Gli USA stanno costruendo la favola della

“minaccia terrorista” in America Latina

 

20.11.09 - di Cyril Michalejko* www.rebelion.org del 20/11/2009 www.lernesto.it

 

 

L’America Latina potrebbe trasformarsi nel prossimo fronte della cosiddetta “guerra al terrorismo” di Washington.

Il rappresentante Eliot Engel (democratico di New York),Eliot Engel presidente del Sottocomitato degli Affari Esteri per l’Emisfero Occidentale della Camera, è stato protagonista di un’udienza il 27 ottobre sull’inchiesta avviata in seguito alle “sue serie preoccupazioni per l’espansione dell’influenza iraniana nella regione”. Engel crede che le relazioni diplomatiche e commerciali dell’Iran con una serie di paesi latinoamericani costituiscano una minaccia per la regione e, cosa ancor più importante, per la sicurezza e la stabilità degli USA.

I testimoni ascoltati nell’udienza hanno segnalato ripetutamente i casi di Ecuador, Venezuela, Bolivia, Nicaragua e, in minor grado, del Brasile.

Sebbene l’Iran non abbia nessuna presenza militare nella regione, Norman A. Bailey, ex capo dell’intelligence per Cuba e il Venezuela sotto il governo Bush, ha detto ai membri del Congresso che: “E’ sempre più chiaro che uno dei principali motivi di tutta questa attività [dell’Iran] è poter scatenare rappresaglie contro gli USA, in caso di attacco.”

Eric Farnsworth, del Consiglio delle Americhe, ha dichiarato di credere che l’Iran possa star cercando uranio, probabilmente in Venezuela. Ma
Time Magazine ha informato, in un articolo dell’8 ottobre, che “gli esperti sostengono che è anche improbabile che il Venezuela abbia uranio a sufficienza, ammesso che ne abbia, per approvvigionare l’Iran o chiunque altro.” Farnsworth ha affermato anche che il miglioramento delle relazioni iraniane con paesi dell’America Latina rappresenta un’opportunità per la sua intelligence.

Dina Siegel Vann, un’altra “esperta” che ha testimoniato nell’udienza, ha citato un rapporto sul terrorismo del Dipartimento di Stato USA, pubblicato in aprile che sostiene che l’area delle Tre Frontiere Paraguay, Argentina e Brasile è un centro per i simpatizzanti di Hezbollah e Hamas – un fatto che è stato largamente messo in dubbio. Vann, direttrice dell’Istituto Latino e Latinoamericano del Comitato Ebraico Statunitense, ha segnalato che il rapporto cita anche la Bolivia come possibile sito per le attività terroristiche.

“E’ necessaria un’azione concertata e decisiva per controllare da vicino le attività dell’Iran e dei gruppi che sovvenziona, per valutare correttamente le loro potenzialità di danno, e creare meccanismi che impediscano scenari potenzialmente pericolosi”, ha affermato Vann.

Per pura coincidenza, questi tentativi di qualificare parti dell’America Latina come potenziali minacce e strumenti per attacchi terroristi si riferiscono a paesi con governi democraticamente eletti di sinistra e di centro-sinistra. E tutto ciò accade mentre il controverso accordo delle basi militari con la Colombia attende l’approvazione (da parte del Congresso USA).

Garry Leech, editore di
Colombia Journal, il 6 novembre ha segnalato che “in nessuna parte l’accordo dichiara realmente che le operazioni militari degli USA, dalle basi colombiane si limiteranno alla Colombia”, al contrario delle affermazioni fatte dai governi di Obama e di Uribe. Inoltre, il testo dell’accordo dichiara che la Base Aerea Palenquero della Colombia “fornisce un’opportunità per realizzare operazioni di spettro completo in tutto il Sud America”.

L’accordo concede anche immunità diplomatica al personale militare e ai contrattisti privati della difesa degli USA.



Cyril Michalejko è editore di www.upsidedownworld.org, rivista online che si occupa di politica latinoamericana. E’ membro del consiglio del Canary Institute.
Traduzione di Mauro Gemma

 

 

I PIANI MILITARI DEGLI STATI

UNITI IN AMERICA LATINA

 La strategia degli USA in America Latina incontra nella Colombia un forte alleato. Le sette nuove basi assicurano all’esercito statunitense una totale operatività militare nella regione.

