7 marzo 2007 -  El Moncada www.italia-cuba.it

Continuità a Cuba

 

 

 

 

La domanda del periodo è: "Cosa sta succedendo a Cuba e cosa accadrebbe con il dopo Fidel?". Vi diamo una chiave di analisi diversa dalla nostra con questo articolo di Julia E. Sweig, direttore degli studi latino-americani al Council on Foreign Relation negli Usa (e autrice del libro "Dentro la Rivoluzione Cubana") pubblicato sulla rivista Foreign Affair con il titolo: "L'Ultima Vittoria di Castro", che segnala i difetti della politica statunitense verso Cuba e avverte sui pericoli del suo prolungamento.

 

"Da quando Fidel Castro ha raggiunto il potere nel 1959, Washington e la comunità di esiliati cubani hanno aspettato ansiosamente il momento in cui lo avrebbe perso e quando, come hanno pensato, avrebbero avuto carta bianca per rifare Cuba a loro immagine", scrive La Sweig. Senza Fidel, "l'isola sarebbe esplosa in una domanda collettiva di un cambiamento rapido. La popolazione, oppressa per tanto tempo, avrebbe destituito i complici rivoluzionari di Fidel chiedendo a gran voce il capitale, la competenza e la leadership del Paese del nord, per trasformare Cuba in una democrazia di mercato con forti legami con gli Stati uniti".


"Ma quel momento è venuto ed è passato e non è successo niente di ciò che Washington e gli esiliati speravano. [...] La transizione post-Fidel è già in cammino. Il potere è stato trasferito con successo a una nuova équipe di leader la cui priorità è preservare il sistema mentre procede a una riforma molto graduale. I cubani non si sono ribellati e la loro identità nazionale rimane legata alla difesa della loro patria contro gli attacchi nordamericani alla sua sovranità. Man mano che il regime post-Castro risponderà alle domande di maggiore partecipazione democratica e opportunità economiche, senza dubbio Cuba cambierà ma il ritmo e la natura di quel cambiamento saranno per lo più impercettibili agli occhi dei nordamericani. [...]".

 

 

Si sveglino alla realtà

 


"Il passaggio di autorità da Fidel a suo fratello minore, Raúl, e a mezza dozzina di sostenitori leali - che stanno guidando il paese da anni, vigilati da Fidel - è stato notevolmente tranquillo e stabile. Non ci sono stati episodi violenti per le strade, non si è scatenato alcun esodo di massa di rifugiati. E, nonostante un'ondata iniziale di euforia a Miami, non una sola imbarcazione è partita per le 90 miglia di viaggio. A Cuba, il fatto che Fidel sopravviva per settimane, mesi o anni, realmente non ha importanza.

 

"Tuttavia, a Washington, la politica verso Cuba - diretta essenzialmente verso il cambiamento di regime - da tempo è stata dominata da illusioni sempre più staccate della realtà dell'isola. Grazie ai voti e ai contributi per la campagna elettorale del milione e mezzo di cubano -americani che vivono in Florida e nel New Jersey, la politica interna ha influito sulla politica estera. Questa tendenza è stata supportata da una comunità di Intelligence con le mani legate dal suo autoimposto e stupefacente isolamento da Cuba e rinforzata da un ambiente politico che premia coloro che dicono alla Casa Bianca ciò che la Casa Bianca vuole sentire. Perché alterare lo status quo quando questo è così noto, ben pagato e così gradevole dal punto di vista retorico per i politici di entrambi i partiti?


"Washington deve svegliarsi una volta per tutte di fronte alla realtà di come e perché il regime castrista è stato tanto duraturo e riconoscere che, come risultato della sua deliberata ignoranza, ha pochi strumenti per influenzare efficacemente Cuba dopo che sparirà Fidel. In momenti in cui la credibilità degli Stati uniti in America latina e nel resto del mondo è al livello più basso della sua storia, è ora di porre fine a una politica che si è dimostrata un fallimento totale, grazie al passaggio di potere effettuato da Fidel.

