Gli Usa a denti stretti:
«Collaboreremo...»
Finisce a Caracas la lunga serie di
sconfitte elettorali nell'ex «cortile di casa» americano.
Calorose felicitazioni dall'Iran
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Washington 5 dicembre 2006 |
SDW
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L'amministrazione di
George Bush non si è congratulata con Hugo Chavez per la sua nuova e
incontestabile vittoria a valanga nelle elezioni di domenica in Venezuela. Ma ha
dovuto far buon viso a cattivo gioco auspicando, per bocca del portavoce del
Dipartimento di stato Eric Watnik, «auspicando di avere l'opportunità di
lavorare con il governo venezuelano su temi di interesse reciproco». Watnik
anziché felicitarsi per la nuova prova di democrazia offerta dal Venezuela
chavista ha preferito notare che Tom Shannon, capo dell'ufficio America latina
al Dipartimento di stato, ha lodato la campagna condotta dal principale
avversario di Chavez, Manuel Rosales. «L'opposizione ha dimostrato la propria
capacità di portare avanti una campagna democratica, importante e pacifica
ottenendo una significativa percentuale di voti». Quanto alle eventuali
lamentele sui brogli, ha detto che saranno «valutati» i rapporti degli
osservatori dell'Osa, Organizzazione degli stati americani, e dell'Unione
europea, che hanno monitorato il voto con centinaia di osservatori. Ma i primi
risultati di quelle «valutazioni» rischiano di deludere anche quelle attese di
Washington come dimostrano da un lato l'ampiezza del margine di vantaggio di
Chavez e dall'altro il riconoscimento della sconfitta da parte di Rosales.
Il match Stati uniti- Venezuela è destinato ad andare avanti in attesa di vedere
se con la nuova maggioranza democratica del Congresso cambierà qualcosa. Solo
venerdì scorso John Negroponte, direttore nazionale dell'intelligence Usa, aveva
di nuovo attaccato Chavez ed enfatizzato «le preoccupazioni» americane in un
lungo discorso pronunciato all'università di Harvard. L'ex uomo che negli anni
'80 dall'ambasciata Usa a Tegucigalpa, in Honduras, guidò il terrorismo di stato
per mano dei contras contro il governo sandinista del Nicaragua, ha accusato
Chavez di «immischiarsi negli affari interni di altri paesi della regione», ad
esempio «offrendo santuari sicuri agli insorti delle Farc colombiane»,
risultando quindi «un fattore di divisione» (divisione rispetto ai progetti di
Washington per l'America latina, voleva dire). Critiche anche sulla «permessività»
di Chavez nel campo del narco-traffico, accusa che il governo di Caracas
respinge con forza. E' vero che mesi fa ha troncato bruscamente i rapporti con
la Dea, l'agenzia anti-droga degli Stati uniti, ma perché accusava i suoi agenti
- probabilmente con qualche ragione - di essere «spie» e di immischiarsi negli
affari interni del Venezuela.
Negroponte non poteva tralasciare i «crescenti rapporti» con l'Iran (che è stato
fra i primi e più calorosi a felicitarsi con Chavez), con la Corea del nord, la
Siria e la Bielorussia che «stanno chiaramente a dimostrare il desiderio di
costruire una coalizione anti-americana che si estende ben al di là dell'America
latina». Come dire che sono solo gli Usa a poter avere rapporti globali mentre
il Chavez dovrebbe rassegnarsi a limitare le sue ambizioni, politiche e commerci
solo nell'ambito dell'America latina. E neanche lì, vista l'accusa di
«immischiarsi negli affari interni di altri paesi della regione».