Abbiamo recentemente
pubblicato un post
intitolato
'Chi ha
paura del popolo?'
in cui abbiamo
affrontato i timori
dell'Amministrazione USA
e dell'estrema destra di
Miami per il contatto
dei cittadini degli
Stati Uniti con la gente
di Cuba.
Ora è un editoriale de
The Washington Post che
s'interroga per la paura
di coloro che decidono
della politica nei
confronti di Cuba a
partire dal
rifiuto dei visti
a diversi accademici
cubani che avrebbero
dovuto partecipare al
XXX Congresso di Studi
Latinoamericani
(LASA)
nella città di San
Francisco.
"Si
sentono minacciati gli
Stati Uniti da Milagros
Martinez, vicerettore
dell'Università de
L'Avana, che ha
continuato a sostenere
gli interscambi
accademici con le
università statunitensi?
O da Soraya Castro
Marino, una valente
specialista nelle
relazioni tra Cuba e gli
Stati Uniti?
O da Rafael Hernandez,
uno studioso ed editore
che ha insegnato nelle
università di Harvard e
Columbia" si chiede il
Post.
Per quanto riguarda la
presenza nel LASA, di
Mariela Castro,
direttrice del Centro
Nazionale di Educazione
Sessuale di Cuba (CENESEX),
che ha portato ad
attacchi di politici
della Florida e del
candidato repubblicano
Mitt Romney,
The Washington Post si
chiede: "da dove viene
l'assurda
protesta dei politici
cubani americani,
inclusi i membri del
Congresso, per
questionare sul visto
concesso a Mariela
Castro, figlia del
presidente cubano Raul
Castro, e difensore dei
diritti degli
omosessuali e
transessuali?
Che cosa gli provoca
così paura?"
La risposta, che
l'influente quotidiano
USA non dà, è molto
semplice: temono che la
gente negli Stati Uniti
riceva informazioni che
vadano oltre ciò che il
giornalista Tracey Eaton
descrive gentilmente
dicendo che "i media
negli Stati Uniti
danno una visione
incompleta di Cuba".
Infatti, tra questi
mezzi di comunicazione
c'è lo stesso Washington
Post.
Chi
ha paura del popolo?
17.05.2012
- Iroel Sanchez CubAhora
Il
presidente
degli Stati Uniti Bill
Clinton pose in vigore,
durante
il suo
mandato, la
cosiddetta strategia
"popolo a popolo" nei
confronti di Cuba,
consistente nel
mantenere intatto il
blocco
economico e permettere i
viaggi e l'invio delle
rimesse, per l'isola,
così come gli interscambi
con obiettivi culturali
o accademici di
cittadini statunitensi
organizzati da
istituzioni autorizzate
dal Dipartimento del
Tesoro.
Nel 2003, il presidente
George W.
Bush ha fatto marcia
indietro su questa
flessibilizzazione,
vietando entrambe le
cose in risposta agli
appelli dell'estrema
destra cubano-americana.
Il presidente Barack
Obama ha ristabilito,
nel 2009, le decisioni
di Clinton per quanto
riguarda
i cubani-americani e nel
2011 ha autorizzato le
licenze per viaggi di
accademici, giornalisti,
istituzioni religiose,
gruppi culturali e altre
organizzazioni che
possono avere uno scopo
distinto da quello
turistico per la loro
visita,
con l'obiettivo
dichiarato che questi
interscambi avrebbero
contribuito alla
politica del "cambio di
regime" che il governo
degli Stati Uniti ha
verso l'isola. I
viaggiatori - ad
eccezione di quelli con
parenti cubani - sono
soggetti a limiti di
spesa giornaliero e per
loro é vietato tornare
con souvenir o articoli
per la casa da Cuba.
E con al crescita del
flusso di persone
provenienti dagli Stati
Uniti già si dovrebbero
vedere i primi risultati
nel viaggio di Cuba
verso il luminoso futuro
progettato per lei dagli
strateghi del
capitalismo made in USA.
Ma, sembra che i
preoccupati per "popolo
a popolo" non sono nel
governo cubano, ma a
Washington e Miami.
