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LA VERITÀ IN BATTAGLIA E IL LIBRO DE MARTIN BLANDINO
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PRIMA PARTE
Tutta la stampa internazionale parla dell’uragano economico che frusta il mondo. Molti lo presentano come un fenomeno nuovo. Per noi era saputo. Preferisco abbordare oggi un altro argomento attuale di grande interesse anche per il nostro popolo.
Allo scrivere la riflessione su Cangamba, non conoscevo il magnifico libro del giornalista e investigatore cui cognomi ce nel titolo di questa che adesso ho pubblicato; avevo visto unicamente il film Kangamba, che tanti emotivi ricordi ha rimosso in me. Una e altra volta rammentavo la frase: Quelli caduti in Cangamba non sono morti in vano! Era lo stesso proposito che ispirava il mio messaggio, il 12 agosto 1983, al Capo della Missione Militare cubana in Angola. All’alba, il nemico si era ritirato dal campo di battaglia, dove il numero dei suoi effettivi ascendeva a più di 3 mila uomini armati e con consulenza dei razzisti sudafricani, che dal 2 agosto venivano attaccando giorno e notte le trincere, occupati per circa 600 angolani della 32 brigata FAPLA e 84 internazionalisti cubani, più un rinforzo di 102 uomini inviati dalla regione militare di Luena. Lottavano lì senza riposo angolani e cubani privi d’acqua e alimenti, avevano sofferto 78 morti e 204 feriti, dei quali 18 morti e 27 feriti erano cubani. Al cominciare la ritirata, gli attaccanti hanno perso quasi tutte le armi e munizioni e soffrerono grandi perdite. Le due migliori brigate dell’UNITA furono mezze fuori combattimento. Il libro di Jorge Martín Blandino si pubblica nell’anno 2007, quando per ragioni di salute non ero nella prima fila. Fu frutto di una lunga ricerca e di conversazioni con molti de quelli che furono protagonisti dei fatti, cosi come della consulta di 34 libri che abbordano l’argomento, alcuni di questi scritti per “ufficiali sudafricani dell’epoca dell’apartheid” o persone che, ingannati, furono collaboratrici dell’UNITA. In uno dei più interessanti capitoli si afferma: “Quella notte, quando l’orologio segnava le 14:00 ore all’Avana e le 19:00 a Luanda, si parla ancora una volta con la Missione Militare di Cuba in Angola. Appena finito lo scambio per via telefonica subito s’invia il messaggio che da forma legale alle indicazioni impartite, le quali raffermano la decisione pressa in anticipo: evacuare urgentemente a tutti i cubani di Cangamba; cercare di convincere agli angolani di fare lo stesso; mantenere l’esplorazione negli accesi al paese e prestare attenzione ai movimenti di truppe del nemico nella provincia di Moxico.
“… Luanda, 9:00 ore, si presentano a una riunione con il presidente José Eduardo dos Santos l’ambasciatore cubano Puente Ferro e il Capo dello Stato Maggiore della missione Militare cubana in Angola, colonnello Amels Escalante. Per sorpresa dei due cubani cera anche il capo della Missione Militare sovietica, generale Konstantín. Subito dopo arrivano il Ministro di difesa d’Angola e il colonnello N’Dalu, capo dello Stato Maggiore Generale delle FAPLA. “Primo entra allo studio presidenziale l’ambasciatore, e fa consegna ufficiale del messaggio inviato a Dos Santos dal Comandante in Capo. Di seguito, entra il colonnello Escalante e spiega in dettaglio la valutazione realizzata dalla massima direzione cubana rispetto alla situazione attuale nel piano militare, che porta la decisione di evacuare gli internazionalisti di Cangamba, la proposta di fare lo stesso subito con i combattenti della FAPLA e fermare l’operazione in moto nella provincia di Moxico. “Il presidente è d’accordo con Fidel, e indica al generale Konstantín di andare avanti. Il capo della Missione Militare sovietica chiede la parola e la sua opinione provoca sorpresa e fastidio fra i cubani. Sostiene che come politica forse poteva accettare l’idea pero come militare non è d’accordo con fermare l’operazione, giacché a suo giudizio esistevano le condizioni per fare scoppiare l’esito, ad esempio con l’introduzione in combattimento di più forze anche la brigata di sbarco e assalto che era appena arrivata