“Non
si può escludere alcuna ipotesi…E’ praticamente
impossibile che ci sia un impianto petrolifero come
questo, completamente automatizzato, con migliaia di
addetti presenti su turni per 24 ore al giorno, sia
civili sia militari, e che per 3 o 4 giorni ci sia
una fuga di gas e nessuno intervenga. E’
impossibile.”
— Il Presidente Chavez rispondendo ai canali
d’informazione statunitensi e alle accuse
dell’opposizione secondo cui l’esplosione e l’incendio
alla raffineria di
petrolio sono da attribuirsi alla negligenza del
governo. 26 Agosto 2012.
Solo 43 giorni prima dell’elezione presidenziale in
Venezuela e con il Presidente Chavez in testa con un
margine sostenuto del 20%, un’esplosione e un
incendio alla raffineria Amuay ha ucciso per lo meno
48 persone – metà delle quali membri della Guardia
Nazionale – e distrutto istallazioni petrolifere che
producono 645000 barili al giorno.
Immediatamente dopo l’esplosione e l’incendio, tutti
i canali d’informazione statunitensi e britannici ,
oltre all’opposizione conservatrice in Venezuela,
hanno lanciato all’unisono un’accusa contro il
governo di essere il primo responsabile del
disastro, attribuendogli “una gravissima negligenza”
e di “non aver investito sufficientemente negli
standard di sicurezza”.
Eppure ci sono forti ragioni per respingere queste
accuse opportunistiche e per formulare un’ipotesi
più plausibile; e cioè che l’esplosione è stata
un’azione di sabotaggio, pianificata e messa in atto
da un gruppo clandestino di terroristi specializzati
che agiscono per conto del governo statunitense. Ci
sono davvero molti motivi per appoggiare una simile
ipotesi per le indagini.
L’ipotesi
Sabotaggio
La prima domanda da porsi in un’indagine che si
rispetti è: chi ne trae beneficio e chi viene
danneggiato dalla distruzione di vite umane e di
produzione di petrolio?
Gli Stati Uniti sono un chiaro vincitore su diversi
fronti. In primo luogo, grazie alla conseguente
perdita economica per l’economia venezuelana – 2.5
milioni di barili nei primi 5 giorni, cifra
destinata a crescere – la perdita si ripercuoterà
sulla spesa sociale e rallenterà gli investimenti
produttivi che, a loro volta, sono argomenti
cruciali elettorali per la presidenza Chavez.
In secondo luogo, il fatto che all’unisono gli Stati
Uniti e il loro candidato affiliato,
Henrique Capriles
Radonski, abbiano lanciato
immediatamente una propaganda negativa mirata a
screditare il governo e a mettere in questione la
sua capacità di garantire la sicurezza dei cittadini
e della principale fonte di ricchezza per il paese.
In terzo luogo, un’esplosione crea insicurezza e
senso di paura tra le fasce dell’elettorato, e
questo può molto influenzare il voto dell’elezioni
presidenziali del prossimo Ottobre.
In quarto luogo, gli USA possono mettere alle prova
l’efficacia di una più ampia campagna di
destabilizzazione e la capacità del governo di
rispondere a qualsiasi minaccia di sicurezza.
Secondo alcuni documenti governativi ufficiali, gli
USA stanno conducendo operazioni di Forze Speciali
in più di settantacinque paesi, compreso il
Venezuela, che è da sempre considerato un
antagonista. Questo significa che gli USA hanno loro
uomini altamente addestrati nel territorio
venezuelano. Ne è la prova un recente arresto per
entrata illegale in Venezuela di un U.S. Marines con
esperienze passate in azioni militari in Iraq e
Afghanistan.
Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di
coinvolgimento in azioni destabilizzanti in
Venezuela – avendo sostenuto il colpo di stato
militare del 2002 e la serrata padronale petrolifera
del 2003. Gli Stati Uniti presero di mira
l’industria petrolifera sabotando il sistema
computerizzato e contribuendo alla degenerazione
delle raffinerie.
Gli USA hanno notoriamente una tradizione storica di sabotaggi e violenze contro incombenti regimi avversi.
Nel 1960, a Cuba, la CIA diede fuoco
ad un centro commerciale e a piantagioni di
zucchero, e piazzò bombe nei luoghi turistici delle
città – allo scopo di minare i settori strategici
dell’economia del paese.
In Cile, dopo l’elezione del Socialista Salvador
Allende, un gruppo dell’ala destra sostenuto dalla
CIA rapì e assassinò l’addetto militare del
Presidente Socialista, allo scopo di provocare un
colpo di stato militare.
Allo stesso modo in Giamaica, alle fine degli anni ’70, sotto la presidenza socialista del Presidente Manley, la CIA promosse un’aggressiva campagna di destabilizzazione a ridosso delle nuove elezioni.
Sabotaggio e destabilizzazione sono
armi comuni utilizzate quando incombe una disfatta
elettorale (come nel caso del Venezuela) o quando un
governo popolare è troppo ben radicato.
Azioni di forza, violenza e destabilizzazione contro
incombenti regimi avversari sono diventate una
prassi procedurale nella politica statunitense.
