Chavez sfida
Mr.Danger-Bush
Ribatte
alla signora Rice, che annuncia azioni per contrastarne l'influenza in America
latina, minacciando di tagliare le forniture petrolifere
venezuelane agli
Usa. E poi annuncia un viaggio in Iran
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Domenica 19 Febbraio 2006 - 13:30 |
Maurizio Matteuzzi
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Lo scontro fra il
presidente venezuelano Hugo Chavez e
l'amministrazione di George Bush (che lui chiama «Mr.Danger») si fa
globale. Non più solo o principalmente l'America latina ma il mondo. Grazie al
petrolio, senza il quale gli americani si sarebbero con ogni probabilità già
sbarazzati di Chavez da tempo. «Ho accettato l'invito ai Ahmadi Nejad e andrò a
Tehran», ha detto Chavez. Come non bastasse la visita in Iran, il paese
diventato il nemico numero uno di Washington, il presidente venezuelano ha anche
ribadito che il suo governo «renderà sempre più profondi i rapporti con Cuba»,
l'altra e più antica ossessione degli Stati uniti. Senza parlare della Bolivia
di Evo Morales, ora è arrivato anche René Préval a Haiti che potrebbe essere
interessato alle avances petrolifere di Chavez.
Chavez era già stato a Tehran negli anni passati nel suo obiettivo di rafforzare
una politica petrolifera coordinata nell'ambito dell'Opec, ma erano i tempi del
riformatore Khatami, la faccia più simpatica dell'islamismo iraniano. Ora è
diverso perché Ahmadi Nejad rappresenta invece l'islamismo più intransigente e
con le sue iniziative sul nucleare nonché le sparate su Israele e l'olocausto
costituisce l'uomo nero della politica internazionale. Andare a trovarlo in
questo momento è un messaggio chiaro e preciso.
D'altra parte ormai fra Washington e Caracas è uno scambio continuo di colpi.
Giovedì la signora Condoleezza Rice davanti al Congresso
Usa aveva definito Chavez «uno dei maggiori pericoli per la democrazia in Ameria
latina» e aveva ammonito «la comunità internazionale» a essere «molto più attiva
nell'appoggio e nella difesa del popolo venezuelano». Il riferimento era al
processo per tradimento che si trovano ad affrontare quelli di una ong chiamata
Sumate che ha avuto un ruolo di primo piano nella raccolta delle firme
per arrivare al referendum revocatorio (perso) nell'agosto del 2004 contro
Chavez. Chavez non può esercitare la sua influenza, petrolifera e no, in America
latina perché questo è «indebita interferenza» e «destabilizzazione», ma Bush
(come tutti i suoi predecessori) può usare tutto il suo peso economico e
politico, per esempio sovvenzionando con fondi la ong venezuelana Sumate
che si propone di cacciare il presidente legittimo, e questo va bene.
La signora Rice, che dicono abbia soppiantato al Dipartimento di Stato i
neo-conservatori con i neo-realisti, ha assicurato i congressisti che
l'amministrazione farà di tutto per tagliare l'influenza nefasta di Chavez in
America latina e convincere i vari leader della regione che il vero pericolo non
sono gli Usa ma il Venezuela di Chavez.
Il giorno dopo le dichiarazioni della Rice, è toccato a Chavez. Che ha a sua
volta ammonito e sfidato gli americani. «Il governo degli Stati uniti deve
sapere che se oltrepassa i limiti non avrà più il petrolio venezuelano - ha
detto in un atto pubblico -. Ho già cominciato a prendere misure al riguardo, ma
non dico quali».
Il Venezuela è il quinto esportatore mondiale ma il secondo o terzo fornitore di
greggio agli Stati uniti. Il 15% del mercato Usa è coperto dal greggio
venezuelano e il 50% del greggio venezuelano finisce negli Usa. Un bell'incastro
reciproco. Perché secondo alcuni analisti non sarebbe così facile per il
Venezuela trovare altri mercati su due piedi nel caso si arrivasse alla rottura
definitiva anche in campo petrolifero. Ma Chavez nega: «Loro non credono che
possa decidere di tagliare il petrolio perché non sapremmo poi dove collocarlo.
Ma si sbagliano: il petrolio non va a male, è una risorsa strategica per tutto
il mondo e ci sono molti paesi che ci chiedono più petrolio e noi dobbiamo dire
di no perché la metà dei nostri barili vanno negli Stati uniti...». L'annuncio
del viaggio a Tehran rientra in questa strategia.
A rendere ancor più complicato il gioco, sta il fatto che Pdvsa, la compagnia
petrolifera venezuelana che Chavez ha riconquistato dopo lo sciopero golpista
della fine 2002, possiede attraverso la società Citgo qualche decina di migliaia
di stazioni di servizio negli Stati uniti e almeno 6 raffinerie. E' da tempo che
Chavez si prepara al momento - forse inevitabile - della rottura: negli ultimi 5
anni l'export petrolifero venezuelano negli Usa è diminuito intorno al 45%
mentre è cresciuto quello verso la Cina, l'India e i paesi dell'America latina.
Poi alcuni mesi fa Chavez ha annunciato di aver cominciato a ritirare i
petro-dollari venezuelani depositati nelle
banche Usa per convertirli in euro e depositarli nelle banche europee (ed
evitare così anche i rischi di confisca-congelamento). Ora annuncia altre mosse,
anche se «non dice quali». La direzione però è chiarissima.