da Cuba.” “Il colonnello Amels Escalante gli ricorda le molte difficoltà sorte con i rifornimenti durante i difficili giorni dell’attacco nemico al paese. Il militare sovietico ricorre in appello al recente arrivo di un aereo IL-76, caricato di razzi C-5, allo che il cubano risponde ricordandoli che prima erano stati portati da Cuba, giacché nel momento di bisogno non cerano. Ante la sfumatura che prende la riunione, Dos Santos decide di finirla e tramandare la decisione finale. “Poche ore dopo, a mezzogiorno, il generale Konstantín si presenta nella direzione della Missione Militare cubana. Chiede scuse per la maniera in cui espressa la sua opinione nell’appuntamento con il Presidente e riconosce che prima di dare un’opinione come quella doveva studiare profondamente la situazione creata. “ La spiegazione dello storico fu chiarissima. La difficile situazione si era creata ed era molto seria per il suo coinvolgimento in qualunque senso. Tutto era in rischio e fu necessaria una forte dose di fermezza e sangue freddo da parte del comando cubano. Nel proprio libro prendendo diversi momenti dello stesso, si va spiegando l’essenza: “Colonnello N’Dalu: “Non ce unità di pensiero e quando esiste questo problema alcuni hanno un’idea e altri … Sì da grande importanza a parlare di 'sovranità’, Pero è difficile avere tanto territorio, non abbiamo truppe sufficienti. Non è soltanto Cangamba, ci sono altre posizioni che in realtà stanno lì per che siamo, pero strategicamente non ha importanza. Possiamo aspettare per più tardi fare altre offensive. Discutiamo fra noi nello Stato Maggiore con il Ministro di difesa, e non ce unita di criteri. Per questo in determinato momento alcune decisioni possono ritardarsi per convincere alle persone, sì un’unita si ritira e accade qualcosa gli altri dicono: “ Ê successo per colpa di quelli che hanno chiesto la ritirata “; Si rimane e accade qualcosa: “i colpevoli sono quelli che hanno detto alla truppa di rimanere”. Realmente noi dobbiamo difendere le aree più popolate, di maggiore interesse economico e sociale, e lasciare per più tardi i territori che stando lì l’UNITA o noi, la bilancia non cambia. Loro sostengono che controllano pero in realtà non sono lì, quello che sanno è che noi non siamo nemmeno.” L’autore descrive i documenti ufficiali del MINFAR: “Il comandante in Capo, dopo di meditare un breve tempo, indica trasmettere al capo della Missione Militare cubana i seguenti argomenti. Si chiede che senso ha rimanere adesso in Cangamba. Ê stato dimostrato che la cifra d’elicotteri ed aeri di combattimento e trasporto esistente in Angola, all’uguale che le provviste disponibili per loro, sono insufficienti per garantire l’appoggio ad un’operazione di grande importanza all’enorme distanza delle basi aere dove si trova il piccolo paese. Più complesso ancora risulta, come si è visto nella pratica garantire l’avanzamento per terra di truppe di rinforzo, anche queste a cento di chilometri da rincorrere per camini intransitabili e infettati di nemici. Sì straordinariamente difficile è stato spostare le truppe blindate nella stagione asciutta, non può né sognarsi con un movimento di tale misura nella stagione di pioggia che si avvicinano. “Abbiamo avuto un grande esito e non sarebbe razionale aspirare a più in questo momento… Pensa sui giorni amari trascorsi durante il pericolo d’annichilimento del piccolo gruppo d’internazionalisti, e attenti sulle necessità di essere realisti e non lasciarsi trascinare per l’euforia che sempre accompagna il trionfo: “Non possiamo lasciare che la vittoria si converta in un rovescio”. “Il capo della Missione Militare cubana mostra il suo accordo e si decide la pronta evacuazione dei rilevanti internazionalisti cubani in Cangamba. Immediatamente il Comandante in Capo scrive, un messaggio personale al presidente d’Angola, José Eduardo dos Santos” (l’impugnato dal generale Konstantín), “in cui, a partire degli stessi ragionamenti divisi con il generale de divisione Cintra Frías, esporre la necessità di che le FAPLA evacueranno i paesi di Cangamba e Tempué, a sua volta l’urgenza di rinforzare le difese di Luena, Lucesse