All’alba del giorno 12 settembre del 1998 il FBI (Ufficio Federale d’Investigazione) informò Ileana Ross-Lehtinen e Lincoln Díaz Balart, due leader della mafia reazionaria e terrorista di Miami che erano appena stati arrestate cinque supposte “spie” lì residenti. La delegazione del Congresso della Florida è composta da 25 individui, ma nessun altro dei componenti ricevette la notizia anticipata. Il FBI in quel momento non conosceva ancora l’identità di tre dei detenuti e gli altri due avevano cittadinanza statunitense. I legislatori menzionati non occupano posizioni nel Congresso che abbiano relazione con la sicurezza e il controspionaggio: perchè vennero privilegiati? Perchè vennero messi al corrente di un’investigazione ancora segreta?
Le accuse formali sarebbero state pronunciate solamente quattro giorni dopo, ma sin dal primo istante era già chiaro che si trattava di un’operazione di carattere politico – repressivo, la cui finalità era solamente favorire il settore più aggressivo e violento formato da coloro che hanno convertito la Florida nella base principale della guerra contro Cuba. I gruppuscoli controrivoluzionari, politici e funzionari strettamente vincolati a tutto questo, scatenarono immediatamente una frenetica e isterica campagna per stigmatizzare i cinque giovani arrestati. Lì dove quasi tutti i mezzi di comunicazione e di stampa vengono controllati dalla mafia e operano sotto minacce costanti, non ci fu un giorno nel quale non venne pubblicato almeno un articolo o una nota informativa, con dichiarazioni di funzionari ufficiali, per calunniare e denigrare i cinque, presentandoli come pericolosi nemici della società.
Si nascondeva la vera ragione di quegli ingiusti arresti. Non è mai stata pubblicata nemmeno una parola sulla limpida e nobile esistenza di tutti loro, sia a Cuba che negli Stati Uniti, come studenti, lavoratori, padri di famiglia o cittadini; la loro vita esemplare si è svolta sviluppando il generoso e ammirabile sacrificio per salvare la Patria e il popolo di Cuba. Non è mai stata scritta una parola nemmeno su tutto ciò che accadde dopo la mattina di quel 12 settembre, sulle brutali condizioni alle quali vennero sottoposti in uno dei peggiori regimi carcerari che l’uomo ha mai immaginato.
Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Fernando González, Antonio Guerrero e René González sono vittime di un’abominevole ingiustizia e di un trattamento crudele e degradante che oltraggia brutalmente i diritti umani e che è prova irrefutabile dell’arbitrarietà e dell’illegittimità dei processi ai quali vennero sottoposti.
Dal giorno dell’arresto sino al 3 febbraio 2000, per 17 mesi, sono rimasti in totale isolamento, senza vedersi tra di loro e senza vedere altri prigionieri. Sono rimasti tutto il tempo isolati, nel “buco”: questa parola cerca di spiegare l’infame trattamento che in questo paese viene riservato a una parte dei detenuti. Il lavoro dei loro avvocati fu tenace per riuscire ad ottenere che perlomeno ottenessero un trattamento carcerario “normale”. Il fatto di aver ottenuto questo non cancella però le ingiustificabili atrocità commesse sui cinque giovani uomini, violando gli stessi regolamenti statunitensi che ammettono l’isolamento solo come castigo per infrazioni commesse nelle prigioni. Il limite massimo sono 60 giorni per i casi più gravi, come l’omicidio. Ovviamente prima di entrare in prigione non avevano trasgredito nessuna norma carceraria e non avevano mai ucciso nessuno...
Senza dubbio però per loro l’isolamento - vale la pena ripeterlo - durò nientemeno che 17 mesi. Durante quel lungo periodo non riuscirono a mantenere una relazione costante con i loro avvocati e non poterono preparare la propria difesa con le garanzie necessarie e minime per il processo.
Se a Miami esistesse qualcosa di simile alla giustizia, solo per questo fatto il Tribunale avrebbe dovuto metterli in libertà e obbligare il Governo a compiere le pertinenti riparazioni. Ma a Miami - per tutto quello che riguarda Cuba - non esiste nulla che, nemmeno di lontano, rassomigli alla giustizia.
