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16 giugno '08 - www.granma.cu
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Una lettera di Stella Calloni a Fidel
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Caro Comandante Fidel Castro:
Alcuni giorni fa la direttrice del quotidiano La Jornada mi ha inviato una copia magnifica di questa sua fotografia, dove lei ha le colombe sulle spalle e sulla testa. È una foto straordinaria e geniale.
Mi ricordo che stando io in Cuba e assistendo a una cerimonia nella quale lei parlava, il suo discorso fu accompagnato da un canto di uccellini sistemati su un cavo della luce o dell’alta tensione – non sono esperta in cavi - ma non ho mai avuto l’occasione di chiederle se li aveva sentiti. In alcune registrazioni di quel discorso è molto ben registrato quel formidabile accompagnamento di trilli realmente molto speciale e magico...
Avevo un forte desiderio di scriverle da questi territori del sud, tutti molto commossi, alcuni più che altri, soprattutto dopo aver visto andare per Calle Corrientes, popolare mitica a sua volta, la statua di bronzo del Che, il cui passaggio ha emozionato molti in qualcosa che era più di una rivendicazione.
Mi sono detta: adesso gli scrivo!
Non c’è niente come ascoltare il linguaggio della strada. In un angolo c’era un uomo che pareva un folletto. Si asciugava le lacrime con un vecchio e sciupato, quasi rotto fazzoletto. Piccolo di statura. Gli ho chiesto perchè era così emozionato. Mi ha risposto: “Ho 93 anni e non andrò molto avanti, ma ho saputo che Ernesto sarebbe passato di qui e ho voluto salutarlo, anche se questa è solo una statua simbolo, ma è sempre qualcosa che passa di qui”.
Gli ho chiesto da dove veniva e qualcosa sulla sua vita che, per il suo aspetto aveva dovuto essere dura.
“Vengo dal nord, al di là di Tucumán e Santiago dell’Estero. La mia vita è stata dura ma combattuta, sin da bambino sto lottando per quel che credo sia giusto. Un uomo dev’essere solamente giusto per stare in tutte le battaglie per la giustizia”.
Aveva lavorato in mestieri duri: da bambino nel campo, nei raccolti di canne,o nelle piantagioni d’arance, poi nei magazzini frigorifero e partecipando a varie resistenze ai colpi che isolarono il paese.Me lo disse rapido e sintetico come chi riassume una vita in due o tre frasi.
Rimase a guardare la figura della statua del Che sino a che si perse lontano, senza poter parlare. Prima di andarsene mi porse la mano tremula, sciupata da quella vita e da quei mestieri e mi disse: “Adesso mi resta da chiedere a San Ernesto de la Higuera, al Che dell’America che realizzi il miracolo d’unire le nostre sinistre e la nostra gente migliore, che sembra preparata solo per dividere. Vengono tempi duri e a coloro che vanno agitando le bandiere con il Che dico che questo non vi fa combattenti nè rivoluzionari e tanto meno in questi tempi. Il Che necessita meno grida, meno magliette e più saggezza per i nuovi tempi di lotta. Oggi dobbiamo sapere chi è il nemico: se ci confondiamo siamo perduti!”
“Adesso il mandinga è nascosto dietro molte parole fiorite e alcuni compagnucci sono diventati ciechi e cadono nelle trappole. Leggete e fondo il Che, leggete Fidel, leggete la storia, siate umani e degni come loro. Ve lo dice un vecchio come me, che combatte ogni giorno per comprare le medicine economiche che deve prendere. Per mangiare ormai non faccio grandi battaglie”.
Lo guardai emozionata e gli dissi che parlava molto bene.
“Povero come sono sempre stato, ho sempre letto tutto quello che mi passava tra le mani. Me lo aveva insegnato un compagno minatore, molto malato per il mestiere. Mi disse, questa sarà la tua difesa e quella degli altri. Lui stesso me lo insegnò. Era un gran combattente e, guardi, io continuo a leggere!”
Da una tasca della sua vecchia giacca ha preso vari fogli stropicciati e mi ha mostrato le copie delle sue riflessioni che un giovane vicino gli presta quando può.
Gli ho chiesto il suo nome ma ha scosso la testa e mi ha risposto: “Mi chiamo come si chiamano tutti quelli che vivono come vivo io”. Le racconto questa piccola storia perchè mi sono sempre chiesta se sappiamo imparare con umiltà da coloro da cui dobbiamo apprendere...
Questa storia è sua e la abbraccia forte e con immenso affetto e rispetto,
Stella Calloni
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14 giugno '08 - A.Martinez www.granma.cu (AIN)
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Il legato epico del Che |
In uno spettacolo di gala in omaggio all’80º anniversario della nascita del Guerrigliero Eroico, presieduto dal Generale dell’Esercito Raúl Castro Ruz, Presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri, che si è svolto nel teatro Karl Marx, Lage ha sottolineato la coincidenza storica con la nascita di Antonio Maceo, che con la Protesta di Baraguá segnò il divenire inarrestabile dei cubani onesti.
