9 luglio 2006 - www.ilmanifesto.it

 

Il «profumo» del petrolio

 

venezuelano si sente

 

Nicaragua, Guatemala e anche Panama al centro dell'offensiva petrolifera di Chavez. Nonostante il fuoco di sbarramento di governi generalmente vassalli di Washington e degli ambasciatori Usa

 

 


Il presidente venezuelano Hugo Chavez, approfittando della provvidenziale bonanza petrolifera mondiale, non si accontenta di «destabilizzare» i grandi paesi del Sudamerica in chiave anti-Usa, favorendo politiche energetiche che li possano rendere quanto meno dipendenti dalle multinazionali statunitensi (e non solo). Ora è passato all'offensiva anche nei piccoli paesi dell'istmo centro-americano, ovvero nel tradizionale cortile di casa degli States.

Oltre al sorprendente caso dell'Honduras, Chavez ha messo i piedi nel piatto nella campagna elettorale in corso in Nicaragua, dove il prossimo 5 novembre si sceglierà un nuovo presidente e sarà rinnovato il parlamento.

E naturalmente ha scelto di appoggiare Daniel Ortega, sempiterno candidato (perdente) del Fronte sandinista. Come? Sottoscrivendo con l'Associazione dei municipi nicaraguesi, presieduta dal sindaco di Managua Dionisio Marenco (sandinista) un accordo per fornire prodotti petroliferi raffinati a prezzi di favore e con crediti a lungo termine. Sono 87 (su 165) i comuni governati dal Fsln in Nicaragua, fra cui le città più importanti.

Il problema è che il presidente conservatore Enrique Bolaños non ha concesso i permessi di importazione. Gli elettori hanno avuto comunque il messaggio che se vincerà il Fronte si apriranno le porte del petrolio venezuelano al Nicaragua. E in tempi di prezzi del greggio alle stelle...
Basterà perché l'ex comandante Ortega torni alla presidenza della repubblica? O l'appoggio di Chavez (che comunque sta appoggiando i sandinisti con l'invio di fertilizzati organici per i campesinos e, pare, con sostegni finanziari diretti) gli nuocerà come è successo recentemente per Ollanta Humala in Perù?

Naturalmente la rappresentanza diplomatica Usa a Managua non è rimasta con le mani in mano. Anzi, l'ambasciatore Paul Trivelli sta conducendo iniziative di interferenza fra le più smaccate e scandalose che si siano mai registrate in questo paese: per delegittimare Ortega e fare in modo che la litigiosa destra al governo torni ad unirsi presentando un candidato unico nella figura del banchiere Eduardo Montealegre.

In Guatemala invece (dove governa saldamente il centro-destra e una vera e propria sinistra non esiste) non c'è stato bisogno per Chavez di una campagna elettorale per stringere un'accordo con circa la metà dei municipi del paese per la distribuzione di benzina e diesel in stazioni di servizio indipendenti che saranno rifornite dalla Pdvsa venezuelana.
E per finire Hugo Chavez ha firmato un paio di settimane fa col presidente di Panamà, il socialdemocratico Martin Torrijos (figlio dell'ex presidente e generale Omar Torrijos), un accordo per l'allestimento di una raffineria dove verrebbe trattato petrolio venezuelano.

Immaginarsi come a Washington avrebbero visto la vittoria del candidato de centro-sinistra Manuel Lopez Obrador nelle elezioni messicane di domenica scorsa. Nonostante la sua prudenza e le sue ambiguità con una situazione del petrolio come quella in corso (e prevedibilmente futura) i gringos temevano chissà quale mossa a sorpresa in materia di greggio. Adesso che la vittoria (fraudolenta ma non importa: quel che conta è il risultato) del conservatore Felipe Calderon sembra difficile da denunciare, si sentiranno forse più tranquilli. Almeno per quanto riguarda il Messico, grande fornitore petrolifero del mercato Usa (e sempre rimasto fuori dall'Opec).