Haiti non interessa a nessuno, è l’ultimo paese del mondo, pieno di negri senza dignità e senza diritti, senza nemmeno il diritto di farsi governare da uomini scelti da loro. Il caso Aristide, lo strano sacerdote indeciso che gli Stati Uniti hanno ridotto a un burattino, resta ancora un caso misterioso di ingerenza pesante del vicino del Nord su questa mezza isola sfortunata, vittima di una leggenda nera, nerissima, di woo-doo, di violenza sanguinaria, di ribellismo irrazionale.
E a che scopo una ingerenza così pesante? A cosa ha condotto l’ingerenza statunitense sulla volontà politica del popolo haitiano negli anni ottanta? Ha condotto alla situazione attuale di quella infelice repubblica, quella di essere l’ultimo paese del mondo soprattutto dopo il terremoto del gennaio scorso e dopo che questa spietata epidemia di colera avrà ridotto quell’infelice paese a un grande cimitero. I nostri giornali occidentali hanno sottolineato ancora una volta l’irrazionalità di una popolazione che se la prende con la componente nepalese delle truppe ONU presenti sull’isola, portatrice endemica del bacillo del colera, un bacillo fino ad ieri non presente nell’area del Caribe, ma non ci hanno spiegato cosa ci fa il contingente ONU in quel paese e neanche cosa fanno i rinforzi militari statunitensi mandati sollecitamente ad Haiti appena saputo del devastante terremoto.
Perfino il Presidente Lula, uomo d’onore, ha glissato sul contingente brasiliano che tante scaramucce ha affrontato in quel paese miserabile.
Se davvero il mondo volesse occuparsi di Haiti e se davvero ne avessimo compassione e ce ne volessimo prendere cura, questa piccola repubblica nera nel cuore del Caribe, che paga ancora (e non solo metaforicamente) l’ ardire di aver voluto rifondarsi alla luce dei grandi ideali della Rivoluzione Francese, agli albori del XIX secolo, i mezzi ci sarebbero, e come.
Ma Haiti non interessa a nessuno, come non interessa la solidarietà di Cuba nel campo dell’alfabetizzazione, dell’istruzione e della salute. Cerco, inutilmente, da un anno sui nostri mezzi di informazione la conferma di quello che leggo sui giornali latinoamericani e, naturalmente, cubani: il lavoro encomiabile delle brigate mediche cubane, l’attività dei loro ospedali da campo, il loro lavoro di prevenzione e cura.
Finalmente ieri trovo una piccola notizia di fonte insospettabile: la Missione di Stabilizzazione dell’ONU. Il coordinatore umanitario di quel contingente, Nigel Fisher ha dichiarato in video conferenza, che la Brigata Medica Cubana ha a suo carico la maggior parte dei Centri di attenzione contro l’epidemia di colera che costituiscono un importante baluardo per arginare la diffusione della malattia.
Dunque è vero, e non frutto della propaganda del Granma: i giovani medici della Brigata Medica Cubana insieme ai colleghi della ELAM, la Scuola di medicina Latinoamericana, continuano a presidiare quell’infelice territorio, come nella cittadina di Hinche la cui strada principale serve anche da pista di atterraggio e da pascolo per le capre. E’ lì, come in tante altre località, che lavorano medici cubani insieme ai colleghi latinoamericani laureati all’ELAM e a 9 medici nordamericani volontari. Hinche sta al centro di Haiti, cioè alla fine del mondo. In quella terra che non interessa a nessuno, a nessuno interessa raccontare la piccola storia di una comunità di medici di tutte le Americhe solidali con i dimenticati haitiani, gli ultimi fra gli ultimi.