Il debutto dell’opera “El cantar del caballero y su destino” del maestro José María Vitier ispirata alla vita e al pensiero del Che e al suo impatto latino americano, africano e universale, scritta per orchestra sinfonica e dedicata all’uomo che si consacra alla lotta per la giustizia e al miglioramento umano, è stata un vero avvenimento culturale.
Vitier ha diretto brillantemente l’interpretazione della sua opera con l’Orchestra Sinfonica Nazionale, il Coro Nazionale, Exaudi e la soprano Bárbara Yánez, ed ha commosso il pubblico con questa attuazione eccezionale per il suo apporto artistico e per l’organizzazione del meritato omaggio al Che.
OMAGGI A ROSARIO E VALLEGRANDE
Gli omaggi al Comandante Ernesto Guevara si moltiplicano nel mondo.
Nella sua città natale di Rosario è stato auspicato l’Incontro Internazione delle Cattedre per il Che e nel Teatro El Círculo si è volto un incontro accademico con lo scrittore e poeta cubano Miguel Barnet e il Premio Nobel della Pace del 1980, l’argentino Adolfo Pérez Esquivel.
La delegazione cubana alle cerimonie per l’80º anniversario della nascita del Che è guidata da Rogelio Acevedo, presidente dell’Istituto di Aeronautica Civile dell’Isola e integrante della colonna guerrigliera che il Che condusse dalla Sierra Maestra, sino all’Occidente di Cuba.
Una sessione speciale della Camera dei Deputati di Santa Fe, alla quale hanno partecipato le figlie del Che, Aleida e Celia Guevara March è stata molto commovente.
A Vallegrande, in Bolivia, un gruppo di collaboratori cubani riceverà un riconoscimento per il lavoro svolto in questa nazione come preambolo alla cerimonia centrae che si svolgerà a La Higuera, dove fu assassinato il leggendario combattente il 9 ottobre del 1967.
RICORDANO A SANTIAGO MACEO E IL CHE
La nascita di due grandi figure delle lotte indipendentiste di Cuba, Antonio Maceo ed Ernesto Che Guevara, è stata ricordata oggi, 14 giugno, nella Città Eroe cubana, dove la loro orma resterà impressa per la storia.
Una rappresentanza della popolazione cittadina si darà appuntamento nel Bosco degli Eroi, per onorare questi due uomini di grandezza universale che hanno vissuto in secoli differenti, ma avevano in comune le idee dell’indipendenza dell’Isola e dell’America.
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13 giugno '08 - www.granma.cu (dal sito http://www.che80.co.cu/)
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Breve avvicinamento personale al Che Guevara
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Era abitudine di Papa Giovanni Paolo II viaggiare accompagnato da giornalisti che, dopo, avrebbero scritto del viaggio. Durante il volo, in un determinato momento, il Papa passava alla cabina occupata dai giornalisti e parlava un poco con loro. Gli facevano domande non solo sul viaggio in corso ma anche su quasi tutto il divino e l’umano che interessava in quel momento.
Nell’aneddoto che riferirò, si trattava di un viaggio in Africa – Giovanni Paolo II ne effettuò vari in quel continente – vero la fine degli anni ’80 o all’inizio dei novanta. Già in questi anni si parlava di una possibile visita di Giovanni Paolo II a Cuba. Si realizzò nel gennaio 1998. In qualche quotidiano o rivista d’allora, lessi quanto segue che, adesso, tratto di ricostruire, facendo appello alla mia memoria.
Nella cabina dell’aereo s’era parlato già della decolonizzazione dei paesi africani, allora relativamente recente. Se si toccava quel tema, risultava quasi ineludibile riferirsi, in quale modo, a Cuba e al Che, uno dei protagonisti di quel processo.
La domanda fu diretta: «Che pensa Sua Santità sul Che?».
Secondo l’articolo che allora lessi, il Papa sarebbe rimasto in silenzio riflessivo per alcuni istanti. Lo ruppe dicendo, con una semplicità illuminatrice: «Non lo conosco a fondo, però so che si preoccupò per i poveri. Di conseguenza, merita il mio rispetto».
Mi accordo che il giudizio di Giovanni Paolo II mi ha condotto ad un avvicinamento più giusto al Che. Al momento di giudicare i fatti di una persona, non dovremmo eludere le motivazioni che ebbe per realizzarli, per assumere un atteggiamento davanti la vita. Il Che non è un’eccezione. Una cosa sono gli eccessi che potrebbe aver commesso nel quadro di questa "preoccupazione", e altra, di carattere molto differente, quelle che commettono ingiustamente uomini e gruppi per egoismo e ambizione smisurata.
