Quando il giornalismo passa ad
essere terrorismo
o professione denigrata
Marcelo Colussi* 27 aprile 2006 |
"Rinunci Ministro",
"Presidente se ne vada", "Nel paese ci sono state più morti che nella Guerra
di Iraq", "bisogna fermare tutta l'educazione", "non ho voglia di votare",
"Escano a protestare", "Le autorità si comportarono in modo negligente davanti
al sequestro", "dobbiamo uscire dal lutto in questi giorni per dire no al
governo" dopo queste sparate giornalistiche qualcuno potrebbe osare dire che
"la dittatura" di Chávez restringe la libertà di opinione?
Tutte queste espressioni che sembrano chiaramente accesi proclami politici di
un'assemblea, non sono altro che opinioni "obbiettive" e "misurate" usate dai
giornalisti dei mezzi di comunicazione di massa nella Repubblica Bolivariana
del Venezuela. Qualcuno potrebbe ancora osare dire che "la dittatura" di
Chávez restringe la libertà di opinione?
In Venezuela si sta sviluppando una guerra; in generale, silenziosa, ma anche,
progressivamente, con molto rumore, con molta apparenza. Le frasi
riportate sono ciò che sta succedendo in questi giorni e ciò, che molto
probabilmente, seguirà nei mesi venturi.
Tutto questo non può slegarsi dallo scenario futuro: nel prossimo dicembre
ci saranno le elezioni presidenziali e l'attuale presidente Hugo Chávez,
leader del processo rivoluzionario, è il più quotato candidato per vincerle.
La destra locale ma molto più ancora il suo vero nemico, l'imperialismo
statunitense, sono sul piede di guerra affinché ciò non succeda.
Ad
ogni modo, dato che in caso di elezioni oneste attualmente il comandante della
Rivoluzione Bolivariana non ha opposizione seria che possa sconfiggerlo, le
forze conservatrici hanno iniziato un piano mortale di destabilizzazione per
ostacolare il suo trionfo.
Chi è la vera opposizione in Venezuela?
La destra tradizionale, da una parte;
destra che usa settori della classe media (sempre reazionaria e con cattivo
olfatto politico, individualista e superficiale) come orchestra per la
mobilitazione. Ma in realtà è la destra più reazionaria degli Stati Uniti,
oggi seduta al comando della Casa Bianca, il principale baluardo
dell'opposizione.
Destra ultra conservatrice che percepisce in questo processo di nuovo
socialismo, che si sta sviluppando in Venezuela, una reale minaccia alla sua
egemonia nel medio termine (cattivo esempio per l'America latina e con molto
petrolio che Washington vede scappare dalle mani).
Dalla combinazione di questi fattori - dai repubblicani americani con il loro
progetto di dominazione mondiale, dalla destra venezuelana paurosa di perdere
i suoi privilegi e dalla classe media terrorizzata a causa della manipolazione mediatica - si crea ciò che ha appena cominciato a viversi nel paese e che
potrà essere la matrice per i prossimi mesi. Detto in altre parole: campagna
crescente di destabilizzazione, di creazione di ostacoli, d'impedimenti per
evitare il consolidamento della rivoluzione.
In tutta questa strategia svolgono un ruolo chiave i mezzi di comunicazione di massa. Non è una novità che le società con grandi problemi
socioeconomici, come è ancora la venezuelana, presentano enormi deficienze nel
tema della sicurezza del cittadino. L'equazione è semplice: a maggiore
povertà, maggiore indice di criminalità.
Senza criminalizzare meccanicamente la povertà, per una sommatoria di cause è
quasi obbligo che la stessa funzioni come brodo di coltura della malavita.
Il Venezuela, senza essere uno dei paesi più violenti dell'America latina,
senza dubbi presenta indici di criminalità alti e non è un segreto che la
delinquenza pascola ancora.
Recentemente sono successi omicidi che hanno commosso l'opinione
pubblica del paese: l'imprenditore Filippo Sindoni e i tre giovani Faddoul
insieme al loro autista Miguel Rivas. Fatti criminali che non hanno nessuna
motivazione politica: un regolamento di conti imprenditoriale nel caso
dell'italo-venezuelano Sindoni ed un sequestro dove si é chiesto un riscatto
milionario nel caso dei tre giovani Faddoul. Ma data la manipolazione dei
mezzi commerciali, questi fatti criminali sono passati ad avere un valore di
catastrofe nazionale. E lì deve cominciare la vera analisi seria ed oggettiva.