Va segnalato l’encomiabile operato realizzato dalla difesa, nonostante tutte le difficoltà. I cinque accusati non avevano avvocati propri e nemmeno le risorse finanziarie sufficienti per assumerli: hanno avuto difensori pubblici, di ufficio, con i quali non avevano relazioni. Questi avvocati, quando li conobbero, seppero apprezzare l’onestà delle loro motivazioni, la nobiltà e l’eroismo della loro condotta e nonostante le profonde differenze ideologiche che li separavano - e che segnarono sicuramente il processo – si convinsero dell’assoluta innocenza dei loro difesi. Questa convinzione si riflesse nell’impegno personale posto, assieme a una grande qualità professionale nella difesa.
Mentre i cinque eroi resistevano isolati e nell’ombra i loro vigliacchi nemici occupavano giorno e notte le televisioni, i microfoni, le rotative, per sputare su di loro, per minacciare le loro famiglie e i loro amici e... anche per amministrare la “giustizia nello stile di Miami”. Fu così che si lessero nei libelli stampati in questa città i dettagli sul cosiddetto processo giudiziario, includendo nuove accuse che il Pubblico Ministero avrebbe formulato solo parecchi mesi dopo. In questo modo, per esempio, si conobbe la più assurda, aberrante e falsa tra le accuse: la “cospirazione per assassinio” presentata per la prima volta nel maggio del 1999, quando i prigionieri erano isolati in carcere da otto mesi. Dopo una vergognosa operazione di stampa della mafia e una serie di riunioni pubbliche e private tra giudici e mafiosi vennero esposti apertamente i piani per formulare le nuove false accuse.
Era impensabile realizzare un processo che potesse avare uno svolgimento legale normale. Che era impossibile lo si era constatato pienamente anche prima della selezione della giuria; le reiterate richieste dei difensori per trasferire in un’altra città il processo vennero respinte da Joan Lenard, la Sig. Giudice federale di Miami alla quale venne assegnato il caso.
Parallelamente avvenne qualcosa che ebbe molta notorietà nella stampa internazionale: preoccupati dalle minacce di azioni violente che si annunciavano senza mezzi termini, i giurati del premio Granmi Latino decisero di trasferire la manifestazione a Los Angeles e non più a Miami, dove non è possibile nemmeno selezionate i migliori artisti cubani che si esibiscono nei concerti, senza che costoro corrano gravi rischi. Come si poteva pensare di svolgere un processo limpido e imparziale in questa città, giudicando persone oggetto della più feroce campagna denigratoria, presentati come pericolosi “Agenti della Rivoluzione cubana?”
Joan Lenard non diede motivazioni: il processo si sarebbe svolto a Miami e in nessun altro luogo... però disse alla stampa qualcosa che poteva far intendere la sua cocciutaggine: “Questo processo sarà più interessante di qualsiasi programma televisivo!” annunciò dotta e severa il 16 marzo 2000. La televisione locale sicuramente era imprescindibile per “capire” il processo. Gli avvocati della difesa non vennero rinchiusi nel “buco” come i loro difesi e a differenza di quelli potevano leggere i giornali o ascoltare la radio, ma va rilevato però che era con questi mezzi che la difesa poteva conoscere le notizie sui passi che avrebbe compiuto l’accusa... così giungevano “le comunicazioni ufficiali” e le prove che dichiarava di possedere, i carichi da imputare e persino le mozioni che dovevano presentare nell’ostinato sforzo di introdurre un’ombra di legalità nel bel mezzo dell’arbitrarietà e la frode. Come se tutto ciò fosse poco nelle sessioni in tribunale vennero dimostrate diverse violazioni nei procedimenti che viziavano un processo illegittimo e nullo sin dalla sua origine.
Gli avvocati difensori non ebbero accesso alla totalità delle “evidenze” che portava l’accusa, che vennero amministrate esclusivamente dal Pubblico Ministero, che in diverse occasioni, nonostante le forti proteste, presentò improvvisamente centinaia di pagine di “nuove prove” o impedì l’esame completo delle documentazioni.
La difesa chiese inutilmente che venissero considerate prove i documenti ufficiali che erano fondamentali per il chiarimento delle imputazioni. Alcuni testimoni vennero apertamente minacciati dall’accusa e dalla stessa Sig. Giudice Lenard nell’aula del tribunale. Ella minacciò di accusarli se rivelavano alcune informazioni, il tribunale consegnò ai portavoce della controrivoluzione più di 1400 pagine di documenti selezionati dalle autorità che, manipolate volgarmente dalla stampa locale, alimentarono la loro incessante e vergognosa propaganda per demonizzare gli accusati. I mezzi di comunicazione e i terroristi di Miami organizzarono manifestazioni pubbliche per esercitare pressioni sui giurati e sulla stessa giudice Lenard. La mafia si preoccupò vivamente per il risultato di questo processo. Cosciente dall’assoluta falsità di tutte le accuse temeva che il verdetto sarebbe stato sfavorevole ai propositi dei controrivoluzionari... la mafia era allarmata soprattutto dall’operato degli avvocati difensori che davano mostra di capacità e di elevata professionalità. I difensori stavano smascherando le sporche manovre dei fiscali e stavano collocando la mafia sul banco degli accusati.