 

20 novembre 2009 - D.Machado Diagonal www.comedonchisciotte.org

 

Lo scorso 18 agosto, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti inviava un rapporto informativo al gruppo di cancellieri della UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane): “Il 14 agosto 2009, i governi di Stati Uniti e Colombia sono arrivati ad un ‘intesa provvisoria sul referendum sull’Accordo di Cooperazione in Materia di Difesa (DCA). L’accordo ora dovrà essere revisionato per la firma definitiva”.

Questo episodio ha risvegliato in tutta l’America Latina molte voci critiche provenienti tanto dagli organi istituzionali quanto dalla società civile e dal suo tessuto sociale. Questa questione ha implicato che si organizzasse alla fine di agosto il Vertice Straordinario dei Capi di Stato della UNASUR nella turistica città di
Bariloche (Argentina) , così come il successivo Vertice dei Cancellieri e dei Ministri della Difesa a Quito a metà di Settembre. In entrambi gli appuntamenti, il governo colombiano si trovò solo dinanzi al resto dei paesi membri, difendendo una posizione di segretezza e di mancanza di compromesso per assumere le misure di fiducia che vengono richieste dal resto degli Stati membri della UNASUR, presieduta in questo momento temporaneamente dal presidente ecuadoriano Rafael Correa.
 


Nuova dottrina militare
 


Secondo il rapporto “Un continente sotto minaccia”, emesso in agosto dall’
Osservatorio Latinoamericano di Geopolitica, la politica militare statunitense ha preparato “scenari tra coalizioni relativamente simili o equilibrate a guerre assimetriche in due modi: a) guerre tra Stati con enormi differenze di potenzialità bellica, di mobilità e gestione di un insieme di meccanismi di pressione economica e politica; b) guerre contro non Stati, con regole di gioco incerte che non sono circoscritte a quelle stabilite dai codici internazionali e senza restrizioni equivalenti a quelle degli Stati”.

Un funzionario della Difesa brasiliano, il comandante di fregata Nelson Morantes, accomunato da una visione simile indica: “ La logica militare statunitense sviluppata dopo l’11-S solleva la possibilità del conflitto bellico da parte degli USA con i cosiddetti 'Stati Falliti'. Il nostro esempio nel continente sarebbe Haiti, anche se gli statunitensi considerano di più il Venezuela e la Bolivia e incluso l’Ecuador; così come la possibilità di conflitti con organizzazioni tipo Al Qaeda, che nel nostro continente si tradurrebbero in organizzazioni popolari, ecologiste o indigene. Per fare una correlazione, quelle di Al Qaeda in Afghanistan sarebbero le organizzazioni Mapuche del sud del Cile.”

In contrapposizione ai rischi indicati, la politica militare degli USA per l’America Latina contempla quattro modelli di posizionamento militare differenziati nel continente. Per primo ci sono le basi grandi, modello
Guantanamo, con installazioni militari complete, equipaggiamento e un corpo di militari effettivi accompagnati da nuclei familiari permanenti.

Il secondo modello sono le basi di formato medio, modello Soto Cano (Palmerola) in Honduras, con installazioni che permettono missioni lunghe, ma con personale che si rinnova ogni sei mesi.

Il terzo sono le basi piccole, quelle chiamate FOL (Foreign Operating Locations), ribattezzate politicamente come Cooperative Security Locations (CLS). Si tratta di basi come Manta, Curacao o Comolapa, con molto poco personale ma con molto sviluppo in materia di comunicazioni, tanto per monitorare come per garantire le connessioni e l'invio di informazioni ai centri di raccolta e trasformazione che esistono nel territorio statunitense (Network, Centric Warfare). Sono basi di risposta rapida e strutturazione regionale soprattutto diretta alle basi più piccole.

E, per ultimo, le basi piccole: postazioni che consentono l’appoggio ed il decollo rapidi come dei “salti di rana” – spostandosi per approvvigionarsi ed avere maggiore raggio di azione – permettendo che con una sequenza ben programmata da queste basi si possa controllare un’area molto ampia, snodo per operazioni di rapida risposta con costi inferiori rispetto alle precedenti. Un esempio sarebbe la base Iquitos nel Perù.

