Anche The Washington Post si

chiede se gli USA temono i cubani

 

 

24.05.2012 - Iroel Sanchez CubAhora

 

 

Abbiamo recentemente pubblicato un post intitolato 'Chi ha paura del popolo?' in cui abbiamo affrontato i timori dell'Amministrazione USA e dell'estrema destra di Miami per il contatto dei cittadini degli Stati Uniti con la gente di Cuba.

Ora è un editoriale de The Washington Post che s'interroga per la paura di coloro che decidono della politica nei confronti di Cuba a partire dal
rifiuto dei visti a diversi accademici cubani che avrebbero dovuto partecipare al XXX Congresso di Studi Latinoamericani (LASA) nella città di San Francisco.

"Si sentono minacciati gli Stati Uniti da Milagros Martinez, vicerettore dell'Università de L'Avana, che ha continuato a sostenere gli interscambi accademici con le università statunitensi? O da Soraya Castro Marino, una valente specialista nelle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti? O da Rafael Hernandez, uno studioso ed editore che ha insegnato nelle università di Harvard e Columbia" si chiede il Post.

Per quanto riguarda la presenza nel LASA, di
Mariela Castro, direttrice del Centro Nazionale di Educazione Sessuale di Cuba (CENESEX), che ha portato ad attacchi di politici della Florida e del candidato repubblicano Mitt Romney, The Washington Post si chiede: "da dove viene l'assurda protesta dei politici cubani americani, inclusi i membri del Congresso, per questionare sul visto concesso a Mariela Castro, figlia del presidente cubano Raul Castro, e difensore dei diritti degli omosessuali e transessuali? Che cosa gli provoca così paura?"

La risposta, che l'influente quotidiano USA non dà, è molto semplice: temono che la gente negli Stati Uniti riceva informazioni che vadano oltre ciò che il giornalista Tracey Eaton descrive gentilmente dicendo che "i media negli Stati Uniti danno una visione incompleta di Cuba". Infatti, tra questi mezzi di comunicazione c'è lo stesso Washington Post.

 


Chi ha paura del popolo?
 


 

17.05.2012 - Iroel Sanchez CubAhora

 

 


Il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton pose in vigore, durante il suo mandato, la cosiddetta strategia "popolo a popolo" nei confronti di Cuba, consistente nel mantenere intatto il blocco economico e permettere i viaggi e l'invio delle rimesse, per l'isola, così come gli interscambi con obiettivi culturali o accademici di cittadini statunitensi organizzati da istituzioni autorizzate dal Dipartimento del Tesoro. Nel 2003, il presidente George W. Bush ha fatto marcia indietro su questa flessibilizzazione, vietando entrambe le cose in risposta agli appelli dell'estrema destra cubano-americana.

 

Il presidente Barack Obama ha ristabilito, nel 2009, le decisioni di Clinton per quanto riguarda i cubani-americani e nel 2011 ha autorizzato le licenze per viaggi di accademici, giornalisti, istituzioni religiose, gruppi culturali e altre organizzazioni che possono avere uno scopo distinto da quello turistico per la loro visita, con l'obiettivo dichiarato che questi interscambi avrebbero contribuito alla politica del "cambio di regime" che il governo degli Stati Uniti ha verso l'isola. I viaggiatori - ad eccezione di quelli con parenti cubani - sono soggetti a limiti di spesa giornaliero e per loro é vietato tornare con souvenir o articoli per la casa da Cuba.

E con al crescita del flusso di persone provenienti dagli Stati Uniti già si dovrebbero vedere i primi risultati nel viaggio di Cuba verso il luminoso futuro progettato per lei dagli strateghi del capitalismo made in USA. Ma, sembra che i preoccupati per "popolo a popolo" non sono nel governo cubano, ma a Washington e Miami.

In una rivelatrice sinergia, l'
attacco terroristico contro un'agenzia che opera voli per Cuba, lo scorso 27 aprile, di cui ancora le autorità statunitensi non hanno un indagato, è stato accompagnato, appena una settimana dopo, dell'annuncio del Dipartimento del Tesoro di nuove restrizioni per i viaggi "popolo a popolo". Le misure promulgate comprendono l'invio di un rappresentante del possessore della licenza deve essere presente, con funzione di polizia ideologica, in ciascun gruppo che viaggi per l'isola e la vigilanza per evitare contatti con i rappresentanti del governo cubano, con multe fino a $ 65000 per quelli che trasgrediscono il programma approvato dalle autorità statunitensi. Tuttavia, le autorità cubane - considerate antidemocratiche dagli USA - non  hanno espresso la loro intenzione di realizzare reciproche azioni per i cittadini dell'isola che cospirano con i funzionari degli Stati Uniti, multandoli con parte dei dollari che ricevono dal governo USA.

Sotto le restrizioni imposte è difficile che i visitatori nord americani siano in grado di fornire lezioni di democrazia ai cubani, ma il senatore
Marco Rubio, un rappresentante della mafia terrorista cubano americana al Congresso, che ha fatto pressione per le restrizioni, venuto a conoscenza delle nuove misure ha ribadito le sue preoccupazioni al riguardo "perché è difficile da gestire e prevenire gli abusi".

Di fronte a tale reazione, è ovvio che la percezione di alcuni è che l'interscambio con i cubani potrebbe portare a un "cambio di regime" negli USA, o almeno influire nel cambiare la politica verso l'isola. Se con tali limitati contatti "popolo a popolo" hanno già incominciato con restrizioni e bombe a voler far marcia indietro sulle poche opportunità che si sono aperte tra i due paesi, è il momento di chiedersi dove sono coloro che hanno paura della libertà e dei popoli di Cuba e degli Stati Uniti.