Le prove, gli argomenti presentati dalla difesa furono schiaccianti e dimostrarono che le attività terroristiche contro Cuba si realizzavano da Miami e la tolleranza complice dell’autorità rendeva necessaria e indispensabile una difesa da parte del popolo cubano che poteva contare sullo sforzo eroico di uomini come quei cinque accusati.
Venne messo in chiaro che gli accusati non avevano cercato informazioni che potessero danneggiare il contro spionaggio statunitense, che non avevano mai provocato danni di sorta.
Ufficiali dello stesso FBI e del Comando Sud testimoniarono in questo senso, come altri capi militari che avevano svolto importanti responsabilità nelle forze armate degli Stati Uniti, come il Generale Charles Wilhelm, ex comandante in capo del Comando Sury; Edward Atkinson, ex vice capo di stato maggiore dell’esercito per il controspionaggio; l’ammiraglio Eugene Carrol, ex vice capo delle operazioni navali; il colonnello George Buckner del comando per il sistema di difesa aerea del nord - America e persino il Generale James Clapper, ex direttore della DIA, l’agenzia di controspionaggio del Pentagono parlò durante il processo come esperto per l’accusa e riconobbe che gli accusati non avevano compiuto atti di spionaggio contro gli Stati Uniti. Dopo cinque mesi di battaglia verbale in condizioni molto difficili e ostili, nella sala del tribunale l’innocenza di Gerardo, Ramón, René, Fernando e Antonio era molto evidente, com’era evidente la colpevolezza di chi li accusava.
Gli accusati non avevano mai esercitato attività di spionaggio, non avevano mai cercato o ottenuto informazioni relazionate con la sicurezza, la difesa o altro interesse degli Stati Uniti. Non avevano mai causato danni a quel paese o ai suoi cittadini. Non venne presentata alcuna prova contro di loro. Non apparvero testimoni che potessero sostenere le accuse. Il loro lavoro si era concentrato solamente ed esclusivamente nel tentativo di infiltrarsi nei gruppi terroristi, informando le autorità cubane dei piani aggressivi che si organizzavano. Non lo hanno mai negato. Nel processo venne provato in maniera dettagliata che dalla Florida si organizzano molte azioni terroristiche contro Cuba e che le autorità degli Stati Uniti non fanno nulla per contrastarle. Cuba è obbligata a difendersi di fronte ad attività che, come è stato dimostrato, hanno provocato perdite di vite e gravi danni anche alla popolazione degli Stati Uniti.
L’accusa più grave formulata contro Gerardo Hernández: “cospirazione per assassinare” relativa all’incidente del 24 febbraio del 1996 è un’infamia colossale e una inaudita scemenza. Sono anche troppi i precedenti di violazioni ripetute del territorio aereo cubano da parte di piccoli aerei che partono da Miami e che hanno perpetrato numerosi crimini da quaranta anni, includendo attacchi armati, sabotaggi, lanci di sostanze chimiche e batteriologiche. Tutto ciò venne ampiamente dimostrato durante il processo. Prima di quel 24 febbraio Cuba aveva avvertito che non avrebbe mai più tollerato incursioni illegali sopra il suo territorio. L’azione difensiva cubana davanti a coloro che ancora una volta violarono i confini dello spazio aereo, esattamente davanti alla capitale dell’Isola, erano in completo accordo con i diritti internazionali.
Indipendentemente da tutti i fatti anteriori Gerardo non aveva nulla a che spartire con la decisione presa dalle forze aeree cubane, non partecipò in nessuna forma a quanto accade quel giorno. Accusarlo di omicidio di primo grado e imporre un secondo ergastolo è il colmo dell’infamia e della stupidità! Mai prima era stato condannato qualcuno così, senza testimoni, senza una sola prova, senza nemmeno allegare un’evidenza circostanziale.
La mafia terrorista e disperata riconobbe pubblicamente la sua sconfitta ma intensificò la sua virulenta e stridente campagna per intimidire il tribunale, mentre si avvicinava il termine del processo. In quell’ambiente la giuria pronunciò il verdetto.