Secondo gli analisti Ana Esther Cecena e Rodrigo Yedra, “ il cambio nelle caratteristiche delle basi in America Latina inizia nel 1999 con l’installazione delle tre FOL (Manta, Curacao e Comalapa) che sostituiscono la base di Howard a Panama”. E proseguono: “Non si tratta di basi USA, ma di basi dei paesi in questione in cui si approva l’uso delle installazioni per il personale statunitense.

Ma, al di sopra della figura giuridica con cui si legalizza l’occupazione, sono basi amministrate da personale locale, che non sa quello che succede dentro e nemmeno le operazioni effettuate dal personale situato nelle basi dei territori circostanti.”

In questo senso, lo stesso Presidente Correa avvertì pubblicamente in varie occasioni rispetto alla possibilità che qualche aereo statunitense che operava dal FOL di Manta facesse parte della operazione di attacco ad Angostura, il 1 marzo dell'anno scorso, in cui morì l'allora numero due delle FARC,
Raul Reyes, il tutto sotto la totale ed assoluta inconsapevolezza delle autorità locali ecuadoriane.
 


Basi in Colombia
 


Secondo la nota informativa emessa dagli USA, l'Acuerdo de Cooperacion en Materia de Defensa (l'Accordo di Cooperazione in Materia di Difesa ) approfondirà la cooperazione bilaterale in materia di sicurezza sui temi di produzione e traffico di droghe illegali, terrorismo, contrabbando di ogni tipologia, disastri umanitari e naturali.

Comunque, secondo fonti del coordinatore della Sicurezza Interna ed Esterna dell'Ecuador, questo è una mancanza: “ Basi con le caratteristiche richieste che si vogliono organizzare in Colombia mancano di efficacia per gli obiettivi indicati. Prima che l’Ecuador recuperasse la sovranità sulla base di Manta, fatto accaduto il mese passato, negli ultimi cinque anni di controllo statunitense si produsse un incremento del traffico di droghe nel Pacifico, nonostante la vigilanza che giornalmente si realizzava”.

L’analista e professore universitario argentino Gilberto Bermudez spiega a DIAGONAL: “ Le navi, aeromobili ed equipaggi superano lungamente le vere necessità di controllo a gruppi illegali armati e narcotrafficanti. Riguardo gli obiettivi reali di queste basi ci sono varie interpretazioni. La mia è che, nonostante il presidente Uribe lo neghi, esistono velate intenzioni ad organizzarsi in basi per un controllo extraterritoriale.”

“Il problema reale è Palanquero, madre della basi colombiane, visto che attualmente è il centro operativo delle Forze Armate colombiane e diventerà fondamentale per il controllo statunitense in Sudamerica”, indica a questo giornale Armando Acosta, membro del Polo Democratico Alternativo e militante dei movimenti per la pace in Colombia.

Secondo Acosta: ”Palanquero ha una pista di più di tre chilometri di lunghezza, dalla quale possono decollare tre aerei da combattimento insieme ogni due minuti, ha un’infrastruttura con centinaia di hangar e aerei e può alloggiare 2.000 militari effettivi.”

Per gli esperti militari dei 12 paesi che compongono la UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), eccetto la Colombia, Palanquero è una “base adatta alle spedizioni, ha la capacità di contenere C-17, aerei di trasporto, e per il 2025 si prevede che questa base avrà la capacità di mobilitare 175000 militari con i loro equipaggiamenti in sole 72 ore”. Come dire, una base per mobilitare interi eserciti in qualsiasi punto del continente.

 

Secondo Emilio Lopetegui, militante sociale cileno affiliato alla rete antimilitarista del continente, la situazione è la seguente: “Assistiamo ad una escalation del dispendio militare nella regione. Il Brasile ha comprato nel 2007 e nel 2008 un numero importante di aerei da caccia, barche ed elicotteri, la sua stima di spesa militare quest’anno è di 24.000 milioni di dollari, approssimativamente 1,47% del suo PIL. In questo momento i brasiliani stanno sviluppando un importante programma militare con i francesi. Il programma include la fabbricazione di un sottomarino a propulsione nucleare e quattro convenzionali.