In una rivelatrice
sinergia, l'attacco
terroristico
contro un'agenzia che
opera voli per Cuba, lo
scorso 27 aprile, di cui
ancora le autorità
statunitensi non hanno
un indagato, è stato
accompagnato, appena una
settimana dopo,
dell'annuncio del
Dipartimento del Tesoro
di
nuove restrizioni
per i viaggi
"popolo a popolo".
Le misure promulgate
comprendono l'invio di
un
rappresentante del
possessore della licenza
deve essere presente,
con funzione di polizia
ideologica, in ciascun
gruppo che viaggi per
l'isola e la vigilanza
per evitare contatti con
i rappresentanti del
governo cubano, con
multe fino a $ 65000 per
quelli che
trasgrediscono
il programma approvato
dalle autorità
statunitensi.
Tuttavia, le autorità
cubane - considerate
antidemocratiche dagli
USA - non hanno
espresso la loro
intenzione di realizzare
reciproche azioni per i
cittadini dell'isola che
cospirano con i
funzionari degli Stati
Uniti, multandoli con
parte dei dollari che
ricevono dal governo
USA.
Sotto le restrizioni
imposte è difficile che
i visitatori nord
americani siano in grado
di fornire lezioni di
democrazia ai cubani, ma
il senatore
Marco Rubio,
un rappresentante della
mafia terrorista cubano
americana al Congresso,
che ha fatto
pressione per le
restrizioni,
venuto a conoscenza
delle nuove misure
ha ribadito le sue
preoccupazioni al
riguardo "perché è
difficile da gestire e
prevenire gli abusi".
Di fronte a tale
reazione, è ovvio che la
percezione di alcuni è
che l'interscambio con i
cubani potrebbe portare
a un "cambio di regime"
negli USA, o almeno
influire nel cambiare la
politica verso l'isola.
Se con tali limitati
contatti "popolo
a popolo" hanno già
incominciato con
restrizioni e bombe a
voler far marcia
indietro sulle poche
opportunità che si sono
aperte tra i due paesi,
è il momento di
chiedersi dove sono
coloro che hanno paura
della libertà e dei
popoli di Cuba e degli
Stati Uniti.
The Washington Post
también pregunta si
EE.UU. le teme a los
cubanos
Iroel Sánchez
Hace poco publicamos un
post titulado ¿Quién le
tiene miedo al pueblo?
en el que abordábamos
los temores de la
Administración
norteamericana y la
ultraderecha de Miami
por el contacto de los
ciudadanos
estadounidenses con los
habitantes de Cuba.
Ahora es un editorial
del The Washington Post
el que se interroga por
el miedo de quienes
deciden en la política
hacia Cuba a partir de
la negativa de visas a
varios académicos
cubanos que debían
participar en el XXX
Congreso de la
Asociación de Estudios
Latinoamericanos (LASA)
en la ciudad de San
Francisco.
“¿Se siente amenazado
Estados Unidos por
Milagros Martínez,
vicerrectora de la
Universidad de La Habana,
quien no ha dejado de
abogar por intercambios
académicos con
universidades
estadounidenses? ¿O por
Soraya Castro Mariño,
una valiosa especialista
en las relaciones entre
Cuba y Estados Unidos?
¿O por Rafael Hernández,
un erudito y editor que
ha enseñado en las
universidades de Harvard
y Columbia?”, se
interroga el Post.
En cuanto a la presencia
en LASA, de Mariela
Castro, directora del
Centro Nacional de
Educación Sexual de Cuba
(CENESEX), que ha
motivado ataques de
políticos de La Florida
y del candidato
republicano Mitt Romney,
The Washington Post
pregunta: “¿a qué viene
la protesta absurda de
los políticos
cubanoamericanos,
incluyendo miembros del
Congreso, para
cuestionar la visa
otorgada a Mariela
Castro, hija del
presidente cubano Raúl
Castro y defensora de
los derechos de los
homosexuales y
transexuales? ¿Qué es lo
que provoca en ellos
tanto miedo?”
