CASTRO: HANNO TENTATO DI
FUCILARE CHAVEZ,MA IL
PLOTONE SI E' RIFIUTATO
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tratto da www.comedonchisciotte.org - 17 aprile 2006
I.Ramonet intervista Fidel Castro - Altercom
Dichiarazione pubblicata da
Ignacio Ramonet nel suo libro “Fidel Castro, Biografia a due voci”. Debate
Editore.
Nel libro “Fidel Castro, Biografia a due voci”, edito dalla Editorial Debate, il
Capo di Stato cubano rivela notizie non divulgate a proposito dei fatti dell’
aprile del 2002 in Venezuela.
Castro afferma che chiamò Miraflores prima che Chàvez si consegnasse e gli
disse: “Non ti immolare, Hugo; non fare come Allende, che era un uomo solo; tu
hai dalla tua una buona parte dell’ Esercito, non ti dimettere, non rinunciare”.
Più tardi Castro deciderà di incaricare il Cancelliere Felipe Pérez Roque di
recarsi a Caracas con due aerei e di portare con sé Chàvez. Contattò “un
Generale che stava dalla sua parte” per premere sul fatto che il mondo sapesse
che il Presidente non aveva rinunciato, e per chiedergli di mandare forze armate
a riscattarlo.
Fidel Castro fa molti discorsi pubblici, ma ha concesso pochissime interviste.
In 50 anni sono state pubblicate solamente quattro interviste approfondite. La
quinta, tenuta con il Direttore de Le Monde Diplomatique Ignacio Ramonet è
diventata un libro: “Fidel Castro, Biografia a due voci”, ed è una sintesi della
vita e del pensiero del Capo di Stato Cubano dopo cento ore di conversazione.
La prima di queste risale alla fine del gennaio 2003, l’ultima al dicembre 2005.
In queste pagine si pubblica un estratto dell’ intervista nella quale il
Comandante parla del conflitto venezuelano dell’11 aprile 2002. Come dice il
Comandante, continuerà a stare al suo posto “fino a quando lo vorrà l Assemblea
Nazionale in nome del popolo cubano”. Il libro, che uscirà presto, è edito da
Editorial Debate.
FRAMMENTO DEL DIALOGO
Ignacio Ramonet: Lei ha seguito da
vicino l’evolversi della situazione in Venezuela, e in particolare i tentativi
di destabilizzazione nei confronti del Presidente Chàvez?
Fidel Castro Ruz: Sì, abbiamo seguito i fatti con molta attenzione. Chàvez ci
fece visita quando uscì di prigione, prima delle elezioni del 1998. Fu molto
coraggioso, poiché ricevette molti rimproveri a proposito del suo viaggio a
Cuba. Venne e parlammo. Si rivelò un uomo colto, intelligente, un autentico
bolivariano.
Poi vinse le elezioni. Varie volte. Cambiò la Costituzione. Con un appoggio
formidabile da parte del popolo, da parte della gente più umile. Gli avversari
hanno cercato di soffocarlo economicamente.
In Venezuela, durante i famosi quaranta anni di democrazia precedente a Chàvez,
io stimo che siano stati trafugati circa 200 miliardi di dollari. Il Venezuela
adesso potrebbe essere più industrializzato della Svezia, ed avere l’ istruzione
che ha la Svezia, se realmente ci fosse stata una democrazia distributiva, se
questi meccanismi avessero funzionato, se ci fosse stato qualcosa di certo e di
credibile in mezzo a tutta questa demagogia e a tutta questa pubblicità.
Da quando il Governo di Chavez giunse al potere fino al gennaio 2003, quando si
istituì il controllo dei cambi, dal Venezuela sono stati portati fuori
-calcoliamo- circa una trentina di miliardi di dollari. Fuga di capitale.
Dunque, come noi sosteniamo, tutti questi fenomeni rendono insostenibile la
situazione esistente nel nostro emisfero.
IR: L’ 11 aprile 2002 ci fu un
colpo di Stato a Caracas contro il Presidente Chàvez. Lei seguì quell’ evento?