e Kuito Bie. Dinanzi la realtà esistente le comunica la decisione di ritirare tutti i cubani di Cangamba in breve tempo. Suggerisce anche rimandare fino alla prossima stagione asciutta qualsiasi azione difensiva nella regione di Moxico, e concentrare per adesso i rinforzi nella lotta contro il nemico nell’immenso territorio che separa la città di Luanda della linea che difende le truppe internazionaliste cubane nel sud del paese, zona che l’UNITA considera il suo secondo fronte strategico. “A sua volta il colonnello Amels Escalante comunica al capo dello Stato Maggiore Generale delle FAPLA e al capo della Missione Militare sovietica in Angola, la decisione del Comandante in Capo di fermare l’operazione che sviluppa le truppe internazionaliste cubane dinanzi alle difficoltà con lo spostamento delle colonne, i problemi di rassicurare soprattutto per l’aviazione e la vicinanza della stagione di pioggia. Poco dopo l’ambasciatore Puente Ferro e il colonnello Escalante si riuniscono con il Ministro di difesa per trasmetterli la stessa informazione.” Il colonnello Amels Escalente aveva la speranza che il colonnello N’Dalu, capo dello Stato Maggiore delle FAPLA, capisse la necessità di ritirarsi di Cangamba. Il generale d’esercito angolano Kundi Payhama, combattente angolano di eccezionali meriti, gli racconto all’autore: “Cera gemellaggio, cera fratellanza, e tutto quello che si faceva cui si faceva con un senso diverso. L’amicizia, l’amore, il sacrificio, la volontà dei compagni cubani al lasciare cui il suo sudore, il sangue, non ha prezzo. Che si ricordi che siamo fratelli, di patto ed eternamente. Non ce niente, niente a questo mondo che giustifichi che qualcosa si frapponga in mezzo all’amicizia fra Angola e Cuba.”
Prosegue nel Granma di lunedì.
Fidel Castro Ruz 9 ottobre 2008 5:46 p.m.
L’intensità delle azioni del piccolo gruppo di piloti dei MiG-21 l’autore l’esprime così :"Per quanta sia la discrezione che s’esige da coloro che fanno parte degli Stati Maggiori e delle dotazioni nei posti di comando, filtra sempre qualcosa su un’azione di guerra che è durata più di otto giorni ed ha mantenuto nella massima tensione centinaia di uomini e donne ai due lati dell’oceano. Come nascondere per esempio il rumore assordante dei 239 decolli degli aerei a reazione da combattimento e la stessa cifra di atterraggi, più di 50 al giorno, anche se questo forte numero di missioni è stato realizzato da soli nove piloti che sono rimasti in volo una media di 2 ore e mezza ognuno nei giorni del combattimento, includendone uno che ha realizzato quasi quattro missioni al giorno, cioè ha volato per 3 ore e 45 minuti in tutte quelle giornate di tensione?” “Che metodo può garantire che resti occulto il movimento di migliaia di uomini che integrano le colonne blindate dei rinforzi? Come far apparire invisibile la marcia di circa 200 elementi che le componevano, includendo carri armati, artiglieria e trasportatori blindati per centinaia di chilometri, che andavano verso Munhango, Tempué, Luena e altri luoghi, da Huambo, Menongue e vari punti dell’estesa geografia angolana?” “La colonna blindata di Huambo, che si dirigeva a Cangamba e ricevette poi al termine dell’accerchiamento l’istruzione di girare verso sinistra in direzione di Luena, informò il comando via radio "Siamo senza combustibile”. Come rivela il libro "Si indica a questa colonna e a quella di Menongue di non muoversi dal luogo dove s’incontrano e d’applicare tutte le misure di sicurezza sino a che riceveranno i combustibili. Si adotta la decisione di far portare questi rifornimenti dagli elicotteri. Come sempre è molto difficile localizzare le colonne. Gli elicotteri volano a lungo, senza incontrarle e alla fine le vedono nel mezzo della savana, sotto gli alberi. Il colonnello Calvo comunica che partono 6 elicotteri da Luena per Munhango, 25 chilometri a sud di Luena, portando 42 bidoni di benzina - circa 10.000 litri - per la colonna di Sotomayor. Nell’atterraggio si rompono le pale del H-08. Poi partono per la regione di Tempué a localizzare la colonna di Suárez, portare documenti e prelevare tre feriti . La colonna blindata di