Chavez stravince, e senza
spingere
«Mister Danger ha perso ancora»
| 5 dicembre 2006 |
D.Varlese
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Con tre quarti dei seggi
scrutinati il presidente uscente del Venezuela Hugo Chavez ha vinto le elezioni
presidenziali con il 61%, relegando il rivale Manuel Rosales - governatore di
una ricca provincia petrolifera - a un distantissimo 38%. E' la quarta vittoria
presidenziale della sinistra in America latina nelle ultime cinque settimane:
dopo Lula in Brasile, Ortega in Nicaragua e Correa in Ecuador, ora Chavez
completa la cartina di un continente quasi completamente convertito a governi di
sinistra più o meno accesa. Chavez ha 52 anni, è in carica dal 1998, ha vinto
un'infinità di elezioni consecutive, è sopravvissuto a un colpo di stato. Ha
celebrato dalle finestre del palazzo presidenziale di Miraflores pescando forse
con poca fantasia ma con molta costanza nel suo repertorio più classico: una
dichiarazione contro Bush: «Un'altra sconfitta per l'impero di Mister Danger» è
stata la frase scelta per definire la vittoria elettorale, dedicata all'altra
bestia nera della Casa bianca: Fidel Castro.
Chavez è il primo presidente a essere rieletto nella storia del Venezuela. Dopo
la diffusione dei dati elettorali il presidente ha annunciato «l'avvento di una
nuova era che avrà come linea strategica l'espansione della rivoluzione
bolivariana», ha ripetuto più volte le parole uguaglianza, libertà e giustizia,
ha definito il suo «un socialismo originale, indigeno, cristiano». Chavez
avrebbe vinto in tutti gli stati nonostante l'opposizione si sia per una volta
riunita su un unico nome, questo Manuel Rosales che ha provato a sfidare il
rivale anche sul terreno del populismo, ha segnato una percentuale con cui
chiunque governi dovrà fare i conti, e - rompendo con la tradizionale ostilità
del passato - ha riconosciuto subito la sconfitta, particolare registrato da
tutti i media nazionali (per tradizione anti-chavisti) che ha aperto la strada
alle richieste di una «riconciliazione nazionale», cioé il riconoscimento
reciproco dei due contendenti. Caracas «Chavez reelecto, 61% a 38%». E dietro al
titolo dei due principali giornali del Venezuela, El Universal e El Nacional,
c'è la novità della giornata e più in generale della politica venezuelana: non
Chavez che dice di aver vinto, ma l'opposizione che accetta di aver perso.
Il giorno dopo il voto che riconferma senza alcun dubbio che Chavez sarà
presidente, Caracas torna alla normalità. La capitale si è concessa una notte di
baldoria e al mattino le attività umane riprendono il loro ritmo regolare. Solo
di tanto in tanto un clacson accenna il motivetto dello slogan chavista, «Uh!
ah! Chavez no se va!». Un dopovoto tranquillo e scorrevole, molto diverso dai
giorni concitati precedenti alle elezioni, e dagli altri incendiari dopo-voto
della storia recente del paese. Per la prima volta nella storia elettorale del
Venezuela l'opposizione riconosce il risultato e non urla «frode!». La
coalizione guidata da Manuel Rosales, che ha ottenuto ufficialmente il 38.39%
dei voti, si ritira composta dichiarando che continuerà a lavorare per una
proposta di gestione differente, si impegnerà a raccogliere consensi nella
popolazione, difenderà i settori non chavisti rimasti fuori dal palazzo del
governo. Dice lo stratega degli anti-chavisti Teodoro Petkoff: «Quasi metà del
paese non crede nel progetto di Chavez, dovrà tenerne conto». Ed è tutto,
arrivederci e grazie.
Si abbassano i toni, si azzittiscono gli insulti, la violenza verbale che ha
caratterizzato la campagna elettorale è già lontana. Restano come un ricordo
quelle magliette fatte stampare dall'opposizione ancora prima del voto, che
riportavano la scritta «fraude» (frode). Magliette che non sono state mai
indossate.
Il rieletto presidente tiene la usuale conferenza stampa per i media nazionali
ed internazionali. Sottolinea la democraticità del processo elettorale e l'alta
partecipazione popolare. Dichiara che questo momento «è l'inizio di una nuova
era per il paese», la cui linea strategica sarà l'ampliamento e
l'approfondimento della «revolucion bolivariana», la via venezuelana al
socialismo. Elogia Pdvsa, l'industria nazionale di petrolio. Elogia le misiones,
i progetti di recupero sociale all'interno dei quartieri più poveri. E dopo due
gironi di obbligatorio silenzio elettorale, le televisioni del paese celebrano
con un martellare di spot pubblicitari le politiche sociali ed economiche del
governo. Ogni canale televisivo, di qualunque appartenenza politica, si occupa
del post-elezioni e dei commenti al voto, del futuro di un paese che fila
dritto. Ormai è dato di fatto accettato e digerito: Chavez sarà presidente fino
al 2013. «Felicidades», dicono, complimenti.
L'altra notte, nella piazza di Miraflores sede della presidenza, lo scenario era
invece tutt'altro che composto. Un ovazione di popolo, con un boato di gioia
ascoltato in tutta la città, aveva accolto il presidente Chavez che si
affacciava dal balcone. Sotto una pioggia inclemente la folla che acclamava,
ballava, gridava «te queremos presidente», ti amiamo, in un frastuono di fuochi
d'artificio. Lui, Chavez, l'uomo più carismatico d' America Latina, aveva alzato
entrambe le mani e fatto con le dita il segno del dieci, i 10 milioni di voti a
cui puntava la sua campagna elettorale. Questa cifra non è stata raggiunta ma il
suo 61,35% gli da ragione di credere d'essere ancora il leader indiscusso e
seguito della maggioranza della popolazione. Bandiere rosse, baschi rossi,
persino gli ombrelli erano rossi. Tipologia della folla eterogenea ma
soprattutto, tanti e sorridenti, i giovani. Quella generazione che, ricorda il
presidente, è «il futuro del Venezuela». Dalla parte opposta della scala
anagrafica un particolare ed affettuoso saluto a un vecchio, vecchissimo amico:
Fidel, di cui Chavez ricorda il compleanno e la patria, a cui dedica
simbolicamente la vittoria elettorale.
«Qui comincia il cammino dell'America latina sovrana, che si prepara a competere
tra le potenze mondiali», dice, riferendosi al processo di integrazione
continentale siglato da questa rielezione, che chiude un anno elettorale molto
impegantivo in cui Bolivia, Brasile, Nicaragua, Ecuador e ora Venezuela hanno
sonoramente votato a sinistra.
Solo una parte della città non festeggiava: è la gente che gravita attorno a
Plaza Altamira, nell'est di Caracas, l'autentico cuore e simbolo
dell'opposizione. Elettori anti-chavisti, classe medio alta. Ieri pomeriggio,
durante il voto, in questa piazza non si vedeva anima viva, tutto sembrava
sospeso in un silenzio anomalo. Presente solo un presepe costruito attorno alla
statua di Simon Bolivar, immobile, sotto lo sgardo asettico del cartellone
cubitale di Manuel Rosales. Ma, si sa, il libertador non avrebbe votato per lui.