Washington non si accontenta di desiderare apertamente il rovesciamento
delle autorità di Caracas democraticamente elette, né di fare
dell’ingerenza nella politica interna del Venezuela, ma esercita su di
esso una pressione militare. In occasione delle manovre navali «
Partnership of the Americas », Salim Lamrani ci offre un giro d’orizzonte
delle minacce statunitense.
Nei mesi di aprile-maggio, gli Stati uniti hanno effettuato impressionanti
manovre militari nei Cairaibi. L’operazione, denominata Partnership of the
Americas, ha comportato la presenza di 6500 soldati, diverse portaerei e
sommergibili nucleari, e un numero spettacolare di aerei da caccia F16.
Una nave da guerra si è pure recata nell’isola olandese di Aruba a sole 15
miglia dalle coste venezuelane [1].
Questo spiegamento di forza ha seriamente inquietato il governo di Hugo
Chávez, che ha denunciato un tentativo di aggressione militare. Il
ministro degli Esteri, Ali Rodríguez, ha sottolineato il pericolo di una
iniziativa violenta contro il Venezuela da parte della Casa Bianca. «Siamo
ben consci di questo rischio […]. Non avete sentito il linguaggio usato da
Bush? E’ un linguaggio manicheo tra il Bene e il Male, ‘quelli che sono
con noi sono buoni, quelli che non sono con noi, sono malvagi e dobbiamo
distruggerli ’», ha dichiarato. Secondo lui, solo il pantano iracheno e
«la situazione molto critica» nel Medio Oriente hanno messo un freno ad
un’offensiva diretta contro il Venezuela
[2].
Rodriguez ha pure affermato di non augurarsi una rottura con gli Stati
Uniti : «La nostra posizione è avere relazioni normali, cordiali e la sola
condizione che poniamo al governo nordamericano è il rispetto della
sovranità del Venezuela, il non intervento negli affari interni del
Venezuela [e] il rispetto della Carta delle Nazioni unite»
[3].
Da parte sua, l’ambasciatore statunitense a Caracas, William Brownfield,
ha minimizzato l’importanza delle esercitazioni militari effettuate dal
Southern Command. «Non è la prima volta che il governo degli Stati Uniti
compie manovre navali nei Caraibi e non sarà l’ultima», ha segnalato
[4].
Quanto al Pentagono, esso ha annunciato che la parata militare era
destinata unicamente a fronteggiare, in compartecipazione con paesi della
regione, delle minacce non convenzionali come il traffico di droga e
quello di persone. Tuttavia, dato l’arsenale dispiegato, egli non ha
precisato se esso comportasse l’utilizzo di armi nucleari per mettere fine
a tali minacce non convenzionali [5].
Questo nuovo progredire delle tensioni tra il Venezuela e
l’amministrazione Bush fa seguito a tutta una serie di dichiarazioni
bellicose emesse negli ultimi mesi da Washington. Il 16 febbraio 2006,
Condoleezza Rice, segretario di Stato, ha affermato che il Venezuela
costituiva «uno dei più grandi problemi» per gli Stati Uniti e ha definito
«particolarmente pericolose» le sue relazioni con Cuba. Ella ha espresso
la sua intenzione di creare un fronte comune regionale contro il governo
del presidente Chávez in occasione della sua audizione di fronte alla
Commissione Affari Esteri della camera dei rappresentanti, al fine di
giustificare lo stanziamento di 33 miliardi di dollari assegnato al suo
ministero per l’anno 2007 [6].
La signora Rice ha accusato Chávez di influenzare «i suoi vicini ad uscire
dal processo democratico», attraverso le sue politiche di rifiuto
dell’accordo di libero scambio (ALCA) preteso dagli Stati Uniti. In
effetti, dal suo accesso al potere, l’attuale governo venezuelano sostiene
un’integrazione economica latino-americana (ALBA) al fine di favorire lo
sviluppo della regione ; progetto che è completamente opposto al
neoliberismo che vuole imporre Washington e che favorisce solo le grandi
transnazionali. Per contrastare «l’influenza negativa» del Venezuela, ha
proposto la moltiplicazione delle relazioni con «i governi responsabili,
compresi i governi responsabili di sinistra, come il Brasile e il Cile» ;
vale a dire quelli che accettano il modello economico ultraliberista
[7].
