Stati uniti


Niente armi per Caracas

 

| mercoledì 17 maggio 2006  | R.Zanini |



Questa volta è colpa dell'«inazione di Caracas nella lotta al terrorismo», una scusa buona come un'altra. E così funzionari del dipartimento di stato americano hanno annunciato ieri che gli Stati uniti hanno vietato la vendita di armi al Venezuela, iscrivendo il paese guidato da Hugo Chavez nella lista di quanti «non cooperano pienamente» nella guerra planetaria al terrorismo. Secondo il ministero di Condoleezza Rice, Caracas offrirebbe appoggio e riparo alle Farc e all'Eln, gruppi guerriglieri che si oppongono al governo amico, anzi amicissimo, del presidente della Colombia Alvaro Uribe. Non è ancora uno stato canaglia, il Venezuela, ma poco ci manca.
Il divieto riguarda le forniture di armi e tecnologia bellica americana e coinvolge sia la vendita diretta tra Washington e Caracas sia quelle attraverso paesi terzi. E' l'estensione di una misura già praticata negli ultimi mesi: gli Usa hanno già vietato alla Spagna, ad esempio, di usare componenti americane nella fornitura spagnola di dieci aerei da trasporto e otto imbarcazioni destinate a Caracas.
Non è la prima volta che gli Stati uniti fanno leva sul commercio di armi per esplicitare una linea diplomatica. Alla fine di aprile, a Mosca, fu la stessa Condoleezza Rice a dire che Washington era «preoccupata» dalla vendita di armi russe al Venezuela - quella volta si trattava di una fornitura di centomila kalashnikov e quaranta elicotteri da combattimento. Perfettamente inutile fu la risposta del ministro degli esteri russo Lavrov, che nella conferenza stampa congiunta con la collega americana si limitò a ricordare come contro il Venezuela non esistano censure Onu, e che quindi il commercio di Mosca era perfettamente legale. Una campagna, quella americana sulle armi a Caracas, che è arrivata di slancio persino in Italia, paese in cui sono state spese buone colonne di piombo, e non su giornali di destra (Repubblica, ad esempio) per certificare l'esistenza di una «sinistra militarista» in America latina in grado di preoccupare gli Stati uniti e di conseguenza il mondo (per inciso, la «sinistra militarista» coincide perfettamente con quella contro cui gli Usa manifestano ostilità: il Venezuela, Cuba, persino la Bolivia rea di aver schierato l'esercito a sorvegliare le installazioni degli idrocarburi appena nazionalizzati).
La reazione di Chavez non si è fatta attendere. Il presidente venezuelano, che nel recente passato ha già qualificato Bush come «terrorista», ha denunciato «l'abuso imperiale» da parte degli Usa, deridendo Washington come «un impero impotente» e una «tigre di carta». La rappresaglia di Chavez sarebbe già pronta: vendere la propria flotta di (vecchi) bombardieri F-16 americani a un paese sgraditissimo a Washington, forse l'Iran.