FCR: Quando ci rendemmo conto che la manifestazione dell’ opposizione era stata
deviata e si avvicinava a Miraflores, che stavano avenndo luogo provocazioni,
spari, morti, e che alcuni tra gli alti ufficiali si erano ammutinati e si erano
pronunciati pubblicamente contro il Presidente, che la guarnigione presidenziale
si era ritirata, e che l’Esercito era sul punto di arrestarlo, io chiamai Chàvez
perché sapevo che era senza difese e che è un uomo di princìpi e gli dissi:
“Non ti immolare, Hugo! Non fare come Allende! Allende era un uomo solo, non
aveva dalla sua nemmeno un soldato. Tu hai dalla tua una buona parte dell’
Esercito. Non ti dimettere! Non rinunciare!”.
IR: Lei lo stava incoraggiando a
resistere armi alla mano?
FCR: No, al contrario. Questo è quello che fece Allende, e lo pagò, eroicamente,
con la vita.
Chàvez aveva tre soluzioni: barricarsi a Miraflores e resistere fino alla morte;
fare un appello al popolo incitando una insurrezione in modo da scatenare una
guerra civile; o arrendersi. Ma senza rinunciare, senza dimettersi.
Noi gli consigliammo la terza opzione.
Che per di più coincideva con quello che lui aveva scelto di fare. Perché, e
questo lo insegna la storia, qualsiasi dirigente popolare arroccato in una
situazione del genere, se non viene ucciso il popolo lo reclama e, prima o poi,
torna al potere.
IR: In quei momenti voi avete cercato di
aiutare Chàvez in qualche modo?
FCR: Dunque: noi solo potevamo agire percorrendo la via diplomatica. Nel cuore
della notte convocammo tutti gli ambasciatori accreditati a La Havana e
proponemmo loro di accompagnare Felipe (Pérez Roque), nostro Ministro delle
Relazioni Internazionali a Caracas per riscattare Chàvez, Presidente legittimo
del Venezuela.
Proponemmo di mandare due aerei per portarlo qua, nel caso i golpisti avessero
deciso di esiliarlo.
Chàvez era stato fatto prigioniero dai militari golpisti, e si erano perse le
sue tracce. La televisione diffondeva continuamente la notizia delle sue
dimissioni, in modo da scoraggiare i suoi sostenitori, e il popolo.
Però, in un determinato momento, viene permesso a Chàvez di fare una telefonata,
e lui può parlare con sua figlia Marìa Gabriela. Le dice che non si è dimesso,
che non ha rinunciato. Che è un “Presidente arrestato”.
Le chiede di diffondere questa notizia. Sua figlia allora ha l’idea audace di
chiamarmi, e mi informa. Mi conferma che suo padre non si è dimesso.
A quel punto prendemmo la decisione di assumere le difese della democrazia
venezuelana, visto che eravamo a conoscenza che pesi come Stati Uniti e Spagna
-il Governo di José Marìa Aznar-, per quanto parlassero molto di democrazia e
criticassero molto Cuba, stavano appoggiando il colpo di Stato.
Chiedemmo a Marìa Gabriela che lo ripetesse, e registrammo la sua conversazione
con Randy Alonso, il conduttore del programma “Mesa Redonda” (Tavola rotonda,
NdT) della televisione cubana, e questo ebbe una forte ripercussione
internazionale.
Inoltre convocammo tutta la stampa straniera accreditata a Cuba -dovevano essere
le quattro del mattino-, informammo i giornalisti e facemmo ascoltare loro la
testimonianza della figlia di Chàvez. Immediatamente la CNN la mandò in onda, e
in tutto il Venezuela la notizia si diffuse a macchia d’olio.
IR: E questo quali conseguenze
portò?