 

Allo stesso modo, gli altri paesi della zona, incrementano la spesa militare. La Colombia è quattro o cinque volte più piccola del Brasile, ma presenta una stima di spesa quest’anno di 10000 milioni di dollari, il 2,82% del suo PIL, ineguagliabile da nessun paese latinoamericano”. Il professor Bermudez spiega: “La Colombia è un Israele nel nostro continente. Con le sette nuove basi, più gli operativi già esistenti attualmente da parte delle forze militari nordamericane in questo territorio, stiamo parlando del fatto che da qua a pochi anni la Colombia potrà avere una capacità operativa simile o anche maggiore a quella di Israele nel Medio Oriente.”
 


Le basi dell’accordo
 


L’accordo militare tra USA e Colombia assicura nello specifico l’accesso continuo degli Stati Uniti alle installazioni colombiane: tre basi della Forza Aerea (Palanquero, Apiay e Malambo), due basi navali (Cartagena e Malaga) e due installazioni dell’esercito (Tolemaica e Larandia). Allo stesso tempo, l’accordo contempla l’utilizzazione delle altre installazioni militari colombiane previo comune accordo.
 


Escalation militare

nella regione
 


Secondo il rapporto Military Balance 2009 dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, la spesa totale per la difesa dell’America Latina è aumentata del 91% negli ultimi cinque anni. Tutte le previsioni indicano che il 2009 verrà chiuso con una spesa decisamente maggiore. Uno dei paesi con spese maggiori è il Brasile. Il gigante latinoamericano mantiene una linea geopolitica orientata a consolidare la sua posizione di prima potenza regionale. Questo, unito alla sua volontà di formare parte dei membri del Consiglio di Sicurezza della ONU, così come il suo ruolo di protagonista nella missione dei Caschi Blu nell’isola di Haiti, spiegano questo incremento della spesa militare. Un altro paese con un enorme potenziale militare è il Cile. Recentemente, la presidente Michelle Bachelet ha inviato un progetto al Congresso per modificare la Ley Reservada del Cobre* che destina il 10% delle entrate dalla vendita della spesa alle Forze Armate, che ha permesso negli anni una forte inversione tecnologica ed un rinnovamento permanente dell'armamento. Il Cile ha confermato quest’anno l’acquisto di aerei antisottomarini e di otto elicotteri di fabbricazione francese, inoltre la acquisizione di 18 aerei F-16 dall’Olanda, per un valore di 270 milioni di dollari. Allo stesso modo, il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, ha annunciato l’acquisto di carri armati russi per contrastare la presenza statunitense in Colombia. Tra il 2007 ed il 2008, il Venezuela ha comprato armi del valore di 1531 milioni di dollari dalla Russia.
 


51000 MILIONI DI

DOLLARI IN ARMI
 


Nel 1994, L’America Latina ha speso 17600 milioni di dollari. Nel 2003, la cifra era salita a 21800 milioni di dollari, in corrispondenza delle tensioni provocate dall’11-S. Secondo il rapporto pubblicato dal centro di studi argentino Nueva Mayoria, questa cifra si è innalzata nel 2008 a 51.100 milioni di dollari.
 


IL CILE GUIDA LA

SPESA PRO CAPITE
 


Il Cile guida la spesa militare per abitante, che è salita a 290 dollari pro capite nel 2008, mentre la Colombia ne ha spesi 115, l’Ecuador 89 e il Brasile 80. I militari cileni si finanziano con una tassa del 10% sopra le vendite lorde dell’ente statale Corporacion del Cobre, stabilita dalla dittatura militare (1972-1990) denominata Ley Reservada del Cobre.
 


IL RACKET LATINOAMERICANO

IN SPESE MILITARI
 


Il Brasile ha speso l’anno scorso 27540 milioni di dollari in spese militari (55%), seguito dalla Colombia con 6.746 milioni (14%) e il Cile, con 5395 milioni (6,5%). Il Venezuela, d’altro canto, è il quarto paese sudamericano nelle spese militari e il secondo in acquisizione, con 5000 milioni di dollari spesi in acquisti nell’ultimo anno, costituiti da aerei da caccia Sukhoi, di origine russa, elicotteri, sistemi di difesa aerea e fucili di assalto.
 