 


Un Paese che funziona

 


Dopo il racconto degli eventi da quando Fidel Castro è stato operato a luglio, La Sweig analizza la situazione attuale, dicendo che Cuba, benché "lungi dall'essere una democrazia multipartitista [...] è un paese che funziona, con cittadini profondamente convinti, nel quale funzionari locali eletti [...] si preoccupano di temi come raccolta della spazzatura, trasporto pubblico, lavoro, educazione, sanità e sicurezza. Benché piagate dalla corruzione, le istituzioni cubane sono portate avanti da impiegati civili educati, ufficiali militari avvezzi alla lotta, da un corpo diplomatico capace e da una forza lavorativa esperta. I cubani sono straordinariamente educati, cosmopoliti, instancabilmente affaristi e, secondo gli standard mondiali, di assai buona salute".


Tra i critici di Castro, dice La Sweig, "non esiste l'interesse a capire le fonti della legittimità di Castro o gli aspetti dello status quo che manterranno al suo posto Raúl e la leadership collettiva. [...] I funzionari di tutti i livelli del governo cubano e del Partito Comunista hanno un'enorme fiducia nella capacità del regime di sopravvivere all'assenza di Fidel. Dentro e fuori dal Governo, i critici come i sostenitori - compresa la stampa ufficiale - ammettono senza riserve i seri problemi nella produttività e nella distribuzione di beni e servizi. Ma i programmi di aiuto sociale (che restano vitali) e un sentimento generalizzato che Raúl è l'uomo adeguato per combattere la corruzione e guidare un Governo responsabile, danno alla leadership attuale più legittimità di quella che avrebbe mediante la repressione, ciò che frequentemente gli stranieri adducono per spiegare perché il regime rimane nel potere".


E se la Sweig ammette i problemi creati dalla fine dell'appoggio sovietico e dal blocco statunitense, riconosce anche i risultati di Cuba nella scienza e nell'educazione. "L'investimento fatto dalla Rivoluzione nel capitale umano ha messo Cuba in un'eccellente posizione per giovarsi dell'economia globale", scrive. "Di fatto, l'isola gode di un eccesso di talento professionale e scientifico, poiché non ha la base industriale e gli investimenti stranieri necessari per creare un grande numero di posti di lavoro specializzati produttivi. Con 10mila studenti all'Università di scienza e tecnologia, e operando insieme ad aziende farmaceutiche in Cina e in Malesia, Cuba è pronta per competere con le principali nazioni sviluppate".

 

 

Washington non ha leve

 


La Sweig descrive, quindi, gli sforzi dell'amministrazione Bush per soffocare Cuba mediante ogni tipo di restrizioni: "Oggi gli Stati uniti spendono approssimativamente 35 milioni di dollari all'anno in iniziative definite da alcuni 'per promuovere la democrazia' e da altri come 'destabilizzazione'". Una di queste è l'aiuto monetario per i cosiddetti "dissidenti". Tuttavia, "solo una piccola parte di quell'appoggio arriva ai cubani nell'isola. La maggior parte è distribuita con contratti che si fermano nelle mani dell'industria anticastrista sorta a Miami, a Madrid e in alcune capitali dell'America latina e dell'Europa orientale. I beneficiari di tale generosità federale -come gli agenti dell'Intelligence cubana che abitualmente si infiltrano in quei gruppi- si sono trasformati nei principali azionisti della politica di Washington verso Cuba, una politica ben finanziata ma ovviamente inefficace.


"Il risultato di mezzo secolo di ostilità [...] è che Washington non ha leve per influenzare ciò che avviene a Cuba. Senza altro modo di soddisfare le sue promesse elettorali ai cubano-americani (che non sia un'invasione dell'isola), l'amministrazione Bush nel 2003 ha istituito la Commissione per l'Aiuto a una Cuba Libera e nel 2004 ha nominato un 'coordinatore per la transizione a Cuba'".


Ma le premesse della commissione non sono corrette, fa presente la Sweig. Anche supponendo che gli Stati uniti possano impadronirsi del governo cubano e ripulire il Partito Comunista, "una purga dei membri del partito lascerebbe il paese senza gli esperti necessari in un'era post-Fidel, non importa a quale ritmo di cambiamento. E se gli Stati uniti, o un governo di transizione imposto da Washington, potessero orchestrare tale purga, dovrebbe affrontare l'insorgere di milizie straordinariamente abili, infiammate dal nazionalismo anti-nordamericano".

 

Washington "deve accettare che non esiste un'alternativa ai funzionari che amministrano già la Cuba post-Fidel".