FCR: Bene, questo messaggio venne ascoltato dai militari fedeli a Chàvez che
erano stati ingannati con la menzogna di una sua rinuncia, e subito ebbe luogo
un contatto con un Generale che stava dalla parte di Chàvez. Parlai con lui per
telefono. Gli confermai personalmente che quello che aveva detto la figlia
corrispondeva alla realtà, e gli dissi che il mondo intero era già a conoscenza
del fatto che Chàvez non si era dimesso. Parlai a lungo con lui, che mi informò
a proposito della situazione militare, di quali alti ufficiali stessero con
Chàvez e quali no. Io mi resi conto che niente era perduto, perché le migliori
unità delle Forze Armate, le più combattive, quelle meglio addestrate, erano a
favore di Chàvez.
Dissi a quell’ ufficiale che la priorità era sapere dove veniva tenuto
prigioniero Chàvez per poter inviare lì Forze leali per liberarlo.
Mi chiese allora di parlare con il suo superiore, e me lo passa. A lui ripeto
quello che aveva affermato la figlia di Chàvez, e che lo stesso Chàvez è ancora
il Presidente Costituzionale. Gli ricordo la lealtà necessaria, gli parlo di
Bolivar e della storia del Venezuela… E questo alto ufficiale, in un lampo di
patriottismo e fedeltà alla costituzione, afferma che se è vero che Chàvez non
si è dimesso, egli continuerà ad essere fedele al presidente arrestato.
IR: Però in quel momento ancora
non si sapeva dove si trovava Chàvez, giusto?
FCR: Nel frattempo Chàvez è stato portato all’isola de La Orchilla. E non ha
notizie.
L’Arcivescovo di Caracas va a visitarlo e gli consiglia di dimettersi. “Per
evitare una guerra civile”, afferma. Gli fa un ricatto umanitario. Gli chiede di
scrivere una lettera e con questa di rassegnare le dimissioni.
Chàvez non sa quello che sta succedendo a Caracas e nel paese. Avevano già
provato a fucilarlo, ma il plotone incaricato dell’esecuzione si era rifiutato
di sparare, minacciando l’ammutinamento. Tra i militari che avevano in custodia
Chàvez erano molti quelli disposti a difenderlo e ad evitare che venisse
assassinato.
Chàvez cerca di guadagnare tempo con l’Arcivescovo. Fa varie prove della
dichiarazione.
Ha paura che, una volta scritta la lettera, si organizzino per farlo fuori.
Dichiara che dovranno ucciderlo prima. E che dunque, non si arriverà ad una
soluzione costituzionale.
IR: Nel frattempo voi avevate
ancora l’intenzione di mandare gli aerei per prenderlo e portarlo in esilio?
FCR: No, dopo quella conversazione con i generali venezuelani cambiammo
strategia. Abbandonammo l’idea di mandare Felipe e gli ambasciatori a Caracas.
Inoltre, a un certo punto ci arrivò la voce che i golpisti stavano proponendo di
espellere Chàvez spedendolo a Cuba. Annunciammo immediatamente che, nel caso in
cui avessero mandato qui Chàvez, noi lo avremmo fatto tornare immediatamente in
Venezuela, con il primo volo.
IR: In che modo Chàvez torna al
potere?
FCR: Dunque, a un certo punto ha luogo un altro contatto con il primo
generale
con il quale avevo parlato, ed egli mi informa che Chàvez è stato localizzato, e
che si trova nell’isola de La Orchilla. Discutemmo per capire quale fosse il
modo migliore di riscattarlo; con molto rispetto gli feci notare tre aspetti
fondamentali: discrezione, efficacia e forze superiori. I paracadutisti della
base di Maracay, la migliore unità delle Forze Armate Venezuelane, fedeli a
Chàvez, si incaricarono del riscatto.
Intanto, a Caracas, il popolo si stava mobilitando chiedendo che Chàvez
tornasse. La Guardia Presidenziale era tornata ad occupare Miraflores ed esigeva
il ritorno del Presidente; procede all’espulsione dei golpisti dal Palazzo, e lo
stesso Pedro Carmona, presidente della patronale e brevissimo presidente
usurpatore del Venezuela, viene quasi arrestato all’interno dello stesso
Palazzo.