La respuesta, que el
influyente periódico
norteamericano no da, es
muy sencilla: temen que
las personas en Estados
Unidos reciban una
información que vaya más
allá de lo que el
periodista Tracey Eaton
describió suavemente al
decir que “los medios de
comunicación de los
EE.UU. dan una visión
incompleta de Cuba”. Por
cierto, entre esos
medios de comunicación
está el mismísimo The
Washington Post. (Publicado
en CubAhora)
¿Quién le tiene miedo al
pueblo?
Iroel Sánchez
El presidente
norteamericano William
Clinton puso en vigor
durante su mandato la
llamada estrategia
“pueblo a pueblo” hacia
Cuba, consistente en
mantener el bloqueo
económico intacto y
permitir los viajes y el
envío de remesas a la
Isla sin restricciones
para los
cubanoamericanos, así
como los intercambios
con objetivos culturales
o académicos de
ciudadanos
norteamericanos
organizados por
instituciones con
licencia del
Departamento del Tesoro.
En el año 2003, el
mandatario George W.
Bush dio marcha atrás a
esta flexibilización,
prohibiendo ambas cosas
en respuesta a los
reclamos de la
ultraderecha
cubanoamericana.
El presidente Barack
Obama restableció en
2009 las decisiones de
Clinton con respecto a
los cubanoamericanos y
en 2011 autorizó las
licencias para viajes de
académicos, de
periodistas,
instituciones religiosas,
grupos culturales, y
otras organizaciones que
puedan tener un fin
distinto al turismo para
su visita, con el
declarado objetivo de
que éstos intercambios
contribuirían a la
política de “cambio de
régimen” que el gobierno
de Estados Unidos tiene
hacia la Isla. Los
viajeros -excepto
aquellos con familiares
cubanos – están sujetos
a límites de gasto
diario y tienen
prohibido regresar con
souvenirs o bienes para
el hogar desde Cuba.
Y con el crecimiento del
flujo de personas
procedente de Estados
Unidos ya deberían
estarse viendo los
primeros resultados en
el viaje de Cuba hacia
el futuro luminoso
diseñado para ella por
los estrategas del
capitalismo made in USA.
Pero no, pareciera que
los preocupados por el
“pueblo a pueblo” no
están en el gobierno
cubano sino en
Washington y Miami.
En una reveladora
sinergia, el ataque
terrorista contra una
agencia que opera vuelos
a Cuba el pasado 27 de
abril, del que aún las
autoridades
norteamericanas no
tienen un sospechoso, ha
sido acompañado apenas
una semana después por
el anuncio del
Departamento del Tesoro
de nuevas restricciones
para los viajes “pueblo
a pueblo”. Las medidas
promulgadas incluyen el
envío de un acompañante
del operador de la
licencia con funciones
de policía ideológico en
cada grupo que viaje a
la Isla y la vigilancia
para evitar contactos
con representantes del
gobierno cubano, con
multas de hasta 65 000
dólares para quienes se
salgan del programa
aprobado por las
autoridades
norteamericanas. Sin
embargo, las autoridades
cubanas -consideradas
antidemocráticas por
EE.UU.- no han
manifestado su intención
de implementar acciones
recíprocas para los
ciudadanos de la Isla
que conspiran con
funcionarios
norteamericanos,
multándolos con parte de
los dólares que reciben
del gobierno
estadounidense.
Bajo las restricciones
impuestas es difícil que
los visitantes
norteamericanos puedan
brindar lecciones de
democracia a los cubanos
pero el senador Marco
Rubio, uno de los
representantes de la
mafia terrorista
cubanoamericana en el
Congreso, que ha estado
presionando por las
restricciones, al
conocer las nuevas
medidas reiteró sus
preocupaciones sobre el
tema, “porque es difícil
de manejar y evitar los
abusos”.
Ante tal reacción, es
obvio que la percepción
de algunos es que el
intercambio con los
cubanos pudiera
propiciar un “cambio de
régimen” en Estados
Unidos, o al menos
influir en la
modificación de su
política hacia la Isla.
Si con tan limitado
contacto “pueblo a
pueblo” ya han comenzado
con restricciones y con
bombas a querer dar
marcha atrás a las pocas
posibilidades que se han
abierto entre ambos
países, es hora
preguntarse dónde están
los que le tienen miedo
a la libertad y a los
pueblos de Cuba y
Estados Unidos. (Publicado
en CubAhora)