* (la legge 13.196 per cui il 10% delle entrate dovute alla vendita di rame sono destinate all’acquisto di nuovi armamenti per le forze armate).

Titolo originale: " Los planes militares de Estados Unidos en Latinoamérica "
Fonte: http://www.diagonalperiodico.net Link 22.10.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MATHILDA

 

 

 

Nuova task force USA per

intervenire in America latina

 

19 ottobre '09 - di Antonio Mazzeo www.coordinamentobolivariano.org

 

Negli stessi giorni in cui è stata ufficializzata l’assegnazione del premio Nobel per la pace al presidente Barack Obama, il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti ha annunciato la costituzione di una nuova e potentissima task force aeronavale destinata a presidiare i mari del continente latinoamericano.

 

Si tratta del Carrier Strike Group CSG 1 e il suo comando operativo sarà attivato a San Diego (California).

 

Come dichiarato dal Comando della III Flotta dell’US Navy che ne coordinerà gli interventi, “il CSG 1 sosterrà la strategia marittima nazionale, aiuterà nella promozione delle partnership regionali, farà da deterrente alle crisi, proietterà la potenza militare USA, promuoverà la sicurezza navale e fornirà assistenza in caso di disastri naturali all’interno di una vastissima area di operazioni dell’Oceano Pacifico”.

 

La prima missione della forza aeronavale prenderà il via nella primavera del 2010 e si realizzerà “nelle acque del Sud America”. Imponente la potenza di fuoco del nuovo strumento di intervento militare statunitense.

 

Al Carrier Strike Group saranno assegnati una portaerei a propulsione nucleare, cinque fregate e due incrociatori lanciamissili, un centinaio tra caccia intercettori, aerei a decollo verticale ed elicotteri, più alcune navi appoggio e di trasporto gasolio e munizioni.

 

La nave ammiraglia sarà la USS Carl Vinson (CVN 70), portaerei della classe “Nimitz”, 103000 tonnellate di stazza e una lunghezza di 332 metri, dotata di due reattori atomici della potenza di 194 Mw.

 

Armata con sistemi missilistici Mk 57 “Sea Sparrow”, nel 2005 la Carl Vinson ha operato per sei mesi nel Golfo Persico appoggiando le operazioni di guerra in Iraq.

 

Successivamente la portaerei è stata sottoposta a complessi lavori di manutenzione presso i cantieri navali di Newport (Virginia), di proprietà della Northrop Grumman, il gigante del complesso militare industriale USA che ha prodotto i velivoli senza pilota Global Hawk che stanno per giungere nella base siciliana di Sigonella.

 

I lavori alla Carl Vinson, completati qualche mese, hanno permesso la “modernizzazione dei sistemi di combattimento e delle capacità operative dei velivoli trasportati” e il “rifornimento degli impianti di propulsione nucleare necessario a prolungarne il funzionamento per altri 25 anni”.

 

Il gruppo aereo che sarà trasferito a bordo della porterei sarà il Carrier Air Wing Seventeen (CVW-17), con base a Oceana (Virginia), sino al giugno 2008 operativo dalla portaerei USS George Washington. Il CVW è composto da cinque squadroni dotati di caccia F/A-18E “Super Hornet” ed elicotteri per la guerra aeronavale ed elettronica, l’intercettazione e la distruzione di unità di superficie, sottomarini, aerei e sistemi missilistici nemici.

 

Le capacità belliche del gruppo di volo sono state ripetutamente utilizzate dal Pentagono in occasione della prima e della seconda Guerra del Golfo e, più recentemente, nel novembre 2007, durante la sciagurata controffensiva alleata a Fallujah (Iraq), quando furono eseguite sino a quaranta missioni di bombardamento al giorno.

