3 giugno 2006 - M.Galvani www.ilmanifesto.it |
A Caracas il vertice dell'
Opec «allargato» Il Sudan, l'Angola e l'Ecuador pronti all'ingresso nel cartello del greggio.
Nessun aumento di
produzione. Tensioni sul dollaro |
Prezzo del paniere Opec
invariato e quote produttive ferme a 28 milioni di barili al giorno. E' quanto
deciso dall'assise del vertice dei paesi produttori di Caracas, in Venezuela, il
141esimo incontro in ordine di tempo. Ciò nonostante, ieri il prezzo del crudo
sui mercati ha sfondato il tetto dei 71 dollari al barile sia per la notizia di
un'incursione che - in Nigeria - ha «fruttato» il rapimento di otto tecnici
occidentali nel Delta del Niger, sia per la distanza ancora evidenziata tra gli
Stati uniti e l'Iran sulla questione dell'uso del nucleare.
Il vertice di Caracas non ha rappresentato un svolta nella vita dell'Opec;
tuttavia ha pesato e peserà il sostegno che il presidente Hugo Chavez ha voluto
dare alla richiesta di un ingresso, nell'organizzazione, di due paesi africani
quali l'Angola e il Sudan e due paesi latinoamericani. L'Ecuador che uscì dalla
stessa Opec nel 1992 e la Bolivia di Evo Morales. Hugo Chavez vorrebbe far
diventare l'Opec un «colosso antimperialista» contro lo strapotere manifestato,
finora, dagli Stati uniti e la complice sudditanza dei paesi mediorientali
(Arabia saudita, Emirati arabi). Sarà però per lui complicato riuscire a
spostare l'asse del Cartello petrolifero nonostante Hugo Chavez si sia deciso a
presentare un «Piano generale» per la riorganizzazione del settore produttivo;
che prevede - tra le altre cose - una nazionalizzazione dei giacimenti e una
ridiscussione dei contratti stabiliti con le multinazionali. Proprio,
ultimamente, l'Eni (la superazienda italiana) è «incappata» in una negozazione
con il Venezuela per lo sfruttamento delle piattaforme di petrolio grezzo nel
bacino di Orinoco. Dovrà pagare milioni di dollari di una penale se vorrà essere
riammessa tra i contraenti del paese latinoamericana e figurare tra le
multinazionali che possono sfruttare questa risorsa. All'inizio, l'Eni si era
rifiutata di discutere le clausole dell'accordo, per imperdonabile strapotere.
A Caracas ci sono stati diversi momenti di tensione, soprattutto quando i
ministri dell'energia dell'Opec hanno rifiutato la sollecitazione degli alleati
occidentali di aumentare le quote di produzione che avrebbero fatto abbassare il
costo del barile. La risposta è stata unitaria e univoca, mentre il ministro del
petrolio saudita ha dichiarato che «l'offerta di greggio è stata già
sovrabbondante; anzi con un eccesso di circa un milione di barili al giorno».
L'altro momento di crisi è stato rappresentato dall'intenzione di alcuni
influenti paesi (Iran e Venezuela, in primis) di abbandonare - in un prossimo
futuro - il dollaro negli scambi a favore dell'euro. Sarebbe un brusco cambio di
direzione del listino attuale che solo l'Iran ha già annunciato di volere fare
prossimamente creando una borsa alternativa a quella del mercato del Nymex e
dell'Ice. Le sedi naturali della negozazione dei futures del petrolio.
Non meno sentita è stata l'altra proposta avanzata dal «padrone di casa» Chavez
di lasciare fluttuare liberamente il prezzo dell'oro nero; evitando la
correzione qualora il costo di riferimento del greggio dovesse salire oltre i 50
dollari al barile. Quindi, secondo il lìder bolivariano, la crescita del prezzo
- nel caso che arrivasse a toccare anche i 100 dollari al barile - dovrebbe
essere lasciata libera; anche se, dall'altro lato, potrebbe causare gravi
problemi ai paesi consumatori (tra cui, guarda caso, figurano moltissime nazioni
occidentali, appartenenti al primo mondo). Per il resto il nuovo appuntamento
dell'Opec, a dicembre in Nigeria, si annuncia come un vertice infuocato.