HOME AMERICA LATINA

Haiti

Haiti, bilancio di un disastro

a sei mesi dal terremoto

 

16 luglio 2010 - G.Carotenuto www.giannimia-latinoamerica.it

 

A sei mesi dal terremoto l’isola di Toussaint L'Ouverture (il giacobino nero, l’ex-schiavo protagonista della lotta per l’indipendenza del primo stato nero al mondo a fine ‘700), è ancora una montagna di macerie. Qualcuno le ha calcolate, 20 milioni di metri cubici di macerie, ma nessuno sa, o vuole, rimuoverle a meno di non comprare pezzo per pezzo quello che resta di Haiti.

 

A sei mesi dal terremoto che ha causato 222570 vittime (300000 secondo fonti altrettanto autorevoli) in uno dei luoghi ambientalmente più difficili al mondo, Haiti denuncia di trovarsi in un contesto di quasi occupazione militare straniera di fatto. Non è la prima della sua storia difficile, ma le migliaia di militari stranieri (fino a 20000 i marines) sono lì con uno scopo preciso: assicurare la spartizione tra le multinazionali di quel che resta del paese. È strano come quello che da anni il modello economico dominante definisce “uno stato fallito”, una sorta di Somalia nel mezzo del mar dei Caraibi, improvvisamente a causa del più terribile terremoto in 200 anni si trasformi in una gallina dalle uova d’oro. Una gallina dalle uova d’oro nonostante o proprio a causa del fatto che ad Haiti, a fronte di un milione e mezzo di persone che hanno trovato precaria ospitalità nei 1300 campi ONU ci sono ancora oltre un milione di persone senza un tetto, tra le quali si calcola si trovino 200000 tra donne incinta e puerpere, che sopravvivono ancora tra le macerie, sotto una tenda se sono molto fortunati o sotto le stelle, il che vuol dire nel fango, senza igiene, senza alcuna sicurezza, lavoro, cibo, acqua potabile, senza una speranza sotto i quasi 50° all’ombra di questi giorni di luglio. Ciò in una tragedia umanitaria dove quasi un quarto della popolazione del paese (come se in Italia avessimo 15 milioni di senzatetto) ha perso la casa.

 

Qualcuno si domanda se non avessero dovuto essere per questi milioni di persone quegli 11 miliardi di donazioni immediatamente promessi dalla cosiddetta “comunità internazionale”, o almeno per quelle 200000 giovani madri alle quali dare almeno un rifugio, assistenza medica, un posto dove non avere paura. Ma non erano per loro quegli 11 miliardi di dollari perché non sono mai arrivati. Allo stesso modo quegli 11 miliardi di dollari non sono serviti per ricreare la benché minima infrastruttura in una paese che aveva il 30% di disoccupazione e dove 280000 imprese sono rimaste sotto le macerie.

 

Hillary Clinton ha in questi giorni promesso di continuare a stare al fianco di Haiti. Forse dovrebbe “cominciare” a stare al fianco di Haiti visto che degli 11 miliardi di dollari promessi sarebbero poco più di 200 milioni (circa il 2%) quelli effettivamente spesi per aiutare la popolazione. Non che gli Stati Uniti non abbiano già speso 500 milioni ad Haiti. Ma questi soldi sono una parte minima del costo dei 20000 marines che pattugliano l’isola ad un costo di un miliardo di dollari al mese che per la maggior parte viene caricato sul conto del futuro debito estero dell’isola.

 

Per il resto, a parte le missioni solidali cubano-venezuelane, più di mille medici e paramedici impegnati a salvar vite mentre i marines bighellonano in giro, e gli aiuti immediati dell’ONU, che hanno avuto un ruolo decisivo nel costituire 1300 accampamenti di rifugiati dove sono a fatica alimentate e ricoverate oltre un milione di persone, poca roba. Solo Brasile, Norvegia e Australia hanno già inviato la parte a breve termine della loro quota di aiuti. Da tutti gli altri, europei in testa, solo vacue promesse e un 98% (gli aiuti promessi e mai inviati) di cinismo.