5 gennaio 2007 - S.Corsi www.ilmanifesto.it

 

Bolivia: dopo il visto, la coca


Prima l'imposizione del visto per i cittadini Usa; adesso il primo impianto

per il trattamento industriale delle foglie di coca
 

 

     

Alla mezzanotte del 31 dicembre il governo di Evo Morales ha firmato il decreto che, richiamandosi alla reciprocità, impone il visto d'entrata per i cittadini Usa diretti in Bolivia. Il giorno prima, sabato, aveva avviato un'altra iniziativa destinata a non piacere a Washington: il via ai lavori del primo impianto per l'industrializzazione delle foglie di coca. vicino a Cochabamba.
La vigilia di Natale Morales aveva annunciato l'intenzione di riconoscere come legali un totale di 20.000 ettari di coltivazione di coca nel paese: 8.000 più di quelli riconosciuti dalla normativa vigente , ma 7.000 in meno di quelli presenti in totale. Il che significa, come ha spiegato il vicepresidente Alvaro Garcia Linera, che il governo in realtà fa un passo, dati alla mano realistico, nella direzione della lotta al narco-traffico, togliendogli il suo nascondiglio più efficace: la penombra dell'illegalità.
Gli Usa hanno subito reagito alla notizia facendo sapere, per bocca dell'ambasciatore a La Paz, che ridurranno drasticamente i fondi destinati alla Bolivia dal programma Usaid. Questi fondi di fatto sono sempre stati vincolati all'obbedienza ai dettami di Washington fin dal 1988, anno in cui la Bolivia
approvò la legge 1008 che stabiliva il tetto di ettari coltivabili a coca. Un impianto repressivo che negli anni 90 provocò centinaia di morti nella regione tropicale del Chapare in una guerra a bassa intensità fra narco-trafficanti, esercito e piccoli coltivatori. Questi anziché scegliere la strada della lotta armata fondarono il Mas, il partito che un anno fa ha portato al governo Evo, un leader del sindacato cocalero, che, quindi, dello sdoganamento della foglia di coca ha fatto un cavallo di battaglia.
Tant'è che, pochi giorni dopo l'annuncio della vigilia di natale, è arrivato quello della vigilia di capodanno, anch'esso destinato a far infuriare Washington. Inaugurando il primo impianto di industrializzazione della foglia di coca Evo ha detto di «non dover chiedere il permesso a nessuno, perché la coca al suo stato naturale non fa male. Sta agli Stati uniti trovare un modo di ridurre il consumo di cocaina al loro interno».
L'impianto, costruito a Lauka, nei pressi di Cochabamba, entrerà in funzione fra sei mesi a un costo di 250 mila dollari nel quadro del Trattato di commercio dei popoli( Tcp) e dell'Alternativa bolivariana delle Americhe (Alba), antitesi rispettivamente dei Tlc ( trattati di libero commercio) e dell'Alca (Area di libero commercio delle Americhe ), accordi neo-liberisti per antonomasia e simbolo della dipendenza.
L'industrializzazione della coca ha un significato commerciale, oltre che politico, tutt'altro che irrisorio. A cominciare dalla possibilità di esportarne il tè e altri infusi, verso mercati in espansione tipo Cina e India. Prima, però, come ha spiegato Morales, è necessario che la coca sia depennata dalla lista ONU delle sostanze proibite. Un'inversione di rotta tutt'altro che semplice.