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IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI |
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Mi dispiace davvero polemizzare proprio oggi, 14 giugno, con Il Fatto Quotidiano che ha sostenuto una campagna così tenace e coraggiosa per i referendum. Il giornale di oggi, infatti è quasi interamente dedicato a questo evento che assume tanti significati in un momento della nostra storia che sembrava essere arrivato al fondo della decenza. Però, arrivando a pagina 17 mi sono imbattuta in un articolo nella sezione “Il mondo in rete” dove, in maniera quasi giocosa, gli autori Francesca Cicardi e Alessandro Oppes informano sulla decisione degli Stati Uniti di dar vita ad “una rete ‘segreta’, fuori dal controllo delle autorità” allo scopo di “liberare” quei paesi il cui sistema di governo non è accettato da Obama, “dalla Corea del Nord alla Birmania, alla Cina, a Cuba. Si tratterebbe, secondo gli articolisti, della “versione adattata al secolo XXI della propaganda pro-democrazia diffusa durante la Guerra Fredda nei Paesi dell’Est europeo attraverso le onde della Voice of America”.
L’idea piace agli articolisti che spiegano che “il piano prevede progetti segreti per creare reti indipendenti di telefonia mobile all’interno di paesi stranieri e si basa su un prototipo di ‘Internet portatile’: una valigia dei miracoli, contenente pc e telefonini, in grado di aggirare i server controllati degli Stati di polizia, attivando reti di comunicazione parallele che manderebbero in frantumi il blackout informativo vigente”. E piace perché pensano subito a quanto tornano utili simili congegni in Tunisia, Egitto, Iran, Siria e Libia e si fanno prendere dall’entusiasmo ricordando i coraggiosi blogger nordafricani, anche se una di loro, Ruwan Al Shimy, dopo aver lodato l’idea di una rete segreta, si è posta l’unica domanda da fare in un caso come questo: “Che interessi ci sono dietro questo progetto degli Stati Uniti? Se vogliono promuovere la libertà d’espressione, perché non chiesero al loro alleato Mubarak di ristabilire le comunicazioni immediatamente?” concludendo sconsolata: “Non ci hanno mai aiutato in questo senso.”
Invece, già da tempo gli Stati Uniti stanno “aiutando” i cubani “in questo senso”. E gli articolisti lo ricordano con una certa ironia, spiegando che “i cubani, specialisti nell’arte della censura e terrorizzati dalla recente diffusione della Rete sull’isola caraibica” avevano lanciato “un allarme antiyankee” attraverso un portavoce del Ministero degli Interni. Non ricordano, per esempio, che un cittadino nordamericano, Alan Gross, è stato arrestato sull’isola dove stava distribuendo cellulari e pc sofisticatissimi per conto della Usaid, l’agenzia alla quale il Congresso ha affidato l’incarico - che sta molto a cuore a Hillary Clinton - “di ottenere un cambiamento positivo” nei paesi che la pensano diversamente da lei, e che lo stesso Gross è stato condannato a 15 anni di reclusione. Un inconveniente che ha disturbato il senatore John Kerry, democratico del Massachusset che ha scoperto che il Governo degli Stati Uniti ha affidato all’Usaid molto denaro per destabilizzare Cuba e che dopo la malattia di Fidel Castro nel 2006 i fondi a disposizione sono andati aumentando e sono arrivati nel 2008 a 45 milioni di dollari da spendere per “il ritorno della democrazia” a Cuba.
Questo denaro è stato distribuito a chiunque si offrisse, come Gross, di collaborare fattivamente a portare aiuto tecnologico e logistico ai dissidenti cubani, per esempio mascherando un’antenna parabolica in una tavola da surf o distribuendo telefonini satellitari molto sofisticati e in grado di sfuggire ai controlli. Questo era il compito di Alan Gross che aveva ricevuto il “subappalto” dall’Usaid, seriamente in difficoltà nello spendere tanti soldi in attività culturali, di comunicazione e di informazione. Una fonte del Campidoglio, citata da Tracy Eaton il 14 giugno, ha osservato: “E’ molto difficile spendere tanto denaro, come si fa a spenderlo? Fondamentalmente lo si dà a persone negli Stati Uniti dicendo loro: Mi raccomando, cercate di fare qualcosa di buono con questo denaro”. Alan Gross era una delle persone che si offriva di “fare qualcosa di buono”, ma il suo arresto ha paralizzato per un anno il programma che è ripreso solo da qualche tempo e che si propone di “appoggiare incipienti gruppi pro democrazia e nello stesso tempo aumentare l’opportunità di condividere informazione attraverso l’uso della tecnologia e di nuovi strumenti”.
Alla legge statunitense di Libertà e Solidarietà Democratica per Cuba, del 1996, che autorizza i programmi per fomentare la democrazia, i cubani hanno risposto con la Legge 88 che prevede pene fino ai venti anni di reclusione per i cubani che portino avanti iniziative finanziate dagli Stati Uniti. Per gli Stati Uniti le leggi cubane violano diritti umani universali cosa che li autorizza a sovvertire lo stato a Cuba, ma questo assioma a senso unico è illegale secondo tutte le leggi internazionali e gli Stati Uniti dovrebbero spiegarci perché ritengono di dover intervenire contro Cuba che viola i diritti umani universali con le sue leggi e il suo sistema di governo che si appoggia ancora sul consenso popolare, e non cercano intanto di ovviare ad alcune delle loro indecenze più insopportabili, come la prigione di Guantanamo, tanto per restare nell’ambito geografico dell’isola e non farla troppo lunga ricordando la sanguinosa sequela di destabilizzazioni, a cominciare dal Cile di Allende.
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