Suárez, che era partita da Menongue per Cangamba, era molto lontana da Luena, punto di partenza degli elicotteri che portavano la benzina. Era un viaggio lungo data l’estensione dell’Angola, la cui superrficie è grande circa undici volte quella di Cuba. Era il territorio in cui l’assessore sovietico, consigliava di lanciare un’offensiva d’assalto cubana, dando luogo a una contraddizione. " Pochi minuti dopo la mezzanotte, quando era già sabato 13 agosto a Luanda, si comunica a cuba il perfetto compimento dell’ordine d’evacuazione dell’ultimo internazionalista cubano de Cangamba. L’alto comando delle FAR ratifica la decisione che la colonna di Huambo continui la sua marcia verso Luena, e che quella di Menongue ritorni in questa città" (importante baluardo del Fronte Sud). Colonnello Calvo: "Oggi è anche il mio compleanno e ricevo il bacio che mi manda lamia famiglia per telepatia. Nel pomeriggio mi hanno regalato una bottiglia di vino e un’altra di rum, e abbiamo festeggiato il compleanno del Comandante Fidel nella stessa giornata e anche il mio”. L’autore continua a spiegare: “I piloti e gli integranti delle colonne blindate erano lontani dal termine delle azioni. Due elicotteri partono carichi di 14 bidoni di benzina, circa 2.800 litri, destinati alla colonna di Menongue, che ha già iniziato la marcia verso la città di Luena”. “Compiuto il primo volo vanno verso l’aeroporto di Menongue per continuare il rifornimento della benzina. Inoltre altri quattro Mi-8 partono da Luena per Munhango, con altri 5.600 litri di benzina. La loro missione è di rifornire la colonna di Huambo, che si dirige a rafforzare le truppe che difendono la città di Luena. Sono moltissime le ragioni per tutte quelle misure, dato che l’inquietudine era sempre presente nel Comando cubano. Le autorità angolane apparentemente avevano deciso per il momento di non evacuare le loro truppe da Cangamba e il rischio che il nemico attaccasse di nuovo era sempre presente sia nel villaggio che tra le colonne che si muovevano per quei pericolosi itinerari”. Nella dettagliata descrizione di quel che accadde a Cangamba, partendo dalle testimonianze e dai documenti con l’epigrafe “Si conferma l’apprezzamento”, l’autore ci riporta alle ore più tese di quei giorni: “Non è ancora giorno in Angola, è domenica 14 agosto. A Luanda l’orologio segna le 04.45 e i combattenti di guardia nel Centro di Comunicazione del Comando della Missione militare cubana erano immersi nel sopore che accompagna l’alba di coloro che non hanno dormito nella notte. L’arrivo di un messaggio da L’Avana dove è notte - le 23.45 del giorno precedente - dissipa rapidamente la sonnolenza degli occupanti del locale, dove ci sono molti mezzi tecnici. Il testo cifrato lentamente diviene intelligibile e il suo contenuto è indirizzato al generale di divisione Leopoldo Cintra Frías e contiene precise istruzioni del Comandante in Capo: “Essere preparati pèr offrire appoggio aereo alle FAPLA a Cangamba. Se gli angolani decidono poi si ritirarsi, aiutarli con gli elicotteri. Fidel avvisa che il nemico ha sofferto gravi perdite, ma non ci si deve fidare. “Abbiamo compiuto il nostro dovere e attuato agendo correttamente”. All’alba di quella domenica, 8 arerei da bombardamento sudafricani fanno cadere le loro bombe sulle posizioni che le forze angolane e cubane avevano occupato a Cangamba. Di nuovo avviene un intervento diretto del regime di apartheid sudafricano in Angola. I gringos e i loro alleati sudafricani non si rassegnavano alla disastrosa sconfitta. I MiG 21 e i radar più vicini erano a 400 Km. “ Colonnello N’gongo (Capo aggiunto dello Stato Maggiore delle FAPLA): “Visti sconfitti i fantocci, i sudafricani sono obbligati ad intervenire direttamente nel combattimento ed è così che le forze razziste sudafricane con quattro aerei tipo Canberra e quattro tipo Impala MK-2 distruggono completamente la popolazione di Cangamba”. "Tenente colonnello Henry: “Noi abbiamo vinto la battaglia di Cangamba, Noi piloti avevamo anche previsto di fare una sfilata aerea e passare con i nostri aerei, ma Fidel ha detto - Non voglio nessuno là, nè cubani nè FAPLA – e devo