Il segretario di Stato ha inoltre rimproverato al governo bolivariano di
fornire il suo sostegno politico alla coalizione dei due ex presidenti
nicaraguesi Daniel Ortega e Arnaldo Alemán, in vista delle prossime
scadenze presidenziali del novembre 2006. Secondo la Rice, questo appoggio
potrebbe «generare una situazione in cui un governo democraticamente
eletto in Nicaragua non potrebbe funzionare», facendo allusione ad
un’eventuale vittoria della sinistra e al probabile rifiuto che essa
susciterebbe a Washington [8].
Tuttavia il segretario di Stato, che flagella costantemente «il populismo
latino-americano», ha omesso di rilevare che il suo ambasciatore nel
Nicaragua, Paul Trivelli, ha avuto delle riunioni con i capi della destra
e ha preteso da loro la formazione di una sola lista per le elezioni
presidenziali e legislative, al fine di evitare ad ogni costo un successo
elettorale del Fronte sandinista [9].
Ma Washington non c’entra, ingerenza e contraddizione a parte.
Il presidente Chávez si è mostrato sorpreso dalla dichiarazioni della Rice
e ha affermato che il tentativo d’isolamento del suo governo da parte
degli Stati uniti è destinato al fallimento. «Sono diversi anni che
[Washington] cerca di isolarci, di imporci un blocco [ed] essi hanno
fallito e falliranno, perché la ragione non è dalla loro parte e perché
non dispongono di alcuna morale. Ogni giorno i popoli e i governi del
mondo scoprono la verità a proposito del Venezuela», ha notato
[10].
Il Dipartimento di Stato ha inoltre fornito il suo sostegno a certi
sindacati venezuelani che propugnano lo sciopero per destabilizzare la
nazione. In una dichiarazione alla stampa, la signora Rice a ha parlato
anche di una paralisi dei trasporti pubblici del paese, mai avvenuta.
Questi annunci fanno pensare che Washington abbia già elaborato dei piani
con l’opposizione allo scopo di deporre il presidente Chávez e confermano
le inquietudini di quest’ultimo [11].
A titolo di risposta, le autorità venezuelane hanno agitato la minaccia di
sospendere le consegne di petrolio. Il Venezuela, quinto produttore
mondiale di oro nero, esporta quotidianamente esporta quotidianamente
verso gli Stati Uniti 1,5 milioni di barili. «Il governo statunitense deve
capire che, se supera i limiti, non avrà più petrolio venezuelano», ha
avvertito Hugo Chávez. «Se crede che io non possa prendere tale misura
[…], si sbaglia di grosso [perché] numerosi paesi ci chiedono petrolio»,
ha aggiunto [12].
Nella provincia di Zulia, regione ricchissima di riserve petrolifere, ha
fatto la sua comparsa un movimento separatista sospettato di connivenza
con gli Stati Uniti. Lo Stato conta circa 4 milioni di abitanti e fornisce
una parte essenziale della produzione di petrolio. È diretto dal
governatore Manuel Rosales, opposto al governo centrale, attualmente sotto
esame per aver partecipato nell’aprile 2002 al colpo di Stato contro il
presidente Chávez. In effetti nell’aprile 2002 egli aveva firmato un
decreto emesso dalla giunta golpista di Pedro Carmona, attualmente
fuggiasco in Colombia [13].
Néstor Suárez è il presidente del gruppo d’opposizione Rumbo Propio in
favore dell’autonomia. Egli si definisce di estrema destra e ha
manifestato la sua determinazione ad installare un governo «capitalista
liberale» : «Noi vogliamo un governo nostro [e] siamo contro i grandi
governi centrali». Le dichiarazioni dell’ambasciatore statunitense
Brownfield, che ha parlato della «Repubblica di Zulia», non hanno fatto
che attizzare i sospetti verso l’amministrazione Bush
[14].
In segno di protesta, hanno avuto luogo immense manifestazioni contro
quello che il procuratore generale del Venezuela, Isaías Rodríguez, ha
definito «tradimento della patria»
[15].
Da parte sua, il Ministro della Comunicazione e dell’Informazione William
Lara ha richiamato l’articolo 130 della Costituzione bolivariana del
Venezuela : «I Venezuelani e le Venezuelane hanno il dovere di onorare e
di difendere la patria, i suoi simboli e i suoi valori culturali ; di
proteggere la sovranità, la nazionalità, l’integrità territoriale,
l’autodeterminazione e gli interessi della nazione». Ha anche affermato
che il coinvolgimento di Washington in questa crisi era un segreto di
Pulcinella, vista l’importanza strategica della regione e «l’interesse
degli Stati Uniti a controllare il petrolio venezuelano». «E’ la ragione
per cui siamo consci del pericolo e della minaccia contro l’integrità
territoriale del Venezuela», ha concluso
[16].