 

Della nuova task force aeronavale faranno pure parte il Destroyer Squadron - DESRON 1, costituito da cinque fregate della classe “Oliver Hazard Perry” (tutte dotate di cannoni Oto Melara 76mm/62 e Phalanx CIWS, lanciatori per missili “SM-1MR” ed “Harpoon” ed elicotteri “SH-60 Seahawk Lamps III”) e dagli incrociatori USS Bunker Hill e Lake Champlian della classe “Ticonderoga”, equipaggiati con sistemi missilistici a lancio verticale “Mk. 41 VLS”, missili RGM-84 “Harpoon” e “BGM-109 Tomahawk”, quest’ultimi a doppia capacità, convenzionale e nucleare.

 

Il Bunker Hill ha partecipato nel gennaio 2007 alle operazioni di bombardamento USA in Somalia in contemporanea all’ invasione del paese da parte delle forze armate etiopi.

 

La proiezione della forza aeronavale nell’intero continente esalterà ulteriormente il ruolo assunto dall’US Southern Command - SOUTHCOM (il Comando Sud delle forze armate USA con sede in Florida), nella pianificazione della strategia politica e militare degli Stati Uniti verso l’America latina.

 

Il Comando, in particolare, ha pubblicato nel 2007 un documento dal significativo titolo “US Southern Command - Strategy 2016 Partnership for the America”, in cui si delineano le ragioni e gli obiettivi della presenza militare statunitense nell’area per il prossimo decennio.

 

Come evidenziato da Gabriel Tokatlian, docente di Relazioni Internazionali dell’Università San Andrés di Buenos Aires, si tratta del “piano strategico più ambizioso per la regione che sia mai stato concepito da diversi anni a questa parte da un’agenzia ufficiale statunitense”.

 

Nelle pagine del report, SOUTHCOM si erge ad organizzazione leader, tra quelle esistenti negli Stati Uniti d’America, per assicurare “la sicurezza, la stabilità e la prosperità di tutta l’America”.

 

Ampio il ventaglio degli obiettivi strategici da conseguire entro il 2016: tra essi, una “migliore definizione del ruolo del Dipartimento della Difesa nei processi di sviluppo politico e socioeconomico del continente”; la “negoziazione di accordi di sicurezza in tutto l’emisfero”; l’ attribuzione a nuovi paesi della regione dello status di alleato extra-NATO” (oggi lo è la sola Argentina); la “creazione e l’appoggio di coalizioni per eseguire operazioni di pace a livello regionale e mondiale”; l’identificazione di “nazioni alternative disponibili ad accettare immigrati” e “stabilire relazioni per affrontare il problema delle migrazioni di massa”.

 

L’US Southern Command punta inoltre a sviluppare programmi continentali di “addestramento nel campo della sicurezza interna”; sostenere l’iniziativa di un “battaglione congiunto delle forze armate centroamericane per realizzare operazioni di stabilizzazione”; incrementare il numero delle cosiddette “località di sicurezza cooperativa” (si tratta di basi di rapido dispiegamento come quelle recentemente concesse alle forze armate USA dal governo colombiano di Uribe).

 

In vista della riaffermazione egemonica delle forze armate USA in quello che da sempre viene considerato il “cortile di casa”, l’1 luglio 2008 è tornata ad essere operativa la IV Flotta dell’US Navy, disattivata dal Pentagono nel 1950.

 

l quartier generale della IV Flotta è stato emblematicamente stabilito presso la stazione navale di Mayport, Florida, sede dell’US Southern Command, e il comando diretto della flotta è stato attribuito al comandante in capo dell’US Naval Forces Southern Command (NAVSO), la componente navale di SOUTHCOM.

 

“La IV Flotta opera di concerto con le componenti navali, sottomarine ed aree, le forze di coalizione e le Joint Task Forces di SOUTHCOM in una vastissima aerea geografica comprendente i Caraibi, il Centroamerica e il Sud America”, spiega Washington.

 

“Con lo scopo di rafforzare l’amicizia e la partnership con i paesi della regione, la IV Flotta supporta direttamente la Strategia Marittima USA, conducendo principalmente le missioni di appoggio alle operazioni di peacekeeping, l’assistenza medica ed umanitaria, il pronto intervento in caso di disastri, la realizzazione di esercitazioni marittime d’interdizione e di addestramento militare bilaterale e multinazionale, l’azione anti-droga, la lotta al terrorismo internazionale e al traffico di persone”.

