Chávez, il
nuovo Bolívar
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Venerdi 31 Marzo 2006 - 13:37
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Cristiano Tinazzi
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Alla fine del 2005, quando la
Guerra infuriava in Medio Oriente e il prezzo del petrolio saliva drasticamente,
i governi e le compagnie petrolifere ripetevano il solito mantra delle regole di
mercato “non c’è niente che possiamo fare per ridurre i pezzi del petrolio”.
Nello stesso periodo negli Stati Uniti la compagnia petrolifera venezuelana
Citgo, che possiede otto raffinerie e 14 mila distributori negli USA, decide di
applicare uno sconto superiore al 10% sul mercato statunitense, affinché le
famiglie povere possano avere combustibile a prezzo accessibile per il
riscaldamento domestico. La Citgo in quel periodo vendette più di 40 milioni di
galloni di petrolio a 150 mila persone povere con uno sconto medio del 40 per
cento. Questa iniziativa ha creato ovviamente delle reazioni. Il rappresentante
repubblicano del Comitato per l’Energia ed il Commercio del Congresso, il texano
Joe Barton, ha cercato di mettere sotto inchiesta la Citgo per infrazione alla
legge anti-trust. Michael Heath, della Christian Civic League, ha definito il
presidente Chávez come un “brutale dittatore marxista…che sta cercando di
dividere in nostro Paese” e l’American Family Association ha lanciato una
campagna di boicottaggio contro la Citgo perché è convinta che Chávez “vuole
buttare giù il nostro governo”. Nessun governo latinoamericano ha mai tentato di
far cadere quello statunitense e nessuno di questi governi ha mai tentato colpi
di stato militari, sabotaggi, manipolazioni dei risultati elettorali, ricatti
finanziari, attentati terroristici, ne ha mai utilizzato gli squadroni della
morte. Il contrario invece, è stata normale routine per più di un secolo.
Il governo statunitense ha preso parte al fallito colpo di stato contro Chávez
nel 2002 e recentemente ha oliato l’opposizione antichavista attraverso il Ned (National
Endowment for Democracy) e il movimento per i diritti civili Sumate di Corina
Machado, una dei firmatari del documento di insediamento del golpista Pedro
Carmona. Il governo statunitense foraggia i partiti di opposizione in Venezuela.
Il presidente George Bush, nel suo budget annuale per il 2007 ha chiesto un
aumento di fondi per la propaganda di Voice Of America in Venezuela. Perché il
Venezuela da tanto fastidio alla nazione più potente del mondo?
Il primo motivo, è che è uno dei principali fornitori di petrolio del mondo,
quando gli Stati Uniti si trovano ad affrontare una crisi nelle importazioni
dello stesso.
Secondo perché il Venezuela è la prima nazione dopo Cuba ad aver messo in
discussione il modello neoliberale in America Latina. L’influenza del modello
venezuelano si sta diffondendo attraverso una rete di gruppi, associazioni e
movimenti politici e attraverso la stipula di accordi di reciproco aiuto e di
integrazione sociale ed economica tra gli stati latinoamericani che sta portando
ad una nuova forma di integrazione economica tra le nazioni latinoamericane.
Chávez è salito al potere sostenuto da uno straordinario consenso popolare dopo
due decenni di privatizzazioni neoliberali, esclusione sociale e corruzione.
Il Venezuela ora promuove un modello di integrazione economica dei Paesi
latinoamericani (l’ALBA) che è antitetico al modello neoliberale dell’ALCA
proposto dagli USA.
L’ALBA rappresenta una sfida all’imperialismo economico del ricco Nordamerica.
Questa integrazione è attualmente in fase di discussione in almeno sei Paesi
latinoamericani (ma non si può escludere che altri Paesi, dopo le elezioni del
2006, come il Perù, in futuro vi aderiranno).
Poiché Venezuela e Cuba sono tra i principali sostenitori di questo modello,
possiamo affermare che in esso vi sia preminente una ‘tendenza socialista’.
L’accordo tra Cuba e Venezuela, formalizzato alla fine del 2004, ci fa capire
quanto questo modello possa essere alternativo: I due Paesi hanno concordato che
le relazioni all’interno dell’ALBA dovranno essere basate sui “principi di
sviluppo sostenibile”, “cooperazione e solidarietà”, “integrazione energetica” e
“accessi garantiti ai benefici” tra i Paesi. Questa è una unione che non fonda
le sue basi sugli scambi commerciali e sull’economia, ma vuole dare spazio alle
esigenze dei popoli, nel rispetto delle culture, della biodiversità e nella
garanzia della massima inclusione sociale e nella più ampia redistribuzione
delle ricchezze. Lo scambio tra Cuba e Venezuela, in specifico, si basa sul
trasferimento di ‘risorse umane’ da Cuba in cambio di un prezzo preferenziale
per l’acquisto del petrolio venezuelano. L’‘operazione miracolo’ è il segno
tangibile di questa operazione, con 200mila persone che nel 2005 hanno potuto
operarsi agli occhi negli ospedali cubani.
E’ chiaro a tutti che una impostazione così radicalmente diversa nei rapporti
tra gli stati, non basata sul dato economico ne sulla concorrenza ma sulla
cooperazione e sulla mutua solidarietà, non può essere accettata dal governo
neocolonialista statunitense. La domanda è: fino a quando Chávez potrà portare
avanti la ‘rivoluzione bolivariana’? C’è da aspettarsi un intervento militare
statunitense nella regione e in che modo potrà avvenire? Domande difficili alle
quali preferiremmo non trovare risposte. Anche se i ‘precedenti penali’ degli
Usa non lasciano molti spazi di manovra.