Dopo aver annunciato con una rara precisione il giorno e il minuto esatto nel quale sarebbe stato pronunciato il verdetto, con incredibile rapidità, in poche ore, senza una domanda o un chiarimento, senza dubbi di sorta, il verdetto fu unanime i cinque vennero dichiarati colpevoli per tutti e per ognuno dei carichi pendenti.
Si deve aprire una parentesi rispetto alla giuria. Dal momento del processo di selezione degli integranti la giuria subì le pressioni e le manovre che formano quell’ambiente di degrado presente in una città carente di legalità. Nemmeno i portavoce della controrivoluzione cercano di nasconderlo. Il 2 dicembre del 2000, per esempio, il Nuevo Herald, in un articolo intitolato “La paura di fare il giurato nel processo alle spie”, affermava: “La paura di una reazione violenta da parte del detto esilio cubano se un giurato decide di assolvere i cinque uomini accusati di essere spie per il regime dell’Isola, ha portato molti potenziali giurati a chiedere alla Sig. Lenard di esimerli dal dovere civico.” Si citava uno di questi cittadini che aveva dichiarato: ”Si! Ho paura per la mia sicurezza se il verdetto non piace alla comunità dei cubani americani...”
La paura non era infondata e i membri della giuria vivevano in una comunità che aveva vissuto poco tempo prima mesi di violenza e di disordini per colpa del gruppo di delinquenti che aveva sequestrato pubblicamente Elián González, un bambino di sei anni, sfidando con le armi le autorità federali, pestando sotto i piedi la bandiera degli Stati Uniti, distruggendo proprietà, portando il caos nelle strade, minacciando di bruciare la città... e nessuno era stato arrestato o portato in un tribunale. Si sapeva degli attacchi fisici e verbali, dalle minacce alle esplosioni di bombe contro coloro che avevano osato opinare in maniera differente da quelli che controllano il detto esilio. Tutto quello avvenne alla luce del sole, davanti alla telecamere del mondo intero. Quali cose potevano fare privatamente per ricattare e sottomettere una dozzina di persone terrorizzate?
La festa dopo il verdetto cominciò nella stessa sala del tribunale: baci, abbracci tra giudici e mafiosi, tutti insieme con gli ufficiali del FBI, terroristi, andarono nei bar e nelle cantine, nei locali delle organizzazioni controrivoluzionarie, inondarono le emittenti coi loro comunicati e, sempre tutti insieme, con le loro vergognose dichiarazioni e minacce contro tutti quelli che a Miami si oppongono alle loro ignobile posizione contro Cuba. Lo steso capo locale del FBI ricevette un omaggio pubblico da parte delle emittenti della “radio cubana” che ogni giorno invita apertamente ad atti di guerra e di terrorismo, in un perfetto coro con i più noti criminali.
Dal 26 giugno sino al 13 di agosto i cinque vennero nuovamente rinchiusi nel buco Non avevano commesso atti riprovevoli di sorta, nulla giustificava quella nuova violazione ai loro diritti e alla norme carcerarie: era solo un atto di stupida vendetta per castigare la loro fermezza, ma era anche una forma di tortura con il deliberato proposito di sfinirli e di impedire loro di prepararsi per affrontare l’ultima fase, quella finale del processo, la dichiarazione dei verdetti. I 17 mesi di isolamento iniziale dovevano rendere impossibile l’organizzazione della difesa; i 48 giorni di nuovo isolamento volevano impedire che i cinque si preparassero adeguatamente per la sola opportunità che avrebbero avuto di parlare direttamente in tribunale, davanti alla giuria.
Per questo, quando dopo molti e insistenti reclami degli avvocati della difesa, vennero riportati in celle regolamentari le autorità non permisero loro di avere comunicazioni telefoniche, ritirarono quasi tutto ciò che loro apparteneva e i cinque ebbero solamente a disposizione una matita per scrivere. Cercarono di rendere loro impossibile la difesa e non volevano che venissero denunciati i crimini che si stavano commettendo contro quei cinque uomini. Originalmente la Giudice Lenard voleva sentenziare nel mese di settembre, ma avvenne il terribili attacco alle torri gemelle il giorno 11 e forse il suo fiuto la convinse ad allontanare da quella data quell’omaggio che persino lei, giudice residente a Miami avrebbe reso comunque ai veri terroristi. Si sentenziò in dicembre.