 

A conferma dell’obiettivo di “militarizzare” ogni aspetto civile, sociale e di “cooperazione”, si puntualizza che per la pianificazione e l’esecuzione delle proprie missioni, la IV Flotta opererà “accanto alle organizzazioni non governative, alle agenzie che rappresentano le nazioni partner e alle organizzazioni internazionali”.

 

La riproposizione della politica delle cannoniere in Sud America e nei Caraibi risponde alla necessità di rafforzare il presidio delle rotte commerciali regionali, fondamentali per l’economia statunitense, e di protezione dell’accesso e del controllo delle grandi corporation sulle incomparabili risorse energetiche, minerarie ed idriche del continente.

 

Il Pentagono non nasconde inoltre che le task force navali siano state costituite come forma di pressione politico-militare contro i governi più o meno progressisti che guidano ormai buona parte dei paesi del continente americano.

 

La IV Flotta è risorta nel momento in cui si sono consolidate istanze di coordinamento politico, sociale ed economico regionale come Unasur, il Mercosur e l’Alba, ed è stato costituito il Consiglio di Difesa sud-americano, un organo di cooperazione tra le Forze Armate del continente che, tra ambiguità di fondo e latenti divisioni interne, ha tuttavia escluso la presenza statunitense.

 

Come successo in Africa con la costituzione del nuovo comando delle forze armate USA che sovrintende a tutte le operazioni nel continente (AFRICOM), i processi di militarizzazione dell’America latina sono stati accelerati per rispondere alla penetrazione economica e finanziaria della Cina.

 

L’intercambio bilaterale del gigante asiatico con il continente ha raggiunto nel 2007 la ragguardevole cifra di 100 miliardi di dollari. Dall’aprile del 2009 la Cina è divenuta la principale partner commerciale del Brasile, il paese sudamericano con il tasso di crescita più rilevante, scavalcando nettamente gli USA. La Cina si sta affermando inoltre come il principale mercato di esportazione del Cile, il secondo di Argentina, Perù, Costa Rica e Cuba, il terzo di Venezuela e Uruguay.

 

I settori d’intervento sono molteplici: innanzitutto quello petrolifero (Pechino ha assicurato un prestito per 10 miliardi di dollari all’impresa petrolifera brasiliana Petrobras ed ha investito diverse centinaia di milioni di dollari nei giacimenti di Caracoles e dell’Orinoco in Venezuela e di Talara in Perù); il minerario (zinco in Perù, ferro in Brasile, rame in Cile); l’industria agroalimentare (Argentina), meccanica ed elettronica (ancora Brasile, Perù, Uruguay e Cuba).

 

Durante il primo anno di vita della Zona Franca di Nueva Palmira, sul Rio Uruguay, dove sono convogliate alcune produzioni agricole e forestali di Argentina, Brasile meridionale e Paraguay, la Cina compare come maggiore paese di destinazione finale delle merci (oltre 560000 tonnellate, il 31% del totale, in buona parte soia e cellulosa).

 

Tra i prodotti di alta tecnologia esportati al continente latinoamericano, ci sono pure i sistemi di tele-sorveglianza dei centri urbani.

 

Il governo frenteamplista uruguaiano ha affidato alla ZTE Corporation di Pechino una commessa di 12 milioni di dollari per la fornitura di telecamere a circuito chiuso da installare in porti, aeroporti, piazze e strade del paese sudamericano.

 

Tra coloro che manifestano maggiore preoccupazione per l’avanzata economico-finanziaria cinese in America latina ci sono i manager dell’industria bellica statunitense.

 

Sulla nota rivista del settore Air & Space Power Journal, nel novembre del 2006 è apparso un lungo articolo dedicato alla presenza del colosso asiatico in America Latina, la cui pericolosa conseguenza sarà “la trasformazione dei porti del Pacifico” e il “cambiamento nella struttura economica con la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero”.

 

Ergo, gli estensori ribadivano il “diritto e il dovere” degli Stati Uniti di “vigilare sulle modalità con cui questo intervento si ripercuote nella salute pubblica, sociale ed economica dell’emisfero occidentale”.

