Niente da fare. La
situazione non si sblocca al Palazzo di vetro dell'ONU dove da lunedì sono
in corso le votazioni per attribuire il seggio latino-americano in
Consiglio di sicurezza per il biennio 2007-2009. Dieci votazioni il primo
giorno non hanno consentito di superare la impasse fra il ticket
Usa-Guatemala da un lato e il Venezuela di Chavez dall'altro. Il
Guatemala, ossia gli Stati uniti, ha «sorpreso» attestandosi oltre i 100
voti e sempre davanti al Venezuela, fermo fra i 70-80 voti. C'è stato un
momento, lunedì, in cui sembrava potesse esserci il sorpasso quando, alla
sesto round, i due paesi hanno chiuso sul 93 pari. Ma l'allarme ha fatto
scattare il segretario di stato Rice e l'ambasciatore Bolton che hanno
moltiplicato i «contatti» e il «pressing» per richiamare all'ordine i
riottosi. Così le distanze si sono ristabilite e sono state confermate
ieri. Nelle prime 7 votazioni Guatemala fra 104 e 112 voti, Venezuela fra
76 e 78. Tutto da rifare (con l'Italia, astenuta, sempre alla finestra in
attesa degli sviluppi: una posizione «saggia» secondo il ministro D'Alema
che ha negato ieri ogni tipo di «pressing» e confermato di «non poter
sostenere la candidatura di Chavez per le sue posizioni politiche»).
L'ambasciatore venezuelano all'ONU, Arias Calderon ha ribadito che il suo
paese «non si ritirerà». Se il Venezuela non vuol ritirarsi, il Guatemala
non può. Almeno fino a quando il gruppo dei paesi dell'America latina e
Caraibi non avranno trovato un terzo candidato «di consenso» che sia
gradito anche agli americani. E allora getteranno a mare il Guatemala a
cui, a parte ogni altra considerazione politico-etica, il fatto di essere
«il candidato Usa» non giova. Il ministro degli esteri cileno Alejandro
Foxley, democristiano, è attivissimo nell'organizzare incontri fra i
latini per cercare il nome buono e dice che «stanno spuntano nuovi paesi».
In realtà sono i soliti: Uruguay, Messico, Perù, Costa Rica, Repubblica
dominicana.