. A La Paz smentiscono: gli accordi con Caracas in materia di difesa sono simili a quelli esistenti con altri paesi e al massimo le basi militari sulla frontiera sarebbero un paio. Garcia, ricevuto giorni fa da Bush, ha accusato il Venezuela per le basi e la Bolivia per il suo «fondamentalismo legato alla coca». E' singolare tanto rumore sugli accordi militari fra Venezuela e Bolivia rispetto al silenzio pressoché completo, l'anno scorso, sull'apertura di una enorme base militare Usa nel desolato deserto paraguayano del Chaco, a Mariscal Estigarribia, con una pista lunga 3800 metri e 400 militari americani. A due passi dal confine boliviano.