riconoscere che abbiamo agito con disciplina, per fiducia al Comandante in Capo, ma realmente in quel momento non capivamo”. Colonnello Escalante: “Dev’essere vero che il Comandante in Capo o è un mago o ha la sfera di cristallo, perchè manda a evacuare Cangamba con urgenza e poco dopo una squadra di Impala e un’altra di Canberra hanno bombardato e in un modo! Lui ha previsto che i sudafricani, considerando esattamente la sconfitta sofferta dalla UNITA, avrebbero bombardato là. Noi della Missione abbiamo detto - Coño, la verità è che il Comandante in Capo ha preso una decisione straordinaria- ”! Generale di divisione Leopoldo Cintra Frías: “A volte uno pensa che il Comandante in Capo sia un indovino. Se i cubani fossero restati ancora là, sarebbero stati coinvolti in un combattimento ancora più prolungato e in peggiori condizioni per noi, perchè i rifornimenti erano divenuti più difficili. Queste opinioni sono state emesse in un momento in cui le tensioni si rilassavano, dopo i giorni incerti e drammatici della battaglia, ma nessuno di noi aveva mai smesso di compiere con assoluta disciplina, efficacia e serietà le istruzioni ricevute. È totalmente vero che nei momenti difficili se non c’è fiducia in chi dirige, non va avanti niente”. Amels Escalante, che è anche un investigatore sagace e profondo, 20 anni dopo ha descritto con assoluto rigore la battaglia del Jigüe, dove 45 anni prima nel mese di luglio del 1958, circa 120 uomini, quasi tutte reclute della scuola di Minas del Frio, comandati da dieci o dodici capi veterani della nostra guerra nella Sierra Maestra, lottarono per dieci giorni contro l’esercito nemico e i suoi rinforzi, provocando loro tre tra morti e feriti per ogni combattente che partecipava all’azione e s’impadronirono di centinaia di armi. Amels ha descritto con lo stesso metodo di Jorge Martín Blandino, più dettagli di quelli che io conoscevo nello sviluppo di quella battaglia. Nel suo libro su Cangamba, Martín Blandino illustra con dettagli: “Tra il 18 e il 23 agosto del 1983, pochi giorni dopo l’evacuazione degli assessori cubani da Cangamba, partono per l’Angola dai porti di Santiago di Cuba, Matanzas e Mariel, le navi Donato Mármol, Ignacio Agramonte e Pepito Tey. Si ripete così, in circostanze diverse, la prodezza del 1975. Nelle stive di queste navi mercantili, nascosti ai servizi segreti del nemico, viaggiano verso il paese africano tre battaglioni di carri armati e uno di fanteria motorizzata. A quel primo passo ne seguirono altri nei piani militare, politico e diplomatico sino a situare le FAPLA e il contingente internazionalista cubano in condizione di sconfiggere la nuova scalata dell’aggressore straniero e dei suoi alleati. Tutto è accaduto nel momento in cui Cuba affrontava la possibilità di un’aggressione militare diretta su grande scala da parte delle forze armate degli Stati Uniti, mentre il paese era immerso nel gigantesco sforzo di organizzare la guerra di tutto il popolo, di fronte alle costanti minacce dell’amministrazione nordamericana di Ronald Reagan". Come precipitarono i fatti che l’investigatore espone? Da Cuba avevamo visto abbastanza rapidamente e per logica elementare le intenzioni del nemico, mentre si sviluppavano i combattimenti ed avevamo adottato le misure pertinenti come risposte. La prima di tutte, quando giunsero le notizie dell’accerchiamento della 32ª brigata e dei loro assessori, fu decidere il rapido ritorno in Angola del capo della missione militare, il generale di divisione Leopoldo Cintra Frías, veterano della Sierra Maestra, sicuro simpatizzante delle FAPLA, che si trovava in Cuba in quel momento. “Dovete riscattare quelle forze ad ogni costo”, fu l’ordine che ricevette. La Brigata da Sbarco e Assalto (si chiamava così allora), fui inviata via aria nel paese sistematicamente aggredito dal Sudafrica. Io ho già scritto per quanti anni abbiamo sofferto le conseguenze dell’impunità che godeva il regime fascista del apartheid, sconfitto nella sua aggressione alla Repubblica Popolare dell’Angola. Ho anche spiegato alla dirigenza sovietica le ragioni e i punti di vista sostenuti da Cuba. Continua domani, martedì.