Nonostante ancora non siano finite le corrispondenti indagini poliziesche su
questi illeciti - a cui si dovrebbe unire la morte del reporter Jorge Aguirre,
anch'essa di questi giorni - senza che possa reggersi a priori che tutto
questo fu orchestrato dalla CIA (non ci consta, ma neanche lo scarteremmo),
quello che rimane chiaro è che é già incominciata la campagna elettorale e
questa tragica manipolazione, con la quale giocano i mezzi di
comunicazione di massa, è parte del piano. Questi mezzi hanno nome e cognome:
stampa scritta, come L'Universale ed Il Nazionale, stazioni radio come
Radio-Caracas e canali televisivi come Venevisión, Globovisión, Televen.
Per caso questi mezzi commerciali dicono la stessa cosa, montano tutto questo
scenario - richiamando al lutto nazionale, chiedono con urla una nuova
politica di sicurezza cittadina davanti ad ogni furto successo in qualche
quartiere popolare o in una oscura stradina - davanti alle morti di circa 200
lottatori sociali, in questi ultimi anni di rivoluzione, per causa di bulli di
destra? No, neanche remotamente.
La stampa é stata, tradizionalmente, il "quarto potere" dopo l'Esecutivo, il
Legislativo ed il Giudiziale. Oggi no; oggi è salita di categoria: si potrebbe
dire che, in molti casi, è il potere dominante. Nelle circostanze del
Venezuela è il principale contro-potere con il quale la rivoluzione deve
scontrarsi.
Davanti al fallimento dei partiti politici della destra, i mezzi di
comunicazione li rimpiazzarono e ne svolgono il ruolo. Ruolo, d'altra
parte, che viene loro assegnato dalla strategia imperiale del governo degli
Stati Uniti. I manuali di operazioni speciali e di guerra psicologica della
CIA non sono fantasie di "teste calde" della sinistra. Esistono e tutto indica
che in Venezuela stanno funzionando a pieno regime.
Il tema della sicurezza cittadina è qualcosa di molto sensibile. Senza dubbio
per tutti e più ancora per le classi medie, eternamente paurose, terrorizzate
dall'idea di perdere l'appartamento o l'automobile - per le quali ipotecarono
le loro vite - con l'intervento dei fantasmi del "castro-comunismo"
espropriatore che verrà a confiscare i loro beni.
Il sentimentalismo che può dare posto al tema della violenza delinquenziale è
alto, molto più che la fame quotidiana delle grandi masse o dell'esclusione di
negri ed indigeni. Aizzando le paure di ingovernabilità, di caos, di anarchia,
i mezzi di comunicazione possono ottenere cose incredibili. Oggi, in
Venezuela, scommettono niente meno che di sconfiggere la rivoluzione in
marcia.
Senza dubbio in guerra tutto è permesso e come abbiamo detto, il Venezuela
vive oggi un processo di guerra. La cosa triste è che una professione tanto
nobile come il giornalismo possa prestarsi anche a questa battaglia. Quello
che è appena cominciato qui, e che sicuramente si prolungherà per tutto l'anno
2006, è una dimostrazione di quanto sporca, denigrata,
infamante può finire per essere l'esercizio professionale quando si perde
la visione obiettiva.
Noi che crediamo in un giornalismo serio non possiamo che nausearci per quello
che oggi sta succedendo ai mezzi commerciali in questo paese. Schifo,
pertanto, che deve portarci a schierarci verso un altro atteggiamento più
sano, più onesto, e denunciare queste manovre destabilizzanti come parte di un
piano sistematico di aggressione dove i poveri giornalisti che si prestano a
questo gioco non fanno altro che confermare che una rivoluzione non è solo la
presa del potere politico. Una rivoluzione è, fondamentalmente, il cambiamento
della nostra mentalità. Non c'è rivoluzione se non c'è rivoluzione culturale e
la stampa è in modo obbligato chiamata ad essere un bastione di importanza
cruciale in questa battaglia.
*Pubblicato da Argenpress