 

The Washington Post también pregunta si EE.UU. le teme a los cubanos

Iroel Sánchez

Hace poco publicamos un post titulado ¿Quién le tiene miedo al pueblo? en el que abordábamos los temores de la Administración norteamericana y la ultraderecha de Miami por el contacto de los ciudadanos estadounidenses con los habitantes de Cuba.

Ahora es un editorial del The Washington Post el que se interroga por el miedo de quienes deciden en la política hacia Cuba a partir de la negativa de visas a varios académicos cubanos que debían participar en el XXX Congreso de la Asociación de Estudios Latinoamericanos (LASA) en la ciudad de San Francisco.

“¿Se siente amenazado Estados Unidos por Milagros Martínez, vicerrectora de la Universidad de La Habana, quien no ha dejado de abogar por intercambios académicos con universidades estadounidenses? ¿O por Soraya Castro Mariño, una valiosa especialista en las relaciones entre Cuba y Estados Unidos? ¿O por Rafael Hernández, un erudito y editor que ha enseñado en las universidades de Harvard y Columbia?”, se interroga el Post.

En cuanto a la presencia en LASA, de Mariela Castro, directora del Centro Nacional de Educación Sexual de Cuba (CENESEX), que ha motivado ataques de políticos de La Florida y del candidato republicano Mitt Romney, The Washington Post pregunta: “¿a qué viene la protesta absurda de los políticos cubanoamericanos, incluyendo miembros del Congreso, para cuestionar la visa otorgada a Mariela Castro, hija del presidente cubano Raúl Castro y defensora de los derechos de los homosexuales y transexuales? ¿Qué es lo que provoca en ellos tanto miedo?”

La respuesta, que el influyente periódico norteamericano no da, es muy sencilla: temen que las personas en Estados Unidos reciban una información que vaya más allá de lo que el periodista Tracey Eaton describió suavemente al decir que “los medios de comunicación de los EE.UU. dan una visión incompleta de Cuba”. Por cierto, entre esos medios de comunicación está el mismísimo The Washington Post. (Publicado en CubAhora)


¿Quién le tiene miedo al pueblo?

Iroel Sánchez

El presidente norteamericano William Clinton puso en vigor durante su mandato la llamada estrategia “pueblo a pueblo” hacia Cuba, consistente en mantener el bloqueo económico intacto y permitir los viajes y el envío de remesas a la Isla sin restricciones para los cubanoamericanos, así como los intercambios con objetivos culturales o académicos de ciudadanos norteamericanos organizados por instituciones con licencia del Departamento del Tesoro. En el año 2003, el mandatario George W. Bush dio marcha atrás a esta flexibilización, prohibiendo ambas cosas en respuesta a los reclamos de la ultraderecha cubanoamericana.

El presidente Barack Obama restableció en 2009 las decisiones de Clinton con respecto a los cubanoamericanos y en 2011 autorizó las licencias para viajes de académicos, de periodistas, instituciones religiosas, grupos culturales, y otras organizaciones que puedan tener un fin distinto al turismo para su visita, con el declarado objetivo de que éstos intercambios contribuirían a la política de “cambio de régimen” que el gobierno de Estados Unidos tiene hacia la Isla. Los viajeros -excepto aquellos con familiares cubanos – están sujetos a límites de gasto diario y tienen prohibido regresar con souvenirs o bienes para el hogar desde Cuba.

Y con el crecimiento del flujo de personas procedente de Estados Unidos ya deberían estarse viendo los primeros resultados en el viaje de Cuba hacia el futuro luminoso diseñado para ella por los estrategas del capitalismo made in USA. Pero no, pareciera que los preocupados por el “pueblo a pueblo” no están en el gobierno cubano sino en Washington y Miami.

En una reveladora sinergia, el ataque terrorista contra una agencia que opera vuelos a Cuba el pasado 27 de abril, del que aún las autoridades norteamericanas no tienen un sospechoso, ha sido acompañado apenas una semana después por el anuncio del Departamento del Tesoro de nuevas restricciones para los viajes “pueblo a pueblo”. Las medidas promulgadas incluyen el envío de un acompañante del operador de la licencia con funciones de policía ideológico en cada grupo que viaje a la Isla y la vigilancia para evitar contactos con representantes del gobierno cubano, con multas de hasta 65 000 dólares para quienes se salgan del programa aprobado por las autoridades norteamericanas. Sin embargo, las autoridades cubanas -consideradas antidemocráticas por EE.UU.- no han manifestado su intención de implementar acciones recíprocas para los ciudadanos de la Isla que conspiran con funcionarios norteamericanos, multándolos con parte de los dólares que reciben del gobierno estadounidense.

Bajo las restricciones impuestas es difícil que los visitantes norteamericanos puedan brindar lecciones de democracia a los cubanos pero el senador Marco Rubio, uno de los representantes de la mafia terrorista cubanoamericana en el Congreso, que ha estado presionando por las restricciones, al conocer las nuevas medidas reiteró sus preocupaciones sobre el tema, “porque es difícil de manejar y evitar los abusos”.

Ante tal reacción, es obvio que la percepción de algunos es que el intercambio con los cubanos pudiera propiciar un “cambio de régimen” en Estados Unidos, o al menos influir en la modificación de su política hacia la Isla. Si con tan limitado contacto “pueblo a pueblo” ya han comenzado con restricciones y con bombas a querer dar marcha atrás a las pocas posibilidades que se han abierto entre ambos países, es hora preguntarse dónde están los que le tienen miedo a la libertad y a los pueblos de Cuba y Estados Unidos. (Publicado en CubAhora)