Fidel Castro Ruz 12 Ottobre del 2008 Ore 17.23
TERZA PARTE
Mentre a Cangamba si svolgevano drammatici combattimenti, osservavamo che le intenzioni nemiche andavano molto più in là di un’azione isolata. Prima di tutto dovevamo salvare gli internazionalisti cubani e gli uomini della 32ª brigata delle FAPLA. In una lettera mia personale inviata agli assediati il 7 agosto avevo promesso di riscattarli a qualsiasi prezzo. La Brigata di Sbarco e Assalto fu inviata in aereo da Cuba. Avremmo utilizzato tutti i mezzi disponibili se fosse stato necessario e per quello li esortammo a resistere, come fecero. Compiuta la missione di schiacciare le forze attaccanti si dovevano adottare immediatamente le misure per distruggere i piani strategici del nemico. Blandino, nelle sue investigazioni storiche, ricostruisce le intenzioni del nemico con le prove e le testimonianze raccolte: “Non solo Cangamba è sotto il fuoco del nemico. Simultaneamente questi attacca con artiglieria e mortai Munhango, Calapo, Tempué y Luena, villaggi ubicati a nord del paese di Cangumbe. Riesce a prendere Cangumbe, ma nel resto dei luoghi è respinto. L’obiettivo strategico dell’aggressore era isolare la provincia di Moxico, impedire l’arrivo dei rinforzi e poi prendere Luena, città che volevano nominare “capitale” di una detta “Repubblica negra” separata dall’ Angola, cercando un riconoscimento internazionale. Il proposito immediato però è la conquista di Cangamba per catturare o uccidere gli assessori cubani che erano là. Scommettevano sull’impatto politico, morale e psicologico di un colpo come quello. Generale di Divisione Leopoldo Cintra Frías: “Il loro piano era prendere tutto quello, fare prigionieri gli ottantadue cubani e cercare poi d’obbligare Cuba a negoziare direttamente con la UNITA senza la partecipazione del governo angolano. General N’Dalu: "La UNITA da che ci sono lì dei cubani, pone una gran forza con molti uomini per vedere se riesce a catturarli e presentarli alla stampa internazionale: per questo incrementa gli sforzi. Noi eravamo molto preoccupati per tutto quello. Sarebbe stato molto negativo per la lotta che stavamo portando avanti che facessero prigionieri dei cubani e li presentassero e inoltre c’erano i nostri compagni là, che stavano soffrendo. Colonnello Wambu (ex capo dei servizi segreti, nell’operazione Cangamba, delle FALA, Forze Armate per la Liberazione dell’Angola della UNITA; la sua testimonianza è di grande importanza): "La partecipazione dell’aviazione sudafricana è prevista, soprattutto per via della presenza cubana. Si può considerare il primo confronto tra le forze congiunte sudafricane e della UNITA, e le forze dello Stato angolano con gli appoggi che può ottenere. La presenza cubana è di particolare interesse strategico."
