Il futuro della comunità cubano-americana

 

e le relazioni con Cuba

 

 

 

10 giugno 2012 - Jesus Arboleya Cervera Progreso Semanal

 

 

 

Si parla molto dei cambiamenti che stanno avendo luogo nella comunità cubano-americana in seguito all'arrivo di "nuovi immigrati" e, come tale, vengono enfatizzate le loro differenze con il cosiddetto "esilio storico", fino ad ora base politica dei settori dominanti dell'estrema destra.

 

Tale conclusione non è più vera. Evidentemente, i nuovi immigrati rispondono a origini classiste e storiche diverse dai loro predecessori, quindi il loro crescente peso demografico  nell'insieme cubano americano ora si esprime nei loro orientamenti politici, con particolare riguardo ai rapporti con Cuba. Non per nulla che l'estrema destra sta proponendo modificare anche la Legge di Aggiustamento Cubano, al fine di limitare il loro impatto nella vita politica di Miami.

 

Tuttavia, a mio parere, il cambiamento fondamentale nella composizione della comunità cubano-americana e che a breve termine promette grandi cambiamenti nella sua struttura e manifestazioni culturali e politiche non sta nei nuovi immigrati, ma in fattori endogeni espressi nel fatto che circa la metà dei componenti di questa comunità sono nati negli Stati Uniti.

 

A differenza dei nuovi immigrati, che generalmente ancora sono nel lungo processo di integrazione nella società USA e, di conseguenza, sono economicamente svantaggiati e hanno meno influenza nella politica locale, quelli nati negli Stati Uniti costituiscono un gruppo dinamico della comunità cubano-americana.

 

La composizione per età della seconda e terza generazione di immigrati cubani include dai neonati fino  alle persone che arrivano ai cinquanta anni, quindi si tratta di un gruppo relativamente giovane, in pieno sviluppo, che tende a imporre la sua impronta nell'immediato futuro della comunità cubano-americana, in grado di trasformare molti modelli che ancora la caratterizzano.

 

Un 41% delle persone in età lavorativa occupano posti di lavoro nella scala superiore del mercato del lavoro e solo il 12% vive sotto la soglia di povertà, conformando il gruppo più favorito nella scala sociale della comunità. A cui si aggiunge che nella sua interezza sono cittadini statunitensi, mentre ha questa condizione solo il 25% dei nuovi immigrati, il che significa che già oggi costituiscono la maggioranza dei potenziali elettori o sono destinati ad esserlo.

 

L'emergere di nuovi politici cubano americani riflette anche il crescente ruolo di questa generazione nella vita politica locale, anche se ancora non sono rappresentativi di rinnovati atteggiamenti politici, ma continuatori delle tradizioni che hanno caratterizzato i loro predecessori. La ragione di questa discrepanza è che il loro venire alla luce è passato attraverso i tradizionali apparati politici, legati ai settori più conservatori del paese.

 

Non é possibile affermare, quindi, che l'impatto di queste generazioni implicherà un movimento automatico a sinistra. In breve sono, per lo più, i discendenti diretti dell' "esilio storico" e questa influenza ha segnato la loro vita in molti sensi. Neppure sono alieni ad una dinamica politica che, basata sul confronto con Cuba, li ha beneficiati; alle correnti  neo-conservatrici che hanno influenzato tutta la società USA e il particolare rapporto di Miami con l'oligarchia latino-americana e le aziende transnazionali USA che operano nella regione.

 

Tuttavia, ci sono indicatori che mostrano un certo distanziamento dalle posizioni assunte dai loro genitori e nonni, in quanto sono l'unico segmento della comunità cubano-americana in grande maggioranza democratica, un indicatore che non mostrano neppure i nuovi immigrati. Se nel 2008 Obama ha ottenuto il 35% del voto cubano-americano ciò è stato, in parte, dovuto al fatto che lo fece  quasi  il 65% di quelli tra i 18 e 29 anni, la maggior parte dei quali dovrebbe corrispondere a coloro che sono nati in quel paese.