Come la maggioranza dei cubani, ebbi le prime notizie certi riguardanti il Che, quando cominciò la guerriglia nella Sierra Maestra, dopo lo sbarco del "Granma", ovvero, agli inizi del dicembre del 1956. Io già studiavo al Seminario dell’Avana e, allora, la condizione disciplinare dell’istituzione, oggi diversa, ci rendeva difficile le informazioni sulla situazione politica di su quasi tutto quello che accadeva nel nostro paese e nel mondo. Fortunatamente, avevo contatti assidui non solo con la mia famiglia, ma anche con amici, tra cui alcuni compagni universitari. Il Che era il più enigmatico dei leader di quel processo. I cubani li conoscevamo, il Che lo cominciavamo a conoscere.
Tutte le notizie coincidevano nell’affermare il suo slancio temerario davanti il pericolo, così come lo spirito di disciplina. Conoscemmo che era medico e si raccontavano storie sul suo viaggio in America Latina, la sua presenza nel Guatemala di Arbenz, l’incontro con Raúl e Fidel in Messico, ecc. Quasi tutti apprezzavano, già d’allora, la coerenza tra le sue convinzioni ed i fatti della sua vita. Si diceva, ugualmente, che era un vorace lettore di buona letteratura, con una marcata preferenza per i libri di Filosofia e per gli autori classici, non solo spagnoli ma anche greci e latini, cosa che mi piaceva molto. Si affermava che la sua cultura politica era di orientamento marxista, cosa che, per molti cubani dell’epoca, costituì un ostacolo per poter giungere a stimarlo positivamente. Riconosco che per me non lo era tanto perché, sebbene discordavo con la mancanza di una metafisica e della sua negazione alla trascendenza nel marxismo, simpatizzavo con l’enfasi del socialismo. Evidentemente, il marxismo non era, né è, il mio orientamento fisolofico-politico; però nemmeno lo era, né lo è, l’anticomunismo, più viscerale che razionale. Sebbene alcuni vedevano con sfiducia la sua condizione di stranieri, da quegli anni alcuni amici, ed io personalmente, collegavamo la sua presenza nella Rivoluzione cubana, con quella di tanti stranieri che cooperarono con i nostri movimenti indipendentisti del secolo XIX, soprattutto con quella di Máximo Gómez. Il Generalissimo dominicano, lo sappiamo sufficientemente, è parte integrante del panteon patriottico e internazionalista cubano.
Man mano che ci avvicinavamo alla vittoria rivoluzionaria e, già nella tappa finale, villaclareña, della guerriglia, gli aneddoti sul Che, naturalmente, si moltiplicavano. E le mie domande, a me stesso, su lui anche. Insieme ai dati positivi, si mi presentava un atteggiamento giustizialista radicale, duro e freddo, di fronte alle debolezze ed agli errori umani, un atteggiamento che non mi è mai risultato positivo quando lo scopro in persone delle mie vicinanze, o nelle persone alle quali arrivo per il cammino dei miei studi di storia. I primi mesi del Governo Rivoluzionario, con il Che già all’Avana, sembravano confermare, ai miei occhi, l’eccesso di tal animo giustizialista, tanto nel Che che nella maggioranza dei dirigenti storici della rivoluzione. I discorsi e gli scritti del Che, in quella epoca, era sulla stessa linea.
Tuttavia, aumentava anche la mia ammirazione davanti alla sua coerenza esistenziale ed intellettuale, così come la sua sensibilità sociale. Alcuni amici miei, personali, arrivarono ad essere stretti collaboratori del Che in quel periodo. Loro costituirono una preziosa fonte di informazioni sulla ricchezza e le sfumature del suo temperamento. Non lo potevano imprigionare nella sua parola congelata. Né a lui, né a nessuno. E con questa difficile specie di contraddizione nel mio avvicinamento al Che, arriviamo alla sua tappa finale, conosciuta di prima mano con il suo "diario" della campagna in Bolivia. Sfortunatamente, non mi sono mai relazionato con lui. Durante una buona parte della sua presenza a Cuba, io vivevo e studiavo a Roma (agosto 1959 – agosto 1963). Scomparve il Che di Cuba – Africa, Bolivia e morte per omicidio – senza che avessi potuto riempire la laguna di non aver avuto l’avvicinamento, quasi imprescindibile, per conoscere e valutare onestamente una persona.
Poi vennero gli anni dell’entusiasmo davanti al Che, a Cuba e fuori, ancora tra persone e gruppi che prendevano distanze dal processo rivoluzionario cubano. Anni di crescita, quasi mitologia, dell’immagine, della memoria e dell’inconografia, centrata questa nella fotografia di Korda. Ricordiamo il maggio parigino del 1968 e tutto quello che è successo dopo, in relazione – diretta o no – con quel mese irripetibile. Anni anche dell’apparizione di saggi e biografie. Impossibile accedere a tante opere. In più di un’occasione, chiesi orientamento al rispetto a Manuel Piñeiro, con il quale ho mantenuto una buona amicizia, mai deteriorata dalle discrepanze discutibili. Da parte mia sono stati gli anni della decantazione dell’immagine del Che.