A Cangamba il nemico, dopo un avvicinamento a ovest e a sud, assesta il colpo principale con le brigate 12 e 13, semiregolari, due delle tre unità più importanti. Inoltre attuano altri due battaglioni indipendenti e una compagnia di destinazione speciale. Tremila uomini. Il potente gruppo dispone di 50 – 60 pezzi d’artiglieria e mortai, sette installazioni contraeree, molteplici da 14.5 millimetri, le note “quattro bocche” e di missili anti aereo portatili. Il colonnello delle FALA aggiunge: “Se vogliamo parlare in termini classici, abbiamo sul terreno una brigata in un operativo ampliato, già che non sono tre battaglioni di fanteria, ma sono effettivi ampliati considerevolmente, perchè anche se non ci sono truppe terrestri sudafricane come tali nella fanteria propriamente detta, con la componente degli osservatoti e dei puntatori per il fuoco aereo, oltre la logistica e gli autisti etc,. si può parlare degli effettivi di un battaglione. Se parliamo di termini classici, abbiamo nel terreno una brigata in un dispositivo ampliato, visto che non ci sono soltanto i tre battaglioni di fanteria, si tratta d’effettivi notevolmente ampliati, perché sebbene non ci siano truppe terrestri sudafricane, per quanto riguarda la fanteria vera e propria, gli osservatori e puntatori per il fuoco aereo, così come la logistica, tranne gli autisti, eccetera, si può parlare d’effettivi fino ad un battaglione. Si può parlare di una brigata convenzionale di truppe delle FALA, più due battaglioni di comando e servizi, più un battaglione combinato d’uomini d’appoggio alla logistica, artiglieria, osservazione aerea, oltre agli ufficiali di collegamento della parte sudafricana: ufficiali d’intelligenza, delle forze aeree e altre specialità.” Il tenente colonnello N’gongo (Capo Aggiunto dello Stato Maggiore delle Forze Armate per la Liberazione dell’Angola del MPLA): “ In quella stessa giornata la stampa occidentale comincia a informare che Cangamba è accerchiata da 9000 uomini circa per cui, presto o tardi cadrà nelle mani della UNITA. La colonna blindata che parte da Huambo, rinforzò Luena con forze sufficienti per affrontare qualsiasi attacco del Sudafrica in quella direzione e questo fu un notevole passo avanti. Tra Luanda, capitale dell’Angola, a ovest, e Luena, capoluogo di Moxico, c’erano 1100 Km. di strada, una distanza simile a quella tra L’Avana e Santiago di Cuba. I ponti erano stati distrutti dalle bande della UNITA e le carovane di rifornimento e i costruttori di passaggi provvisori per rifornire le popolazioni avanzavano faticosamente per la rotta. I punti chiave andavano protetti. La colonna blindata di Menongue era molto rinforzata e nel fronte sud c’erano i nuovi battaglioni di carri armati inviati da Cuba, già menzionati. Eravamo più forti. Ma si dovettero aspettare altri quattro anni e sopportare le conseguenze della strategia sbagliata di Konstantín, che costò molte vite di angolani. L’assessore sovietico era giunto nella Repubblica Popolare dell’Angola alla fine del 1982 come capo della missione militare del suo paese. Compiuta la missione ritornò nella URSS nel 1985 e venne nel paese africano, con maggior gerarchia militare, nel 1987. Fu lo stratega dell’assurda offensiva verso Jamba, nel remoto sud-est dell’Angola, dove si ubicava l’ipotetico posto di comando di Savimbi, mentre le Bande della UNITA appoggiate dal Sudafrica operavano nei municipi vicini a Luanda, come ho già detto altre volte. L’ultima di quelle offensive che davano sempre risultati disastrosi diede luogo però alla battaglia di Cuito Cuanavale, che segnò la fine del apartheid, quando le unità angolane, inutilmente colpite retrocedevano e l’esercito del Sudafrica si scontrò con la brigata dei carri armati, i BM-21 e le forze cubane inviate a difendere l’antica base aerea della NATO. In quel momento decisivo il Presidente dell’Angola diede il suo appoggio totale al nostro punto di vista. Più di 30.000 soldati angolani e 40.000 combattenti internazionalisti cubani, con i loro ufficiali e capi, ben addestrati e pronti alla lotta, appena terminati gli ultimi spari nel distante baluardo, avanzarono verso il sudovest dell’Angola, verso le linee sudafricane, alla frontiera con la Namibia. Un gran numero di carri armati, l’artiglieria missilistica antiaerea e altre armi con il personale corrispondente furono inviati da Cuba. Con un numero relativamente scarso di aerei MIG – 23 e l’audacia dei nostri piloti fummo i padroni dell’aria, ma erano davvero pochi se si paragonavano al numero di aerei da combattimento