 

Mentre la differenza tra repubblicani e democratici ha perso rilevanza in gran parte della società USA, questo non è il caso della comunità cubano-americana, dove serve a differenziare, in larga misura, i confini politici, dal momento che intorno all'affiliazione repubblicana si é praticamente costruita la macchina dell'estrema destra, e questo è un elemento chiave di differenziazione dei cubano americani dal resto dei Latinos, come espressione simbolica della loro riluttanza al miglioramento delle relazioni e i contatti con Cuba, un aspetto dove anche appaiono marcate differenze.

 

Nel 2011, il Cuban Research Institute (CRI) ha presentato i risultati di un'ampiamente commentata indagine sugli atteggiamenti politici della comunità cubano-americana, dove il 71% di coloro che sono nati negli Stati Uniti appoggiano il ripristino delle relazioni degli Stati Uniti con Cuba, una percentuale pressoché identica a quella di coloro che emigrarono dopo il 1994 e ben al di sopra della media cubano americana (58%).

 

E' chiaro che per questo segmento di popolazione cubano americana, Cuba rappresenta qualcosa di diverso da ciò che è stato sia per l' "esilio storico" ​​come per i "nuovi immigrati". Tuttavia, molti indicatori mostrano che esiste un interesse per il contatto con le loro origini e che le relazioni con il popolo cubano possono essere maggiori di quanto possiamo supporre, anche se la maggior parte di loro non ha neppure visitato il paese. Infatti, si stima che il 47% invia rimesse alle loro famiglie, secondo l'inchiesta del CRI, il 44% afferma essere disposti a investire a Cuba, quando ciò fosse possibile.

 

Anche se dato il numero di variabili in gioco è difficile prevedere l'evoluzione che avrà questo processo, risulta evidente che siamo in presenza di una nuova situazione storica, dato che la società cubana ha subito un'evoluzione simile e la maggior parte dei suoi cittadini non era nato quando trionfò la Rivoluzione.

 

Così saranno le nuove generazioni quelle incaricate di determinare il futuro delle relazioni tra cubani e cubano-americani e di sicuro lo faranno a loro "immagine e somiglianza".

 

 

El futuro de la comunidad cubanoamericana y las relaciones con Cuba

Jesús Arboleya Cervera

Mucho se habla de los cambios que están teniendo lugar en la comunidad cubanoamericana como resultado de la llegada de los “nuevos emigrados” y, en tal sentido, se enfatizan sus diferencias con el llamado “exilio histórico”, hasta ahora base política de los sectores dominantes de la extrema derecha.

Tal conclusión no deja de ser cierta. Evidentemente, los nuevos emigrados responden a orígenes clasistas e históricos distintos a sus antecesores, por lo que su creciente peso demográfico en el conjunto cubanoamericano ya se expresa en sus inclinaciones políticas, particularmente en lo referido a las relaciones con Cuba. No es por gusto que la extrema derecha esté proponiendo modificar incluso la Ley de Ajuste Cubano, con tal de limitar su impacto en la vida política miamense.

Sin embargo, en mi opinión, el cambio fundamental en la composición de la comunidad cubanoamericana y lo que a corto plazo augura cambios relevantes en su estructura y manifestaciones culturales y políticas no radica en los nuevos emigrados, sino en factores endógenos, expresados en el hecho de que cerca de la mitad de los componentes de esa comunidad son nacidos en Estados Unidos.

A diferencia de los nuevos emigrados, que por lo general aún transitan el largo proceso de integración a la sociedad norteamericana y, por tanto, son los menos favorecidos económicamente y los que menor influencia tienen en la política local, los nacidos en Estados Unidos constituyen el grupo más dinámico de la comunidad cubanoamericana.

La composición etaria de la segunda y tercera generación de inmigrantes cubanos abarca desde los recién nacidos, hasta personas que ya arriban a los cincuenta años, por lo que se trata de un grupo relativamente joven, en pleno desarrollo, que tiende a imponer su impronta en el futuro inmediato de la comunidad cubanoamericana, pudiendo transformar muchos patrones que aún la caracterizan.