Per ravvivare ulteriormente la tensione, il Dipartimento di Stato ha pure
accusato il Venezuela di essere il «punto chiave di transizione» per la
droga colombiana e ha stigmatizzato la «corruzione rampante nelle più alte
sfere poliziesche e il fragile sistema giudiziario». Quest’accusa deriva
dal rifiuto delle autorità venezuelane di ricevere i funzionari della Drug
Enforcement Agency (DEA), il Dipartimento statunitense di lotta
anti-droga, accusati di spionaggio dal presidente Chávez
[17].
Il vicepresidente venezuelano José Vicente Rangel, ha respinto il rapporto
emesso da Washington sottolineando che l’amministrazione Bush non dispone
di alcuna autorità per ergersi a leader anti-droga. [Il presidente
statunitense] utilizza la lotta contro questo flagello come semplice
bandiera politica », ha denunciato
[18]. Secondo un’indagine del 2005
dell’Unione Europea, solo lo 0,47% della popolazione venezuelana consuma
droga, mentre il 9,47% degli statunitensi vi ricorrono in maniera
regolare. In effetti, con 35 milioni di tossicomani, gli Stati Uniti sono
il primo importatore di stupefacenti del pianeta
[19].
A tale critica si aggiunge la pubblicazione di Strategia di sicurezza
nazionale degli Stati Uniti, divulgata dal presidente Bush, in cui i
principali governi nel mirino sono quelli di Hugo Chávez e Fidel Castro.
«Non si deve permettere che la fraudolenta attrattiva del populismo contro
il libero mercato eroda le libertà politiche», sancisce il documento
[20].
Bush ha riaffermato il diritto degli Stati Uniti ad intervenire
unilateralmente contro ogni Stato considerato ostile agli interessi di
Washington. Egli ne ha approfittato per classificare il presidente
venezuelano come un «demagogo che fluttua sul denaro del petrolio e che
mina la democrazia e pretende di destabilizzare la regione». Per quando
riguarda Cuba, il presidente Castro è definito un «dittatore
anti-americano che continua ad opprimere il suo popolo e che cerca di
sovvertire la libertà nella regione». Quanto alla Colombia, è citata come
«un alleato democratico [che] combatte i persistenti attacchi dei
terroristi marxisti e dei narco-trafficanti»
[21].
«L’alleato colombiano» è giustamente sospettato di essere implicato nella
destabilizzazione del Venezuela. L’ex comandante del Dipartimento
amministrativo di sicurezza (DAS) di Colombia, Rafael García, ha
confessato che un ex direttore dei servizi d’informazione del DAS, dei
paramilitari colombiani e degli oppositori venezuelani avevano cospirato
per assassinare il presidente Chávez. «Secondo mie informazioni, eravamo
in due a saperlo : un ex direttore del DAS [Jorge Noguera, attualmente
console a Milano] ed io. E ci sono sei persone coinvolte tra i vertici del
governo colombiano, ma io non vi farò nomi. Il progetto era contro alti
funzionari venezuelani, compreso il presidente Chávez», ha dichiarato
[22].
Il presidente colombiano Alvaro Uribe, ha negato di essere implicato
nell’affaire, anche se ha riconosciuto di aver ricevuto delle foto che
mostravano dei militari venezuelani che avevano partecipato al colpo di
Stato dell’aprile 2002, mentre stavano entrando nell’edificio del DAS a
Bogotà. Dopo numerose indagini, il governo di Uribe ha confermato lo
svolgimento di una riunione tra oppositori venezuelani e alti responsabili
dell’esercito con agenti del DAS, in un edificio dello Stato
[23].
Di fronte a queste persistenti minacce, il governo venezuelano è stato
costretto ad accelerare i preparativi militari, al fine di impedire
un’eventuale invasione del paese. Dopo aver acquistato 33 elicotteri da
difesa dalla federazione di Russia per un ammontare di 200 milioni di
dollari, ha raccomandato all’esercito di prepararsi ad una guerra di
resistenza, attivando la formazione di una riserva nazionale composta da
civili [24].
L’America latina è attualmente attraversata da un’immensa ondata di
cambiamento. La speranza di rinnovamento suscitata dalla Rivoluzione
bolivariana, le cui trasformazioni sociali sono impressionanti, non
risponde ai gusti di Washington che vede sminuita la sua influenza.