Ed ora appare "Evocación. Mi vida al lado del Che" (Evocazione. La mia vita a lato del Che), il libro insostituibile di Aleida March, moglie a compagna affettiva del Che nei suoi anni cubani, i definitivi e definitori. Lei è l’unica che poteva custodire la presenza di quelle espressioni d’intimità e testimoniale adesso, ad una distanza di oltre quaranta anni, con la sua prosa semplice, come quella di chi conversa familiarmente. Come sono state raccontate queste cose ai suoi figli, che non hanno avuto miglior ponte verso il Che che Aleida, sua madre. Ora, anche noi abbiamo avuto la fortuna di accedere a questo percorso di testimonianze, affacciandosi a queste realtà che non si possono conoscere per altre strade se non questa, quella della testimonianza della moglie e madre dei suoi figli. Un cammino complementare ed irrinunciabile per tutti noi che desideriamo "conoscere" il Che completamente. Conoscerlo nel suo aspetto interiore e nelle pulsazioni del suo cuore, conoscerlo in quel livello dell’essere umano nel quale di decidono tanto gli aspetti quotidiani più piccoli, come quelli del peso sociale e visibile, livello nel quale sorgono, si decidono e cominciano a intravedersi gli errori e le virtù, le dimensioni positive e quelli che non lo sono.
Tutti i percorsi mi conducono adesso alla frase di Giovanni Paolo II, citata all’inizio di questa riflessione. Quasi tutto nel Che dovrebbe essere contemplato alla luce della sua scelta coerente e radicale per i poveri, della sua passione per quello che siamo soliti chiamare "giustizia sociale". Tanto coerente e radicale, tanto inossidabile fu la sua passione, che lo portò all’offerta della propria vita. E quando un uomo arriva a questi estremi, le discrepanze con lui assumono un altro tono, perché questo uomo merita, non solo rispetto, ma anche ammirazione appassionata. L’Avana, 27 maggio 2008
MONSIGNOR CARLOS MANUEL DE CÉSPEDES GARCÍA-MENOCAL
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13 giugno '08 - www.granma.cu (PL) |
"Che, il poeta sei tu" Ha affermato lo scrittore cubano Miguel Barnet |
Da uno scenario quasi unito al pubblico, che ha riempito la Sala Solidarietà, del Centro Culturale di Cooperazione di Buenos Aires, Miguel Barnet ha raccontato alcuni momenti del suo primo incontro con il Guerrigliero Eroico, in casa del capitano Antonio Nuñez Jimenez, quando lui era un giovane membro dell'Accademia delle Scienze.
“Ricordo”, ha detto, “che l'uomo esemplare di tutti i tempi si interessò alla presenza africana nella cultura cubana, come parte della sua preparazione per il viaggio internazionalista il Congo che doveva effettuare nel decennio degli anni 60”.
“Sono orgoglioso d’aver potuto scrivere il poema “Che” quando lui era ancora vivo”, ha rivelato con emozione il Premio Nazionale di Letteratura di Cuba del 1994.
Carnet ha detto che l’ispirazione gli venne dopo la conversazione col medico argentino-cubano, e che scrisse i versi su un pacchetto di sigarette, nel 1965.
Che Guevara volle salvare l'umanità dagli schemi selvaggi del capitalismo e cercò di cambiare il mondo, ha sostenuto Carnet e il suo pensiero fu profondo, ben delineato nel libro “Il Socialismo e l'uomo in Cuba”, nel quale ha condannato i dogmi”.
Come parte dell’omaggio per l’80°compleanno della nascita del Che, il prossimo 14 giugno, ha parlato il consigliere politico dell'ambasciata di Cuba, Francisco Delgado, che ha invitato a riscattare il suo lascito, alla luce dei nuovi avvenimenti nel mondo.
Il legato di Ernesto Che Guevara
Il 14 giugno del 1952, Ernesto Guevara de la Serna e il suo amico Alberto Granado s’incontravano nel Lebbrosario di San Pablo nella Selva Amazzonica del Perù.
Lì festeggiarono il 24 compleanno del futuro Guerrigliero Eroico che, nel momento del brindisi, disse:
"... Crediamo, e dopo questo viaggio più fermamente che mai, che la divisione dell’America in nazionalità incerte e illusorie sia completamente fittizia. Costituiamo una sola razza meticcia che dal Messico allo Stretto di Magellano presenta notevoli similitudini etnografiche.
Per questo (...) faccio un brindisi per il Perù e per l’America Unita..."
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