Eravamo, siamo e
saremo i Cinque
13.05 -
Quel 12
settembre, senza aggettivi che lo possano
definire nella sua violenza, fui l’ultimo ad
arrivare a Mimi e quindi l’ultimo ad essere
sistemato in una cella terribilmente fredda, con
una materasso in cattivo stato, una coperta e un
rotolo di carta igienica; tutti eravamo isolati.
Il silenzio era
terribile in quel tredicesimo piano del Centro
di Detenzione di Miami.
Per un istinto
puramente animale, uno comincia ad andare avanti
e indietro in quello spazio ridotto. Ogni tanto
mi fermavo a guardare nello stretto vetro della
porta metallica, dove costantemente ci vigilava
una guardia, facendo la ronda.
Nella cella
davanti alla mia, laterale per me, vedevo un
uomo che a sua volta ogni tanto guardava dal
finestrino. Una viso barbuto, austero, il petto
nudo, e mi chiedevo: “Ma chi sarà questo t.ipo,
non ha freddo?”
Era René, ma
ancora non lo conoscevo.
In quei primi
giorni sui quali c’è molto da raccontare, ci
fecero scendere, lui ed io, alla Sala della
Corte. Lì dovevamo dichiararci innocenti o
colpevoli, che nel nostro caso era dichiararsi
degni o indegni, onesti o disonesti, leali o
traditori.
Noi due eravamo
molto sicuri della nostra innocenza, ma c’era
uno, che nemmeno conoscevo, che si sarebbe
dichiarato colpevole.
Ognuno,
separatamente, fu portato davanti al giudice, ma
René lesse il tradimento sul viso d quel
tipaccio che cercava d’ingannare con una storia.
Poi René mi
disse: “Devo parlare con quel tipo”. Io gli
chiesi solo di stare calmo.
E così lo
conobbi.
Così diventammo i
Cinque, fratelli.
Per questo la sua
libertà è la nostra libertà, il suo dolore e la
sua felicità sono anche nostri.
Per questo la
nostra ingiusta prigione continuerà ad essere la
sua prigione.
Per questo
eravamo, siamo e saremo i Cinque, dove si fonde
un solo uomo, un cubano come milioni di
compatrioti, fedele al suo popolo e alla sua
Patria.
Tony Guerrero
Rodríguez
10 maggio del
2013
Prigione Federale
di Marianna.
Adesso siamo più liberi,
afferma
Gerardo Hernández
10.05 -
Avrebbe potuto usare gli stessi pretesti di coloro che, molto presto, avevano
deciso di dichiararsi colpevoli e di cooperare con le autorità: Dopo lunghi anni
di separazione, ormai aveva vicine Olga e Irmita, e aveva potuto godere per
appena quattro mesi della neonata Ivette. Che fare? Attaccarsi ai principi,
lasciarle sole, tutte e tre, in un paese straniero e affrontare di nuovo anni di
separazione? O ‘negoziare’ e dare quello che gli chiedevano in cambio del
perdono e di una nuova vita? Nella sua mente non c’è mai stato il minimo dubbio,
e nella sua condotta non ha mai vacillato.
I pubblici ministeri sapevano molto bene di avere molto poco contro di lui, e
hanno cercato di toglierlo di mezzo con delle offerte. Ci sono rimasti mali
quando lui gli ha cantato “El necio” [la canzone di Silvio Rodríguez che
riafferma le ragione per scegliere di rimanere fedeli alla Rivoluzione], e si
sono accaniti. Nessuno lo ha visto piangere quando allontanarono Olga dalle
bambine e la gettarono in una cella. Lo avrà fatto in silenzio, come abbiamo
fatto tutti noi per l’indignazione e il dolore quando questa notizia ci ha
colpito ma in lui non abbiamo mai notato il più piccolo cedimento. Ha scontato
con dignità ogni giorno della sua condanna ed è uscito a fronte alta, così come
era entrato, ma gli sarebbe toccato di soffrire ancora in solitudine la perdita
del fratello e del padre.
Oggi abbiamo saputo che René è a Cuba e ci rimane. Oggi ognuno dei Cinque è un
poco più libero. Una parte di noi cammina per le strade dell’Isola e possiamo
quasi respirarne l’aria, bruciarci al suo sole.
