Dopo 5 giorni di stop per dare il tempo di cercare un'alternativa capace
di rompere la impasse, oggi riprenderanno al Palazzo di vetro di New York
le votazioni per il seggio latino-americano in Consiglio di sicurezza.
Sarà il ticket Guatemala - Usa o il Venezuela a prendere, nel biennio
2007-2008, il posto lasciato libero dall'Argentina? O, più verosimilmente,
un paese terzo, «di consenso»?
Se qualcosa è cambiato si vedrà oggi. Cominciata lunedì 16, nei tre giorni
e nelle 35 votazioni successive la conta non ha mai dato segno di potersi
sbloccare. Il Guatemala, l'impresentabile candidato imposto da Bush per
sbarrare il passo a Chavez, sempre avanti (eccetto in un round, il sesto,
finito 93 pari) di 30-40 voti ma sempre con 15-20 voti meno del quorum
richiesto dei due terzi, che essendo 192 i paesi dell'ONU, corrisponde a
128 voti.
Finora nessuno dei due sembravano disposti a ritirarsi. Il ministro degli
esteri venezuelano Nicolas Maduro ha ripetuto che «il Venezuela non si
arrende» e la battaglia per «rompere l'egemonia imperialista all'Onu» è
solo all'inizio, sarà lunga ed «è cominciata molto bene». Ma è anche
innegabile che il Venezuela fino a un mese fa era apparentemente sicuro di
avere i 128 voti in tasca ed è chiaro che o non li aveva o li ha persi.
Ieri, per la prima volta, il ministro degli esteri guatemalteco Gert
Rosenthal non ha escluso la possibilità di un ritiro, ma a condizione che
anche Caracas faccia lo stesso.
Sembra uno di quei match di boxe degli inizi del secolo scorso che
finivano solo quando uno dei due contendenti andava ko.
Oggi la contesa riprenderà con i due pugili, entrambi un po' suonati,
ancora al centro del ring. In questi giorni di pausa offerte, promesse,
pressioni e ricatti si saranno moltiplicati. Il Messico del presidente Fox,
per esempio, che è stato uno dei paesi latino-americani a votare per il
Guatemala fin dall'inizio (con la maggior parte dei centroamericani
stretti nell'abbraccio di Washington e la Colombia del filo-americanissimo
Uribe), non è stato con le mani in mano: il ministro degli esteri Derbez
ha ammesso ieri di star cercando voti per il Guatemala, specie fra «gli
indecisi» e quelli che finora si sono astenuti. Fra loro il Cile, il Perù,
l'Ecuador e, fra i non latini, l'Italia.
In molti stanno lavorando per trovare l'auspicato paese terzo «di
consenso».
Anche l'Italia, per potersi schierare, è impegnata nella affannosa ricerca
di «una candidatura consensuale divesa dai due candidati attuali», come ha
confermato ieri alla Farnesina il portavoce del ministero degli esteri,
Pasquale Ferrara. Il ministro D'Alema aveva spiegato che «non ci sono le
condizioni» per un voto italiano a favore del Guatemala ma neanche a
favore o contro il Venezuela, vista la presenza di un milione di oriundi
italiani in quel paese, di cui 100 mila elettori (fra l'altro decisivi per
la vittoria d'aprile su Berlusconi), e dei proficui rapporti economici
(petrolio e gas ma non solo). Andrebbe benissimo l'Uruguay, «italiano» e
di centro-sinistra, ma anche qualcuno dei nomi che circolano - Cile,
Costarica, Repubblica dominicana, Panama, lo stesso Messico - toglierebbe
le castagne dal fuoco.
L'astensione italiana, o meglio la decisione di non votare per Chavez, da
un lato suona stonata, viste le premesse del ragionamento di D'Alema e il
fatto che i partner naturali dell'Italia in America latina - almeno 3 dei
5 paesi del Mercosud, oltre al Venezuela: Brasile, Argentina e Uruguay se
non il Paraguay - si sono schierati con Chavez. Dall'altro lato tuttavia
l'astensione italiana, che spicca nel voto filo-Usa di quasi tutti i 25
dell'Unione europea (e per questo, a quanto pare, «molto apprezzata» a
Caracas), è stata più che sufficiente per provocare «l'irritazione» di
Washington, dell'opposizione berlusconiana e dei grandi media in Italia.
L'ex socialista Cicchitto dice che «il governo Prodi anche sulla politica
estera è fortemente condizionato dalla sinistra radicale, intrisa di
anti-americanismo e terzomondismo». La repubblica e il Corsera hanno
commissionato alle loro penne di punta articolesse velenose e gonfie di
luoghi comuni (anche un po' razzisti) per mettere in ridicolo «il caudillo
caraibico» e «la claque italiana». Miserie.