Frattanto, il prestigio di leader progressisti quali Hugo Chávez non cessa
di crescere come dimostrato dalle espressioni ammirate dell’ex presidente
cileno Ricardo Lagos, sia pure ritenuto conservatore : «Hugo è una forza
della natura, è un uomo dotato di un grande carisma ed io credo che i suoi
sforzi per vincere la povertà l’abbiano condotto a seguire un percorso di
profondo impegno in certi settori»
[25]. E’ una delle ragioni per le
quali l’amministrazione Bush sembra pronta a tutto per mettere un termine
a questa « influenza negativa ».
Salim Lamrani è ricercatore
francese presso l’università Denis-Diderot (Parigi VII), specialista delle
relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Ultimo lavoro pubblicato: Cuba face
à l’empire: Propagande, guerre économique et terrorisme d’état, Éditions
Timéli.
Note
[1] Elsa Claro, « Extrañas maniobras en el Caribe. A solas con el enemigo
», Granma, 17 aprile 2006. (sito consultato il 18 aprile 2006).
[2] Fabiola Sanchez, « Entrevista AP : Venezuela ve riesgo de ataque de
EEUU », El Nuevo Herald, 4 aprile 2006.
[3] Ibid.
[4] Associated Press, « U.S. Defends Its Naval Exercise », 30 marzo 2006.
[5] Greg Brosnan, « Chavez Says US Warships Threaten Venezuela, Cuba »,
Reuters, 18 aprile 2006.
[6] El Nuevo Herald, « Condoleezza Rice insta a frenar a Chávez », 17
febbraio 2006.
[7] Ibid.
[8] Ibid.
[9] Blanca Morel, « EEUU quiere impedir el triunfo de la izquierda en
Nicaragua », El Nuevo Herald, 19 aprile 2006.
[10] El Nuevo Herald, « Chávez : EEUU quiere aislar a Venezuela », 17
febbraio 2006.
[11] Agencia Bolivariana de Noticias, « Chávez reiteró llamado al país de
oponerse a maniobras imperialistas », 17 febbraio 2006.
[12] El Nuevo Herald, « Chávez amenaza con suspender el petróleo a EEUU »,
18 febbraio 2006.
[13] Steven Dudley, « Autonomía de Zulia desata batalla en Venezuela », El
Nuevo Herald, 6 aprile 2006.
[14] Ibid.
[15] EFE, « Fiscalía venezolana investiga grupo separatista en Zulia », 7
mars 2006 ; Granma, « Ratifican en Venezuela como traición a la Patria
proyecto secesionista », 8 marzo 2006. (sito consultato il 10 marzo 2006)
; Granma, « Inician en Venezuela movilizaciones contra proyecto
secesionista », 7 marzo 2006. (sito consultato il 10 marzo 2006).
[16] Agencia Bolivariana de Noticias, « Ministro Lara lidera jornadas en
Zulia contra acciones separatistas », 10 marzo 2006.
[17] Néstor Ikeda, « EEUU denuncia que Venezuela no cumple tratados
antidrogas », El Nuevo Herald, 1 marzo 2006 ; El Nuevo Herald, « Señalan a
Venezuela de ‘ruta de la droga’ », 2 marzo 2006 ;
[18] EFE, « A favor y en contra del informe sobre drogas », 3 marzo 2006.
[19] Agencia Bolivariana de Noticias, « Venezuela refutó ante Naciones
Unidas inflorme de EEUU sobre narcóticos », 10 marzo 2006.
[20] The White House, « The National Security Strategy of the United
States », mars 2006. Téléchargement (site consulté le 17 mars 2006).
[21] Ibid.
[22] Prensa Latina, « Revelan participación colombiana en atentados contra
Chávez », 9 aprile 2006.
[23] Javier Baena, « Venezuela pide a Colombia aclarar complot contra
Chávez », El Nuevo Herald, 19 aprile 2006.
[24] Agencia Bolivariana de Noticias, « Inversión en helicópteros rusos
ascenderá a unos 200 millones de dólares », 3 aprile 2006 ; El Nuevo
Herald, « Chávez Busca actualizar entrenamiento militar », 26 marzo 2006.
[25] El Nuevo Herald, « Lagos : no hay que demonizar a presidente
venezolano », 2 marzo 2006.
Fonte:
Voltaire, édition
international
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