I cinque uomini vennero condannati alle pene più severe possibili, non vennero considerate le attenuanti possibili suggerite, ma vennero accolte tutte le aggravanti proposte dall’accusa; l’eco dell’odio e i pregiudizi contro Cuba che avevano avvelenato tutto il processo vennero espressi chiaramente nelle parole pronunciate e nelle pene imposte.
Gerardo Hernández: due condanne all’ergastolo più 15 anni.
Ramon Labañino: un ergastolo più 18 anni.
Fernando González: 19 anni
René González: 15 anni
Antonio Guerrero: un ergastolo più 10 anni.
Le loro voci però non riuscirono a spegnerle. Il lungo, brutale e profondamente ingiusto periodo di isolamento non li indebolì. Nemmeno la tortura, le pressioni psicologiche, l’assenza dei familiari e degli amici: nulla spezzò il loro spirito indomabile. Carenti dei mezzi più elementari per organizzare le idee e per ordinarle, scrivendole, furono capaci di alzarsi al di sopra di tutta quella spazzatura che cercava di schiacciarli e pronunciarono queste formidabili dichiarazioni, racchiuse in questo libro. I cinque giovani, assai lontani da quella filistea tradizione degli USA che offre questa opportunità finale agli accusati affinché possano elemosinare con il pentimento la clemenza dei giudici, denunciarono e smascherarono i loro accusatori, misero in luce tutte le falsità e l’arbitrarietà di un processo manipolato sin dal principio e riaffermarono la loro assoluta fedeltà alla Patria, al popolo cubani, ai loro ideali. Gerardo è stato inviato nella prigione di Lampoc in California; Ramón a Beaumont, in Texas; Fernando a Oxford in Wisconsin; René a Loreto, in Pennsylvania e Antonio a Florence, in Colorado. Se si guarda la mappa degli Stati Uniti si comprende che sono stati selezionati cinque punti molto lontani e dispersi nella geografia di quel paese, per evitare ogni possibile comunicazione tra di loro, per rendere molto difficili le comunicazioni con le famiglie che risiedono a Cuba e con i diplomatici cubani che stando alle norme internazionali possono visitarli, ma che devono anche obbedire a limitazioni precise per i loro movimenti. Queste prigioni sono di massima severità e vi si inviano le persone che hanno commesso i peggiori crimini.
Conoscendo la brutalità della quale sono capaci le autorità in luoghi come i centri federali di detenzione dove erano stati rinchiusi con altri detenuti in attesa di giudizio, è facile immaginare le crudeltà che devono sopportare nelle più dure prigioni degli USA. È particolarmente indignante e si deve denunciare con la massima energia il fatto che Washington, ignorando principi, norme e pratiche universalmente accettate, non riconosce lo status di prigionieri politici a questi cinque Eroi della Repubblica di Cuba.
La scandalosa perfidia delle autorità statunitensi in questo caso pone in luce la loro autentica attitudine davanti a fatti di terrorismo e la totale ipocrisia dimostrata dopo l’l1 di settembre.
I cinque eroici cubani sono stati castigati esattamente perchè, al prezzo delle loro vite, avevano lottato contro il terrorismo. Coloro che li hanno privati della libertà li umiliano e li denigrano proprio perché i cinque hanno avuto il coraggio di affrontare noti criminali, creati e ancora protetti dalle stesse autorità. Ogni ora che trascorrono prigionieri in quell’inferno è un insulto alla memoria di coloro che perdettero la vita quell’11 settembre, vittime del terrorismo. È anche un’offesa per tutti coloro che credono nella dignità, nella decenza umana. Il popolo cubano non smetterà di lottare un solo istante sino a che i cinque verranno liberati e potranno ritornare alle loro case, nella loro Patria. Per ottenere questo è indispensabile la solidarietà di uomini e donne di buona volontà di tutto il mondo. I cinque discorsi riuniti in questo libro daranno al lettore un’idea dell’abnegazione, della nobiltà d’animo e dell’idealismo di Gerardo, Antonio, Ramón, Fernando e René. Sono discorsi che supereranno la prova del tempo. Milioni e milioni di persone leggeranno tutto ciò con emozione e gratitudine. Al di sopra dei rilevanti meriti di forma e contenuto, indubbiamente presentano (e divengono così più ammirabili) i ricordi delle terribili circostanze nelle quali vennero concepiti. In questi discorsi si trova la parte migliore dell’uomo, di ogni essere umano.
Sono come un sole che nemmeno la nebbia più fitta può coprire.
Un sole che mai si spegnerà.