Qualcuno mi ha chiesto: come chiamarci adesso che non siamo più cinque, ma
quattro. Sbagliato! Siamo cinque e continueremo ad essere cinque! Se oggi
dobbiamo continuare la lotta non è solo per gli altri quattro, è anche per René,
perché lo conosciamo e sappiamo che lui non sarà davvero libero fino a quando
non saremo tutti ritornati in Patria. La differenza è che questa battaglia, che
per noi Cinque è fino alla fine, da oggi conta con un nuovo portabandiera.
Auguri, René! I tuoi quattro fratelli festeggiano conte, orgogliosi!
Gerardo
Hernández Nordelo
Prigione Federale di Victorville. California
3 maggio 2013
Ramón Labañino
saluta la presenza a Cuba di René
08.05 - Ramón
Labañino, uno degli antiterroristi cubani
condannati e reclusi negli USA, ha detto che con
la presenza di René González, uno dei suoi
compagni, nella sua Patria è come "se una parte
di noi già stesse a casa".
Quando ha
conosciuto la notizia che la giudice Joan Lenard
ha accettato il 3 maggio di modificare la liberà
vigilata di González, permettendogli di rimanere
in Cuba in cambio della rinuncia della sua
cittadinanza statunitense, Labañino ha inviato
un messaggio dalla prigione di Ashland, nello
stato del Kentucky.
“Era ora dopo
tante dilazioni e ingiustizie”, ha affermato.
Labañino,
condannato nel 2001 all’ergastolo più 18 anni e
sentenziato di nuovo nel 2009 a 30 anni di
carcere, ha detto che lui, come Gerardo
Hernández, Antonio Guerrero e Fernando González,
si sentono meglio sapendo che la vita del loro
compagno non sarà più in pericolo, in uno
scenario circondato da tutte le minacce che
conosciamo.
René González è
uscito dalla prigione di Marianna, in Florida,
nell’ ottobre del 2011 dopo aver scontato la sua
condanna e da allora aveva dovuto restare nel
territorio statunitense per scontare altri tre
anni di libertà vigilata.
Labañino ha
espresso il suo ottimismo e ha detto che piu
presto che tardi il resto del gruppo tornerà a
casa.
“Renè è la nostra
avanzata. Lui porta l’abbraccio e l’affetto dei
cinque a tutti voi.
Nella sua
presenza siamo tutti e cinque in ogni azione che
realizzerà per il bene di Cuba e l’umanità,
nelle sue nuove responsabilità e nei compiti,
nelle sue nuove missioni e nei sogni. Lui starà
lì sino che finalmente i Cinque c’ incontreremo
liberi in quella terra che tanto amiamo”, ha
aggiunto.
“Siamo colmi
d’allegria. L’amore e la verità vincono sempre
sulle ingiustizie”, ha sottolineato nel testo
diffuso dal Comitato Internazionale per la
libertà dei Cinque combattenti contro il
terrorismo. |
Come può un uomo
trasformarsi in Eroe? L’interrogativo viene chiarito da René
González Sehwerert. Non ci sono in lui poteri soprannaturali
e non ha una superstruttura di risorse belliche, è tutto
nella sua anima, nei valori speciali su cui si basa.
Ieri, mentre osservavo attentamente le sue maniere e le sue
espressioni di uomo umile e genuino durante la sua
partecipazione alla ‘Mesa Redonda’, mi tornavano in mente a
raffica una serie di immagini: la durezza di una cella, la
convivenza con una popolazione penale, la nostalgia per
tutte le abitudini della casa, il sacrificio della famiglia,
l’interezza di un paese che non lo ha lasciato abbandonato
alla sua sorte… e mi è scesa una lacrima.
Poi l’animo si è ricomposto, perché questo è ciò che si
prova di fronte agli eroi. Uno sente, di fronte a loro che
non ha diritto a essere debole, né a guardare le cose con
pessimismo, perché essi ispirano la necessità della
crescita, del miglioramento.
Mi sono soffermata sul suo sorriso timido;
sull’intelligenza, sulla forza e onestà delle sue parole;
sul tono dolce delle sue espressioni; sulle pause dei suoi
gesti; sui principi che lo sostengono; sulla forza di essere
innamorato… E mi sono detta: quest’uomo si merita Cuba, come
questa terra merita di avere figli come lui.
IL
RITORNO
Quando penso a tutti i passi che sono stati fatti per il
ritorno di René, ricordo l’ultima lettera di José Martí al
suo amico Mercado… e ho anche la conferma del codice etico
della politica cubana.