Un 41 % de los que se encuentran en edad laboral ocupan empleos en la escala superior del mercado del trabajo y solo el 12 % vive por debajo del nivel de pobreza, conformando el grupo más favorecido en la escala social del conjunto. A lo que se suma que en su totalidad son ciudadanos norteamericanos, mientras que apenas tiene esta condición un 25 % de los nuevos emigrados, lo que implica que ya hoy constituyen la mayoría de los potenciales votantes o están abocados a serlo.

La emergencia de nuevos políticos cubanoamericanos también refleja el creciente papel de esta generación en la vida política local, a pesar de que aún no son representativos de renovadas actitudes políticas, sino continuadores de las tradiciones que han caracterizado a sus antecesores. La razón de este desfase, es que su ascenso ha sido a través de las maquinarias políticas tradicionales, vinculadas con los sectores más conservadores del país.

No es posible afirmar, por tanto, que el impacto de estas generaciones implicará un movimiento automático hacia la izquierda. En definitiva son, en su mayoría, los descendientes directos del “exilio histórico” y esta influencia ha marcado sus vidas en muchos sentidos. Tampoco son ajenos a una dinámica política que, basada en el enfrentamiento con Cuba, los ha beneficiado; a las corrientes neoconservadoras que han influido en toda la sociedad norteamericana y a la relación especial de Miami con la oligarquía latinoamericana y las empresas transnacionales norteamericanas que operan en la región.

Sin embargo, existen indicadores que demuestran cierto distanciamiento de las posiciones sostenidas por sus padres y abuelos, ya que son el único segmento de la comunidad cubanoamericana mayoritariamente demócrata, un indicador que ni siquiera muestran los nuevos emigrados. Si en 2008 Obama obtuvo un 35% del voto cubanoamericano, se debió en parte a que así lo hizo un 65% de aquellos comprendidos entre las edades de 18 y 29 años, la mayoría de los cuales debe corresponder a los que nacieron en ese país.

Si bien la diferencia entre republicanos y demócratas ha perdido relevancia en buena parte de la sociedad norteamericana, este no es el caso de la comunidad cubanoamericana, donde sirve para diferenciar, en buena medida, las fronteras políticas, toda vez que alrededor de la afiliación republicana se ha construido básicamente la maquinaria de la extrema derecha y ello constituye tanto un aspecto diferenciador de los cubanoamericanos respecto al resto de los latinos, como expresión simbólica de su reticencia al mejoramiento de las relaciones y los contactos con Cuba, un aspecto donde también aparecen marcadas diferencias.

En 2011, el Cuban Research Institute (CRI) presentó los resultados de una muy comentada encuesta relativa a las actitudes políticas de la comunidad cubanoamericana, donde el 71 % de los nacidos en Estados Unidos apoyó restablecer las relaciones de Estados Unidos con Cuba, un porciento casi idéntico al de los que emigraron después de 1994 y muy superior a la media cubanoamericana (58 %).

Está claro que para este segmento poblacional cubanoamericano, Cuba representa algo distinto a lo que ha sido tanto para el “exilio histórico” como para los “nuevos emigrados”. No obstante, diversos indicadores muestran que existe interés por el contacto con sus orígenes y que las relaciones con el pueblo cubano pueden ser mayores a las que podemos suponer, aunque la mayoría de ellos ni siquiera ha visitado el país. De hecho, se calcula que el 47 % envía remesas a sus familiares y, según la encuesta del CRI, un 44 % plantea estar dispuesto a invertir en Cuba cuando esto sea posible.

Aunque dada la cantidad de variables que intervienen en el mismo, es difícil pronosticar la evolución que tendrá este proceso, resulta evidente que estamos en presencia de una situación histórica nueva, toda vez que la sociedad cubana ha transitado por una evolución similar y la mayoría de sus ciudadanos no había nacido cuando triunfó la Revolución.

Entonces serán las nuevas generaciones las encargadas de determinar el futuro de las relaciones entre cubanos y cubanoamericanos y con seguridad lo harán a su “imagen y semejanza”. (Tomado de Progreso Semanal)