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11 gennaio 2007 - A.Ursic www.peacereporter.net |
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GUANTANAMO
Centinaia di proteste per il quinto
anniversario del centro di detenzione per presunti terroristi |
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Cinque anni dopo, i detenuti sono circa la metà. Ma il campo di detenzione di Guantanamo, all’interno della base statunitense a Cuba, c’è ancora e per il momento non è in programma la sua chiusura.
E proprio in coincidenza con il quinto anniversario dei primi arrivi di presunti terroristi, oggi, 11 gennaio, sono previste in tutto il mondo centinaia di manifestazioni per chiedere che i circa 400 detenuti di Guantanamo siano rilasciati, o che almeno vengano accusati di qualcosa di preciso, con un processo regolare.
Veglie, proteste davanti alle ambasciate Usa, travestimenti con le tipiche tute
arancione dei detenuti, la “mamma della pace” Cindy Sheehan a protestare
all’esterno della base. Ma anche una lettera indirizzata a Tony Blair. Mittente:
un bambino di 10 anni figlio di un detenuto a Guantanamo, che al primo ministro
britannico chiede “Perché mio padre è in prigione?”.
Nel centro di detenzione sono rinchiusi 395 detenuti, 11 dei quali ancora in sciopero della fame. In questi cinque anni sono stati rilasciati 379 prigionieri, mentre altri 10 detenuti avrebbero dovuto essere processati davanti alle corti militari istituite dall’amministrazione Bush. Nel giugno scorso la Corte Suprema dichiarò però incostituzionali questi procedimenti, ordinando che i detenuti venissero processati davanti a una corte penale statunitense.
Ma prima delle elezioni di novembre, quando il Congresso era ancora
repubblicano, l’amministrazione Bush è riuscita a far approvare il Military
Commissions Act, legittimando in sostanza quello che per la Corte Suprema era
incostituzionale. Al momento, la situazione è in stallo. La Casa Bianca vorrebbe
processare un’ottantina di detenuti in queste corti militari, che dovrebbero
costare oltre 125 milioni di dollari (96 milioni di euro). Quelli che lottano
per la chiusura di Guantanamo, in pratica, sanno che è tutto da rifare. “Spero”,
ha scritto Michael Ratner, direttore del Center for Constitutional Rights, “che
non ci vogliano altri cinque anni”.
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