Dalla stampa abbiamo saputo, con le parole esatte e
necessarie, che dallo scorso 3 maggio la giudice Joan Lenard,
della Florida, aveva accettato la richiesta presentata
dall’antiterrorista per la modifica delle condizioni della
sua libertà vigilata e rimanere a Cuba, in cambio della sua
rinuncia volontaria alla cittadinanza statunitense.
Il giorno precedente, il Governo degli Stati Uniti aveva
comunicato alla Corte che non si opponeva a tale richiesta.
Tutto questo si è catalizzato nei 15 giorni che René ha
chiesto venire a La Habana, in seguito alla morte di suo
padre. L’Eroe ha spiegato che la condizione di libertà
vigilata ti permette che, se hai un problema nel tuo paese
di origine, tu possa andare.
“Le leggi nordamericane prevedono che la rinuncia alla tua
cittadinanza non puoi farla da suolo degli Stati Uniti,
perciò in questa occasione la Procura non si poteva opporre
più a questa domanda”, ha detto.
A questo spazio radiotelevisivo René è arrivato dopo che
giovedì scorso gli è stato consegnato il Certificato di
Perdita di Nazionalità degli Stati Uniti, documento
rilasciato dal Dipartimento di Stato di quel paese
settentrionale, per potere rimanere a Cuba.
Adesso René che ha subito 13 anni di reclusione in carceri
nordamericane e da ottobre del 2012 si trova in regime di
libertà vigilata, come ha spiegato, finalmente potrà
scontare il resto dell’ingiusta sentenza nella sua patria,
insieme ai suoi familiari.
L’Eroe della Repubblica di Cuba ha anche detto che “la
giudice si è pronunciata a favore della nostra richiesta di
rinuncia, ma ancora manca che si modifichi la libertà
vigilata. Joan Lenard deve tornare a pronunciarsi, benché il
mio avvocato Phillip Horowittz, consideri che la conclusione
debba essere positiva”.
Adesso il suo avvocato deve fare una rapporto sullo status
e, a partire da lì, resta solo da aspettare la decisione
legale che deve avvenire prima del 23 maggio.
René ha aggiunto che la sua libertà a Miami era una specie
di reclusione, determinata dalle circostanze, e che non gli
garantiva sicurezza sulla sua integrità fisica e morale.
Ha sottolineato inoltre che le procedure sono state portate
avanti con molta diligenza nell’Ufficio di Interessi
nordamericano a Cuba. L’Eroe ha precisato che questa sarà
una libertà vigilata senza limitazioni, come pure che
sarebbe libero mentre resta fuori del territorio
nordamericano.
FRATELLI
Non voglio riferirmi alla
forza del sangue, ma a quella del sentimento. All’improvviso
si resero conto che non erano soli, ma che erano Cinque. E
Gerardo, che è arrivato a chiedere a loro di assumersi lui
tutte le colpe per le quali li avrebbero processati in un
giudizio politicizzato a Miami, gli parlò della canzone ‘El
necio’, di Silvio Rodríguez.
A René piacque tanto quando la cantò, che gli chiese che
gliela scrivesse su un foglietto (manoscritto che dopo quasi
15 anni conserva ancora). Ma non fece in tempo a imparare la
musica, e Gerardo, dal grigiore di una cella, incominciò a
fischiargliela.
È così che questo tema si è trasformato in Inno per loro,
perché ovviamente, si riconoscevano, si vedevano
rispecchiati in ogni verso, e stavano lì: decisi a morire
come avevano vissuto.
Questo è un aneddoto tra i tanti, ma che abbiamo appreso con
emozione per essere stato raccontato dallo stesso René,
perché i suoi prossimi giorni non avranno altro proposito
che quello di ottenere che i suoi altri quattro fratelli
siano di ritorno nella loro patria.
Perciò non ci sarà ridefinizione nella causa: “Continueremo
a essere Cinque, finché rimane uno a sopportare
l’ingiustizia di quelle grate”, ha detto il compatriota.
Nessuno come René conosce le angosce più intime che si
affrontano, per questo si sente nella pelle di Gerardo, di
Ramón, di Fernando e di Antonio, per questo abbiamo
avvertito che la sua felicità, anche sapendosi quasi sul
punto di essere libero, non è completa.
“Siamo cinque e questa lotta non può finire fino a quando il
quinto non ritorni a Cuba, dobbiamo continuare a lottare con
la stessa forza e continueremo a ostentarlo così”, ha
ripetuto con enfasi.