Gli USA hanno finanziato ed armato gruppi
terroristici in Libia, in Siria, in Libano, in Iran
ed in Cecenia; stanno bombardando il Pakistan, lo
Yemen, la Somalia e l’Afghanistan. In altri termini,
la politica estera statunitense è fortemente
militarizzata e contraria a qualsiasi soluzione
diplomatica dei conflitti con regimi antagonisti. Il
sabotaggio alla raffineria del Venezuela rientra
perfettamente tra le comuni pratiche adottate dalla
politica estera mondiale degli Stati Uniti.
L’attuale politica interna in U.S.A. si è
ulteriormente spostata verso “destra” sia su
argomenti di politica locale sia estera. Il Partito
Repubblicano ha accusato i Democratici di fare i
“ruffiani” dell’Iran, del Venezuela, di Cuba e della
Siria, invece di andare in guerra. La risposta del
regime di Obama è stata un’escalation di politica
militare – navi da guerra e missili sono attualmente
puntati su Iran.
Obama ha appoggiato la richiesta di Miami per un
cambio di regime a Cuba, come preludio di future
trattative. Washington sta convogliando, attraverso
ONG, milioni di dollari all’opposizione in Venezuela
- per scopi di destabilizzazione elettorale.
Ovviamente l’opposizione comprende anche impiegati,
tecnici ed altri che hanno libero accesso alle
installazioni petrolifere.
Obama ha spesso condotto azioni di forza per
dimostrare che lui è un militarista tanto quanto i
Repubblicani.
Con una campagna elettorale in corso, e con uno
stretto margine di vittoria in Florida, il
sabotaggio delle raffinerie in Venezuela gioca molto
bene a favore di Obama.
Manca poco più di un mese alle elezioni, il
Presidente Chavez è in vantaggio di 20 punti,
l’economia e’ in costante ripresa, i programmi di
edilizia popolare e della sanità stanno consolidando
un importante piano di sostegno alle fasce di basso
reddito; il Venezuela e’ stato ammesso nel MERCOSUR,
l’importante programma d’integrazione dell’America
Latina; la Colombia ha firmato con il Venezuela un
accordo reciproco di difesa; il Venezuela sta
ampliando il ventaglio dei suoi mercati e fornitori
d’oltremare. Tutti questi fatti indicano che
Washington non ha alcuna possibilità di battere
Chavez nelle elezioni; non ha alcuna possibilità di
usare i suoi vicini Latini come trampolino per le
sue incursioni territoriali o di istigare una guerra
per il cambio di regime; inoltre, non ha alcuna
possibilità di imporre un boicottaggio economico.
Considerata l’avversione di Washington alla
designazione di Chavez - vista come “una minaccia
per la sicurezza dell’intero emisfero” - e
considerati i fallimenti ottenuti con gli altri
strumenti politici, il ricorso alla violenza e, nel
caso specifico, al sabotaggio dello strategico
settore petrolifero, sembra essere una precisa
scelta politica.
Washington, rivelando così il suo ricorso al
terrorismo clandestino, rappresenta un chiaro e
reale pericolo per l’ordine costituzionale del
Venezuela, una minaccia imminente alla linfa della
sua economia e al processo elettorale democratico.
Ci si augura che il Governo di Chavez, sostenuto
dalla grande maggioranza dei suoi cittadini e dalle
forze armate costituzionalistiche prenda le
necessarie misure di sicurezza per garantire che non
si ripetano sabotaggi petroliferi o in altri
settori, come ad esempio la rete elettrica.
La debolezza pubblica di fronte alla belligeranza
imperialista incoraggia ulteriori attacchi.
Sicuramente, le rafforzate misure di sicurezza in
difesa dell’ordine costituzionale verranno
denunciate dal Governo, dai media e dai vari clienti
locali statunitensi come “misure autoritarie”;
diranno che la protezione del patrimonio nazionale
va a discapito delle “libertà democratiche”. E’
chiaro che preferiscono un sistema di sicurezza più
fragile che si pieghi più facilmente alle loro
violenti provocazioni. E dopo la loro prevista
disfatta elettorale sicuramente denunceranno “frodi”
e “brogli”.
Tutto questo è prevedibile, ma la grande maggioranza
degli elettori che andranno a votare si sentirà
molto sicura e guarderà con fiducia ai prossimi
quattro anni di pace e prosperità, liberi da atti
terrorismo e sabotaggi di alcun genere.
James Petras, ex Professore
di Sociologia alla Binghamton University, New York,
attivo da più di 50 anni in lotte di classe, è
consulente dei senzatetto e dei disoccupati in
Brasile e in Argentina ed è coautore di La
Globalizzazione Smascherata (Globalization
Unmasked-Zed Books). Il suo libro più recente è “La
Rivolta Araba e il contrattacco Imperialistico”.
É contattabile a questo indirizzo: jpetras@binghamton.edu
Altri articoli di James: http://petras.lahaine.org
Oppure visitate il suo or Sito Internet.
James Petras
Fonte: http://petras.lahaine.org
Link: http://petras.lahaine.org/?p=1908
26.08.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di
SKONCERTATA63