Un seggio al Consiglio dell’Onu. Una tribuna perfetta per gli show
mediatico-politici di Hugo Chavez che per occupare un posto da membro non
permanente sta tenendo insieme un agguerrito fronte diplomatico.
Può contare sul gioco di sponda dei Paesi del
Mercosur (Argentina,
Brasile, Uruguay e Paraguay) e sull’appoggio di Cina, Russia, Cuba, Iran,
Malesia e India. Ma deve vedersela con l’opposizione di Washington che
spinge perché al posto del Venezuela chavista sia scelto il più mansueto
Guatemala.
Il 16 ottobre l’Assemblea generale delle Nazioni unite dovrà eleggere i
cinque Paesi che sostituiranno Giappone, Grecia, Danimarca, Tanzania e
Argentina il cui mandato termina nel dicembre del 2006.
Il presidente venezuelano punta a subentrare all’Argentina. Il mandato
dura due anni. Per riuscirci gli servono 128 voti. Tanti. Dagli ambienti
diplomatici venezuelani alle Nazioni unite, fino a qualche settimana fa
ottimisti rispetto all’esito della votazione, trapela malumore, gli sherpa
si lamentano di defezioni improvvise.
Che Haiti si schierasse a fianco del Guatemala era la mossa meno attesa.
Haiti è legata a Caracas da forniture di carburante a prezzi più che di
favore, eppure il ministro degli esteri haitiano ha parlato chiaro: non
possiamo ignorare le richieste degli Stati Uniti.
La posizione della presidente cilena Michelle Bachelet è ancora incerta.
Socialista, appoggiata da Chavez fin troppo caldamente prima della sua
elezione nel gennaio scorso, sembrerebbe la sostenitrice naturale della
causa venezuelana, ma i mille vincoli economici e finanziari che legano il
(ricco) Cile alla politica statunitense l’hanno per ora indotta a volersi
mantenere al di fuori della disputa. I venezuelani temono di perder voti
per strada, di vedere amici vecchi e nuovi sfilarsi via all’ultimo
momento. A poco è valsa finora la campagna acquisti di Chavez in Centro
America. Il Costa Rica, l’Honduras, il Salvador, il Nicaragua e Panama si
sono già schierati con il Guatemala che può contare sull’appoggio di
Spagna, Canada, Gran Bretagna, Germania, Finlandia, Giappone, Corea del
sud, Australia e Marocco.
Chavez
per vincere ce la sta mettendo tutta. Giura che ce la farà e muove quel
che può in ogni consesso internazionale gli capiti a tiro. La
XIV riunione dei capi di
Stato e di governo del movimento dei Paesi non allineati, chiusasi quattro
giorni fa all’Avana, gli è servita sostanzialmente a questo. Il movimento
dei non allineati ha mantenuto poche delle promesse suscitate nel 1961,
quando fu fondato per tenere insieme i Paesi che non rispondevano (o
dicevano di rispondere) né a Washington né a Mosca. Rimane comunque un
utile strumento per cucire alleanze da far pesare all’Assemblea delle
nazioni unite. E Chavez all’Avana in questi giorni si è sbracciato in
spericolate operazioni diplomatiche, costate un velato appoggio alle
tentazioni nucleari iraniane, pur di far uscire nella dichiarazione finale
del vertice un passaggio in cui tutti i membri si impegnano a sostenere
Venezuela, Bolivia e Cuba dalle pressioni statunitensi.
La riunione ha celebrato con non poca retorica la creazione di un blocco
internazionale antinordamericano il cui nucleo duro dovrebbe esser formato
da Cuba, Venezuela, Iran, Corea del Nord e Bolivia. Ma la sensazione è che
si sia trattato di pompose dichiarazioni di intenti utili più che altro a
compattare le forze attorno al concreto obiettivo di far sedere il
Venezuela al Consiglio dell’Onu. La visita di un sorridente Kofi
Annan al convalescente Fidel
Castro è stata da più parti letta come un appoggio del segretario Onu alla
candidatura venezuelana. Della conversazione si sa poco. A parte che il
vecchio presidente cubano ha ricevuto l’ospite in vestaglia.