La bandiera della loro causa continuerà a essere la stessa:
“Uno si sente carcerato fino a che gli altri quattro non
saranno qui con noi”, ha commentato, mentre diceva che
questo paese ha bisogno di loro, le loro famiglie, loro
stessi devono essere qui quanto prima.
Ha anche posto l’enfasi sul fatto che la battaglia
principale la dobbiamo vincere con la società nordamericana
che non ha coscienza né conoscenza di quello che è successo
con loro, per la stessa manipolazione del processo.
Nel frattempo, il dolore e la felicità di Gerardo, Fernando,
Antonio e Ramón, ha riferito, saranno anche i miei.
|
Da ieri alle 2:00 pm Renè Gonzalez Sewherert è
solo un patriota cubano. A quell’ora ha ricevuto
nell’Ufficio di Interessi degli Stati Uniti a L’Avana il
documento che certifica la sua rinuncia alla
cittadinanza nordamericana. Così ha detto Renè in una
conferenza stampa nel Centro di Stampa Internazionale la
mattina di questo venerdì.
Ora, Renè Gonzalez, che ha sofferto 13 anni di
cattività nelle carceri nordamericane e da ottobre del
2011 si trova sotto il regime di libertà vigilata,
potrebbe compiere il resto della sentenza nella sua
patria, insieme ai suoi parenti, senza necessità di
ritornare negli Stati Uniti.
A dispetto di ciò ed all’allegria di vivere i suoi
ultimi giorni a L’Avana, l’Eroe della Repubblica di Cuba
non si considera libero, né formalmente, né
spiritualmente.
“La giudice ha ceduto a beneficio della nostra
petizione di rinuncia, ma ancora manca che si modifichi
la libertà vigilata, per questo dico che non mi sento
ancora libero. La giudice deve tornare a pronunciarsi,
benché i miei avvocati considerino che la conclusione
deve essere positiva.
“E, anche, perché non sarò libero fino a che i miei
quattro fratelli, gli eroi Antonio, Fernando, Ramon e
Gerardo, stiano qui con noi”, ha detto Gonzalez
Sehwerert.
“Lotto per la nostra causa, da qualunque trincea;
bisogna continuare a divulgare questa ingiustizia e,
soprattutto, diffonderla nell’opinione pubblica degli
Stati Uniti”, ha precisato.
“Adesso sono un cittadino cubano, un patriota dell’Isola,
come sono sempre stato, ma questo non significa che provo
rancori verso il popolo o il paese dove sono nato”, ha
dichiarato in una conferenza stampa.
“Stare a Cuba non significa per niente essere libero, perchè
non lo sarò sino a quando i miei quattro compagni, Gerardo
Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero e Fernando
González rimarranno prigionieri, solo per aver salvato la
vita di molti innocenti, cioè il loro bene più prezioso”.
“È il momento di ricordare al mondo che continuiamo ad
essere Cinque, come il primo giorno, e nello stesso tempo
siamo uno” ha sottolineato.
“Non mi sentirò libero sino a che anche loro non torneranno
con le loro famiglie, con il popolo”, ha aggiunto.
“Continuerò la lotta per la loro scarcerazione da qualsiasi
trincea, per far sì che il mondo conosca questo caso, sorto
per via della smania di qualcuno che per difendere i suoi
terroristi ha messo noi dietro le sbarre”.
Offrendo dettagli su quest’ultimo processo, René ha spiegato
che adesso si deve aspettare che la giudice si pronunci,
anche se i suoi avvocati sperano che Joan Lenard permetta la
sua permanenza definitiva nell’Isola.
“Questa mozione, la richiesta della perdita della
nazionalità statunitense è stata presentata nel luglio
dell’anno scorso, ma le autorità non avevano fiducia e non
credevano che se io venivo a Cuba, avrei davvero rinunciato
alla cittadinanza.
Non si tratta di un’azione di generosità da parte degli USA,
in realtà non avevano pretesti per non accettare la mia
domanda di perdita della cittadinanza nordamericana per
venire definitivamente a Cuba, perchè secondo loro io sono
una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”,
ha aggiunto René González.
Poi ha ringraziato a nome dei suoi compagni per la
solidarietà espressa in differenti scenari dal presidente
dell’Ecuador, Rafael Correa, che ha considerato un uomo
degno dell’America Latina.
“Anche se ci sono interessi per stimolare l’abbandono della
campagna per liberazione dei Cinque, non ci riusciranno e
noi ora dobbiamo rinforzare la battaglia e gli sforzi per
far conoscere questo caso allo statunitense medio”, ha
precisato.