Finalmente, nel primissimo mattino, il 14 aprile 2002, riscattato da militari
fedeli, Chàvez arriva a Miraflores, in piena apoteosi popolare. Io quasi non ho
chiuso occhio in quei due giorni del golpe di Caracas, però è valsa la pena
vedere come il popolo ed alcuni militari patrioti difesero la legalità. Non si
ripeté quindi la tragedia, come nel 1973 in Cile.
IR: Chàvez è un rappresentante dei
militari progressisti, però sia in Europa che in America Latina molti
progressisti gli rimproverano appunto il fatto che sia un militare. Qual è la
sua opinione a riguardo di questa apparente contraddizione tra l’essere
progressista e militare allo stesso tempo?
FCR: Guardi, in Venezuela abbiamo un esercito che sta giocando un ruolo
importante in questa Rivoluzione Bolivariana.
E Omar Torrijos, a Panama, è stato un esempio di un militare dotato di
coscienza.
Anche Juan Velasco Alvarado in Perù portò a termine alcune notevoli azioni di
progresso.
Non bisogna dimenticare, per esempio, che tra gli stessi brasiliani, Luis Carlos
Prestes fu un ufficiale che realizzò una marcia nel 1924-1925 quasi come quella
che fece Mao Zedong nel 1934-1935.
Jorge Amado scrisse una bella storia a proposito di quella marcia di Luis Carlos
Prestes: “Il Cavaliere della Speranza” nei suoi magnifici racconti –io ho avuto
l’opportunità di leggerli tutti -, e quella marcia fu qualcosa di
impressionante, durò più di due anni e mezzo, percorrendo immensi territori del
paese senza mai subire una sconfitta. Come dire, ci sono state iniziative nate
dai militari.
Farò il nome di un militare: Làzaro Càrdenas, un generale della rivoluzione
messicana, che poi è quello che nazionalizza il petrolio.
Ha un grande valore, porta a termine riforme agrarie e conquista l’appoggio del
popolo. Quando trattiamo le questioni che riguardano il Messico, non dobbiamo
dimenticare l’importanza del ruolo di personalità come Làzaro Càrdenas, e,
Làzaro Càrdenas, era di origine militare.
Non bisognerebbe dimenticare che nel XX secolo, durante gli anni ’50, i primi
che si sollevarono in America Latina furono un gruppo di giovani ufficiali
guatemaltechi che, nei dintorni di Jacobo Arbenz, parteciparono alle attività
rivoluzionarie.
Certo non si può affermare che sia un fenomeno generale, però ci sono stati, in
alcuni casi, militari progressisti.
Anche Peròn in Argentina era di origini militari, bisogna considerare il momento
in cui sorge, nel 1943 viene nominato Ministro del Lavoro e fa leggi tali che,
quando lo incarcerano, il popolo lo riscatta. Ed era un capo militare.
C’è stato anche un civile che ha avuto influenza sui militari, Jorge Eliecer
Gaitàn, che studiò in Italia come Peròn, ed erano lieder popolari.
Peròn era Aggregato all’Ambasciata, e trascorse a Roma gli anni trenta dell’era
mussoliniana, e vide alcune forme e metodi della mobilitazione di massa che lo
impressionarono. Fu influenzato addirittura per quanto riguarda alcuni processi.
Però, nei casi che ho citato, questa influenza fu esercitata da Gaitàn e da
Peròn in un senso positivo, visto che dobbiamo considerare che Peròn portò a
termine delle riforme sociali.
Peròn commette -diciamo- un errore: offende l’oligarchia argentina, la umilia,
gli toglie il teatro simbolico ed alcune istituzioni simboliche; lavorò con le
riserve e i mezzi che il paese aveva e migliorò le condizioni di vita dei
lavoratori. Gli operai gli furono molto grati, e Peròn diventò un idolo per i
lavoratori.
Ignacio Ramonet intervista Fidel
Castro
Fonte: www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/article137958.html
15.04.06
Traduzione a cura di CPC per www.comedonchisciotte.org