 

 

Un cambiamento nel modo di

pensare dei cubano-americani

 


"Un cambiamento incoraggiante è che la comunità cubano-americana non ha ormai un unico atteggiamento rispetto al futuro di Cuba e al ruolo dei cubano-americani in questo futuro", dice la Sweig. "Per decenni, una minoranza strepitante di esiliati dalla linea dura [...] si è impadronita della politica di Washington verso Cuba. Ma i cubano-americani venuti negli Stati uniti da bambini, sono meno accesi e ostinati dei loro genitori e dei loro nonni. E i quasi 300mila immigranti arrivati dal 1994 sono più interessati a pagare i loro conti e ad aiutare le loro famiglie nell'isola. Attualmente, la maggioranza dei cubano-americani, benché anticastrista, riconosce che il blocco è fallito e vuole mantenere legami familiari e umanitari senza eliminare del tutto le sanzioni. In generale, molti preferiscono la riconciliazione, non la vendetta".

 

Le conclusioni della Sweig sono dirette e specifiche:
"Dopo il funerale di Fidel, un governo 'di transizione' come quello che desidera Washington non occuperà il palazzo presidenziale a La Habana", predice. "Questo significa che la Casa bianca non può restare in attesa del lieto giorno in cui possa mettere alla prova le raccomandazioni della sua commissione. L'attuale amministrazione deve, invece, incominciare immediatamente a parlare con i vertici del governo cubano.

 

Riconoscendo che Cuba e gli Stati uniti condividono un interesse di stabilità su entrambe le sponde dello Stretto della Florida, la più alta priorità è quella di coordinare gli sforzi per ostacolare una crisi di rifugiati o provocazioni improvvise causate da gruppi di esiliati negli Usa ansiosi di approfittare del cambiamento.

 

Oltre al controllo di questa crisi, Washington e La Habana possono cooperare in numerosi problemi nell'area dei Caraibi, come il traffico di droga, l'immigrazione, la sicurezza nelle dogane e nei porti, il terrorismo e le conseguenze ambientali della ricerca di petrolio nel Golfo del Messico.[...]

 

 

Un 'cambiamento di regime' è inutile

 


"La fine dei divieti di viaggio imposti da Washington, già appoggiata da maggioranze bipartitiche alla Camera dei Rappresentanti, aprirebbe ancora di più la strada a una nuova dinamica tra Stati uniti e Cuba. Come la Casa bianca di Bush padre formalmente aveva proibito le operazioni segrete contro l'isola, l'amministrazione di Bush figlio (o del suo successore) deve abbandonare anche il 'cambiamento di regime', un obiettivo che per anni è stato il centro della politica di Washington verso Cuba.


"Se continua nella sua direzione attuale e continua a proferire minacce su quali cambiamenti accetterà o meno dopo la sparizione di Fidel, Washington non farà altro che ritardare il ritmo della liberalizzazione e della riforma politica garantendo molti anni di maggiore ostilità tra i due paesi. Proponendo una gestione bilaterale della crisi, così come misure che approfondiscano la reciproca fiducia; eliminando le sanzioni economiche, cessando di interferire con i cubano-americani e con altri nordamericani che desiderino viaggiare liberamente a Cuba, e dando a Cuba lo spazio necessario per definire la sua rotta in un'era post-Fidel, Washington aiuterebbe a smetterla con la mentalità di assedio che ha permeato la politica cubana e -con il plauso degli alleati Usa- forse potrebbe persino accelerare le riforme. [...] Per evitare che i prossimi 50 anni portino più [confusione], la mossa migliore di Washington è tirarsene fuori, ritirandosi dalla politica interna di Cuba una volta per tutte.


"I successori di Fidel stanno già lavorando. Dietro Raúl si profilano altre figure con la capacità e l'autorità per prendere le redini e continuare la transizione, anche se sparisse Raúl. Fortunatamente per loro, Fidel ha insegnato bene: lavorano per consolidare il nuovo governo, portare avanti i temi di interesse quotidiano, creare un modello di riforma con caratteristiche cubane, sostenere la posizione di Cuba in America latina e nel resto del mondo, e scontrarsi con le politiche prevedibili degli Stati uniti. Il fatto che questi risultati durino oltre la morte di Fidel è una vittoria finale per lo straordinario sopravvissuto latinoamericano.


Dal settimanale 'Progreso'