Alla domanda se la giudice Joan A. Lenard ha un
termine per emettere una sentenza, ha risposto che il
suo avvocato deve fare una notizia di status ed, a
partire da questo momento, bisogna solo aspettare la
decisione legale.
Renè ha affermato, inoltre, che non sente nessuna
felicità per rinunciare alla sua cittadinanza. La sua
decisione, come ha affermato, si deve a due ragioni
primordiali.
Una, perché la sua libertà a Miami era una
specie di reclusione, forzata dalle circostanze, in una
“gabbia d’oro”, senza garanzie per la sua integrità
fisica e morale.
Due, e lo ha sottolineato come la più importante,
dovuto alla necessità di cercare di recuperare gli anni
che lo hanno separato da sua moglie e figlie. “Questa
era una priorità nella mia vita”, ha sottolineato al
riguardo.
Dopo aver precisato che nel suo caso non c’è stato un
gesto umanitario della giustizia nordamericana, “tutto
il contrario”, Renè Gonzalez ha fatto una parentesi
nella sua comparizione per ringraziare il popolo cubano.
“L’affetto della gente si manifesta in modo
incredibile, è qualcosa molto sorprendente. Non credo di
meritare tanto, ma questa mia Cuba ha un popolo generoso
che mi ha commosso”, ha detto visibilmente scosso.
Infine, ha voluto separare il caso di
Alan Gross
dalla Causa dei Cinque, ha chiesto valore e sensatezza
all’amministrazione degli Stati Uniti per sedersi a
trattare i suoi rapporti con Cuba, e di spiegare il
trattamento dei mezzi di diffusione nordamericani del
caso, dal 1998.
Renè Gonzalez ha salutato i presenti con la lettura
della lettera che gli ha inviato
Gerardo Hernandez
Nordelo e che è stata pubblicata ieri sera su
Cubadebate. |
“Il
mio impegno con questo popolo è l’unica risposta possibile
alla solidarietà, all’affetto e all’appoggio di 11 milioni
di cubani”, ha detto ieri in una conferenza stampa René
González, uno dei Cinque Eroi ingiustamente condannati negli
Stati Uniti per aver combattuto il terrorismo.
Accompagnato dalla sua famiglia, René ha affermato che si
sente un patriota cubano identificato con la nostra lotta e
il nostro progetto. La sua priorità, ha assicurato, è
incorporarsi alla campagna per il ritorno dei suoi quattro
fratelli.
“Sino a quando non staranno qui, continueremo a lottare”, ha
riferito. “Loro resisteranno e non si piegheranno”.
Per il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha detto
solo una parola: “Coraggio!” Questa è la sola cosa che
necessita per fare giustizia”.
A proposito della campagna mondiale per la liberazione dei
combattenti ancora reclusi, ha precisato che quello che
manca è giungere alla società nordamericana.
“Il popolo di questo paese, ha aggiunto, deve sapere che il
governo degli USA ci ha messo in carcere per difendere ‘i
suoi terroristi’. Deve sapere che una giudice mi ha detto
che il terrorismo è un male, ma che non avevamo il diritto
di combatterlo là”.
Sulla sua dura tappa di reclusione ha raccontato che le
migliaia di lettere che riceveva sono state un grande aiuto
ed ha lamentato di non aver potuto rispondere una per una.
Inoltre lo hanno aiutato nella convivenza interna la dignità
e lo status che dà lottare per le cose giuste.
“Queste prove le affrontiamo con le risorse di ognuno: io
facendo ginnastica e leggendo; Tony comunicando tutto il
tempo; Ramón con il suo sport; Fernando studiando e Gerardo
con quel suo umorismo che lo innalza da qualsiasi tragedia”.
René ha condiviso le sue impressioni sulla Cuba che incontra
oggi ed ha ricordato che durante la sua visita dell’anno
scorso aveva scherzato con alcuni ragazzi del Cotorro, un
quartiere del L’Avana e aveva detto loro che: “Le strade
hanno più buchi, ma la gente ha la stessa essenza e questo
mi rallegra”, ha aggiunto.
Un giornalista gli ha chiesto notizie di suo nipote Ignacio
René, il figlio di Irmita: “Giocatore di baseball o pilota?”
e René ha risposto subito: “Se è per me pilota, perchè io
nel baseball sono una frana...
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