 

Roger Noriega, ex segretario di Stato per gli Affari dell’Emisfero Occidentale, ha dichiarato di fronte al Congresso che “gli Stati Uniti continueranno ad osservare da vicino la strategia cinese di avvicinamento all’America latina, in modo da assicurare che essa sia compatibile con il progresso registrato nella regione nell’affermazione della democrazia rappresentativa. Un progresso duramente guadagnato…”.

 

Ulteriore elemento di preoccupazione per Washington, gli accordi di cooperazione nel settore militare sottoscritti dalla Cina con paesi della regione, in particolare quello che ha visto l’invio di personale militare venezuelano in Asia per la formazione nella gestione dei satelliti di telecomunicazione.

 

Motivo di allarme tra gli strateghi statunitensi anche la crescente presenza di società della Cina nei porti di Balboa e Cristobal, nel Canale di Panama.

 

“Queste compagnie sono controllate da cinesi comunisti che hanno ottenuto un bastione nel Canale senza sparare un solo colpo, cosa che invece è costata lunghi sforzi al nostro paese”, ha dichiarato qualche tempo fa il portavoce del Comando SOUTHCOM.

 

Attraverso il Canale di Panama transita attualmente il 5% del commercio globale e più dei due terzi delle imbarcazioni sono dirette a porti degli Stati Uniti. Un’importanza economica destinata a crescere ulteriormente adesso che hanno preso il via i lavori di ampliamento del sistema di chiuse per consentire il transito a navi fino a 366 metri di lunghezza e 50 di larghezza, capaci di trasportare fino a dodicimila container, o alle petroliere in grado di stivare sino ad un milione di barili di greggio.

 

I lavori nel Canale di Panama saranno completati entro il 2014 e costeranno più di 5,25 miliardi di dollari. Ad aggiudicarsi una porta sostanziale delle commesse un consorzio guidato dall’italiana Impregilo. Proprio nel Canale di Panama, meno di un mese fa si è tenuta una mega-esercitazione aeronavale (PANAMAX 2009) promossa dall’US Southern Command.

 

“Un’ esercitazione insostituibile per continuare ad assicurare la difesa di questo corridoio strategico e prevenire un ampio spettro di possibili minacce, inclusi gli atti terroristici”, ha dichiarato il colonnello Michael Feil, comandante di US Army South e direttore delle operazioni aereonavali nel Canale.

 

“Le organizzazioni terroristiche transnazionali hanno come obiettivo quello di influenzare i paesi e convincerli ad opporsi alla partnership con gli Stati Uniti d’America. Attaccando il Canale di Panama essi colpiranno i beni che vi transitano e incoraggeranno i paesi ad ascoltarli”.

 

“PANAMAX tiene insieme i paesi che sono d’accordo a sostenere lo sforzo per la sicurezza del Canale”, ha concluso il colonnello Feil.

 

“I paesi partecipanti ne riconoscono il ruolo e l’importanza nel mantenere gli standard di vita e l’economia dei popoli della regione”. All’importante esercitazione hanno partecipato 4500 militari, 30 navi da guerra e decine di cacciabombardieri di Stati Uniti e venti nazioni straniere (Argentina, Belize, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Olanda, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana ed Uruguay).

 

PANAMAX è stata l’occasione perché la IV Flotta USA potenziasse sul campo capacità e funzioni, sperimentando tecniche d’intervento contro la pirateria navale e l’uso di velivoli senza pilota UAV. A conclusione di PANAMAX 2009, la IV Flotta ha ottenuto la pre-certificazione di Maritime Operations Center MOC), il “congiunto di flessibilità e prontezza operativa”, necessari secondo la US Navy, per il “controllo delle missioni navali a livello bellico, d’intelligence, logistico e del settore delle telecomunicazioni”.

 

“La IV Flotta – spiega SOUTHCOM - può condurre da oggi l’intero spettro delle operazioni di sicurezza marittima in appoggio agli obiettivi USA di cooperazione che promuovono la costruzione di alleanze e impediscono i tentativi di aggressione”.