del Sudafrica. La URSS esisteva sempre. Fu il paese più solidale con Cuba. Gorbachov era asceso alla massima direzione del Partito e dello Stato. Gli inviai un messaggio personale chiedendo con urgenza 12 aerei da combattimento MIG-23 addizionali e rispose positivamente. Abbiamo costruito in poche settimane una pista avanzata nel sudovest dell’Angola, a 200 Km. da quella che era stata la più importante linea di difesa in quella direzione. Il nostro problema principale era la scarsezza dei contenitori di combustibili per i MIGs. Era quasi impossibile trovare qualcuno che ce ne desse altri. In qualche modo però le caserme sudafricane erano alla nostra portata ed eccetto i distanti aerei da combattimento, possedevano poche armi antiaree. I pochi carri armati disponibili ci permettevano di dare un colpo ai razzisti anche a Windhoek, la capitale della Namibia. Il Sudafrica disponeva di sette armi nucleari concesse dal governo di Reagan. Indovinammo per determinati elementi che le potevano possedere. Collocammo cariche esplosive in un importante diga in Angola, costruita dai colonialisti portoghesi quasi ai limiti della frontiera con la Namibia, vicino alle posizioni principali dell’esercito sudafricano nel paese. Prevedendo che avrebbero utilizzato quelle armi contro le truppe cubane ed angolane, queste cariche furono convenientemente spiegate per affrontare un’eventuale attacco di quel genere. Non c’era nulla in grado di superare l’eroismo disinteressato dei combattenti internazionalisti decisi a liquidare l’apartheid. Il Sudafrica non sopportò la sfida e negoziò, dopo i primi colpi in quella direzione, anche se sempre in territorio angolano. Alla stessa tavola si sedettero per mesi gli yankee, i razzisti, gli angolani, i sovietici e i cubani. Lì c’era, tra coloro che discutevano a favore della nostra causa, anche Konstantín. Io lo conoscevo ed avevo cercato di far sì che non si sentisse umiliato per la nostra discrepanza e i nostri successi. Senza dubbio aveva influenza nel comando militare del glorioso Esercito Sovietico. I suoi errori furono il più importante contributo alla decisione adottata dal nostro paese di proibire ai razzisti d’¡ntervenire in Angola e di rettificare i deplorevoli errori politici commessi dalla direzione della URSS nel 1976. Generosi con l’avversario in questioni strategiche, decidemmo d’offrirgli la decorazione “Ordine Che Guevara". La ricevette con apparente soddisfazione. La sua peggiore mancanza però non fu quello che aveva fatto prima, ma quello che fece dopo. La URSS scomparve e Konstantín fece dichiarazioni opportuniste, calunniando Cuba che si era comportata così generosamente con lui. Il militare di professione di Cangamba, convinto dell’assurda offensiva proposta e inventore delle sterili offensive verso la remota Jamba, s’era fatto conquistare dall’ideologia anticubana del nemico. Non avrà molti difensori tra il suo popolo di patrioti. Konstantín era il suo nome di guerra. Il suo vero, senza cognome, l’ho detto in un’occasione ed era quello che mi ricordavo bene in quel momento, ma non desidero ripeterlo. Savimbi continuò ad essere fedele al suo spirito avventuriero e mercenario, prima al servizio dei colonialisti portoghesi, poi dei razzisti sudafricani e quindi in forma diretta dell’imperialismo yankee, quando il supporto del apartheid fu liquidato dallo stesso popolo sudafricano e dal colpo decisivo che ricevette in Angola. Gli yankee lo posero sotto la protezione di Mobutu, che aveva riunito una fortuna di 40 mila milioni di dollari, saccheggiando lo Zaire. L’Europa consoce sicuramente molto bene questa storia. Savimbi raccoglieva diamanti nel centro e nel nord dell’Angola, per lui e per la UNITA. Proseguì così la sua brutale guerra contro gli angolani. I cubani non erano più lì per compiere rigorosamente il programma progressivo di ritirata, dopo la vittoriosa missione. Le FAPLA, divenute forze armate sperimentate e agguerrite, posero l’esercito pro yankee di Savimbi, appoggiate da Mobutu, fuori combattimento. All'UNITA non restò altra alternativa che abbandonare la ribellione la nazione angolana preservò l’indipendenza e l’integrità. Sono indispensabili giovani internazionalisti e rivoluzionari capaci di sentire e di attuare, che raccolgano per la storia le pagine di cui il popolo cubano è stato protagonista. Le FAR costituiscono per il nostro Partito un baluardo inespugnabile, un esercito mambì che stavolta non è stato e non sarà mai disarmato”.
Fidel Castro Ruz Ore 11.36
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