Un'ossessione

di nome Hugo


 

| domenica 3 dicembre 2006 | Maurizio Matteuzzi |



L'ossessione di Washington contro Hugo Chavez non ha nulla di razionale e non nasce dal timore del suo «socialismo del XXI» secolo. Le mosse del leader venezuelano che - salvo clamorose sorprese - oggi sarà rieletto per la terza volta non hanno nulla di rivoluzionario. Almeno per come s'intende la rivoluzione - quella bolscevica in Russia, quella maoista in Cina e anche quella castrista a Cuba. Un po' di riformismo socialdemocratico europeo, un po' di new deal rooseveltiano o di vecchio laburismo britannico (non quello nuovo di Blair), un po' di solidarismo cattolico, molto nazionalismo nasseriano o - se si vuole - peronista, un po' - innegabilmente - di caudillismo messianico e autoritario, un po' di retorica terzomondista. Il tutto avvolto nel sogno di Bolivar di un'America latina unita. E, dietro anzi sotto, tanto petrolio. Che per la prima volta un leader venezuelano (e non solo) usa a scopi per così dire sociali. Salute e istruzione, i poveri e gli indios in casa, integrazione in America latina, multipolarità contro l'unilateralismo imperiale fuori. «Se si guarda a quello che ha fatto davvero, Chavez non può essere definito in altro modo che neo-liberista», dice acido Douglas Bravo, l'ex-guerrigliero degli anni '60, per giustificare il suo furore anti-chavista. Ma è un fatto incontrovertibile che dopo quasi dieci anni di Chavez le compagnie petrolifere transnazionali - quelle a stelle strisce in testa - hanno fatto affari d'oro con lui, e non solo per via del prezzo del barile schizzato alle stelle grazie alle «guerra al terrorismo» del loro presidente Bush. Come gli 80 McDonald's che infestano Caracas e le altre città del Venezuela. Per un paradosso solo apparente, più Chavez sbraita contro «l'Impero» e contro il «diavolo» Bush, più l'amministrazione Usa in senso lato esige che il bollente bolivariano sia liquidato con qualsiasi mezzo, più il business fra i due paesi cresce a tutto vapore. Nel 2005 il volume degli scambi bilaterali ha toccato i 40 miliardi di dollari, due terzi in più rispetto all'anno prima. E anche con il Fondo monetario i rapporti sono ottimi: il Venezuela di Chavez, al contrario dell'Argentina di Kirchner ad esempio, paga senza batter ciglio e con puntualità tutti i suoi debiti. La élite interna, quella che ha portato il «Venezuela saudita» all'incredibile record dell' 80% di poveri nei 40 anni di «democrazia perfetta» dal '58 al '98, ulula contro Chavez e il popolo chavista a volte rozzo e quasi sempre non perfettamente bianco e biondo, ma a quattr'occhi deve poi riconoscere che gli affari non sono mai andati così bene e che i profitti delle banche non sono mai stati così alti. L'ossessione anti-Chavez non ha base economica né razionale. Ma politica. E razziale. E' in qualche misura analoga all'ossessione anti-Fidel con Cuba. Gli Usa, rimasti i soli signori del mondo dopo la caduta del comunismo (e prima della rivolta dell'Islam) non possono tollerare che un «negro», o meticcio o indio qualunque possa metterne in discussione l'egemonia politica, culturale e razziale. Se fossero meno obnubilati, gli americani a Chavez dovrebbero fare ponti d'oro e spingere perché vinca non solo oggi ma anche fra sei anni, con i metodi che vuole (tanto loro non vanno per il sottile). Che fra l'altro finora sono stati rigorosamente democratici, anche se a volte spicci, secondo i canoni della democrazia occidentale nonostante i muggiti di una stampa, scritta e televisiva, che in Venezuela è tutta ferocemente anti-chavista (un vero spot, involontario, alla democrazia chavista). Perché non è vero, come sbraita l'opposizione interna ripresa con zelo dai media mondiali (penosi quelli italiani, con il Corriere della sera e La repubblica in testa) come dalla socialdemocrazia internazionale (i Ds in Italia, anche se ora sembra siano un po' più prudenti), che la «petrocrazia» di Chavez non ha portato a nessun risultato, a parte - se vi par poco - che «sprecare» l'oro nero, che qualcuno chiamò «l'escremento del diavolo», per dare la sanità e l'istruzione gratis, terre e crediti agli indigeni e ai poveri. Organismi internazionale come l'Oms, e il Pnud dell'Onu dicono che la povertà è calata dall'80 al 40%, idem la mortalità infantile e l'analfabetismo. In realtà, oltre alle apparenze bellicose e alle incontinenze verbali, Chavez porta stabilità in un paese e un continente inquieti.
E allora lunga vita a Chavez. Ce ne fossero.