Alla mezzanotte del 31 dicembre il governo di Evo
Morales ha firmato il decreto che, richiamandosi alla reciprocità, impone il
visto d'entrata per i cittadini Usa diretti in
Bolivia.
Il giorno prima, sabato, aveva avviato un'altra iniziativa destinata a non
piacere a Washington: il via ai lavori del primo impianto per
l'industrializzazione delle foglie di coca. vicino a Cochabamba.
La vigilia di Natale Morales aveva annunciato l'intenzione di riconoscere
come legali un totale di 20.000 ettari di coltivazione di coca nel paese:
8.000 più di quelli riconosciuti dalla normativa vigente , ma 7.000 in meno
di quelli presenti in totale. Il che significa, come ha spiegato il
vicepresidente Alvaro Garcia Linera, che il governo in realtà fa un passo,
dati alla mano realistico, nella direzione della lotta al narco-traffico,
togliendogli il suo nascondiglio più efficace: la penombra dell'illegalità.
Gli Usa hanno subito reagito alla notizia facendo sapere, per bocca
dell'ambasciatore a La Paz, che ridurranno drasticamente i fondi destinati
alla Bolivia dal programma Usaid. Questi
fondi di fatto sono sempre stati vincolati all'obbedienza ai dettami di
Washington fin dal 1988, anno in cui la Bolivia
approvò la legge 1008 che stabiliva il tetto di ettari coltivabili a coca.
Un impianto repressivo che negli anni 90 provocò centinaia di morti nella
regione tropicale del Chapare in una guerra a bassa intensità fra
narco-trafficanti, esercito e piccoli coltivatori. Questi anziché scegliere
la strada della lotta armata fondarono il Mas, il partito che un anno fa ha
portato al governo Evo, un leader del sindacato cocalero, che, quindi, dello
sdoganamento della foglia di coca ha fatto un cavallo di battaglia.
Tant'è che, pochi giorni dopo l'annuncio della vigilia di natale, è arrivato
quello della vigilia di capodanno, anch'esso destinato a far infuriare
Washington. Inaugurando il primo impianto di industrializzazione della
foglia di coca Evo ha detto di «non dover chiedere il permesso a nessuno,
perché la coca al suo stato naturale non fa male. Sta agli Stati uniti
trovare un modo di ridurre il consumo di cocaina al loro interno».
L'impianto, costruito a Lauka, nei pressi di Cochabamba, entrerà in funzione
fra sei mesi a un costo di 250 mila dollari nel quadro del Trattato di
commercio dei popoli( Tcp) e dell'Alternativa bolivariana delle Americhe
(Alba), antitesi rispettivamente dei Tlc ( trattati di libero commercio) e
dell'Alca (Area di libero commercio delle Americhe ), accordi neo-liberisti
per antonomasia e simbolo della dipendenza.
L'industrializzazione della coca ha un significato commerciale, oltre che
politico, tutt'altro che irrisorio. A cominciare dalla possibilità di
esportarne il tè e altri infusi, verso mercati in espansione tipo Cina e
India. Prima, però, come ha spiegato Morales, è necessario che la coca sia
depennata dalla lista ONU delle sostanze proibite. Un'inversione di rotta
tutt'altro che semplice.