Cuba, la presidenza della

CELAC e l'Unione Europea

 

 

11.02.2013 - Mauricio Miguel, Traduzione di Marx21.it | da www.avante.pt
 

 

cuba bandiera braccioCuba rivoluzionaria e socialista ha assunto alla fine del mese di gennaio la presidenza pro-tempore della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC). E' un fatto di grande rilievo; è il riconoscimento a un popolo e un paese che, nel corso di 54 anni, affrontando fin dai primi momenti della rivoluzione le maggiori difficoltà e prove economiche, militari e politiche, ha dato “lezioni” di tenacia e solidarietà rivoluzionarie al mondo, ricevendone in cambio il rispetto, l'ammirazione e la solidarietà di milioni di esseri umani. Molto si è già scritto e molto si scriverà ancora su Cuba e sul suo inestimabile contributo alla lotta dei popoli, per salvare vite umane, per il sorriso e l'apertura degli orizzonti della conoscenza a milioni di esseri umani in America Latina, in Africa e in altre parti del mondo. La piccola isola dei Caraibi, con poco più di 11 milioni di abitanti, ha assunto la presidenza della maggiore organizzazione di integrazione dell'America Latina, con 33 paesi e un territorio che va dal Messico fino alla Patagonia argentina e cilena.

 

Fatto di grande rilievo e impossibile da ottenere senza tutte le lotte (di classe) che percorrono oggi il continente latinoamericano, senza le avanzate e anche i passi indietro in diversi paesi- tra gli altri, quelli provocati dai colpi di Stato in Paraguay e in Honduras –, senza il carattere antimperialista della sconfitta del progetto degli Stati Uniti di costituzione dell'Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA). La creazione dell'Alternativa Bolivariana delle Americhe (ALBA), creata, tra gli altri paesi, da Venezuela, Ecuador, Bolivia, Nicaragua e Cuba, con un carattere sovrano, solidale e di complementarietà degli interessi e bisogni di ogni paese e dei suoi popoli, ha segnato e segna – in maggiore o minor grado – i processi di integrazione che ne sono seguiti o che già esistevano nel continente. Sono lontani (1962) i tempi dell'espulsione di Cuba dall'Organizzazione degli Stati Americani (OSA), comandata dagli USA, con un pretesto che occorre ora ricordare: “l'adesione di qualsiasi membro dell'Organizzazione degli Stati Americani al marxismo-leninismo è incompatibile con il Sistema Interamericano e l'allineamento di un tale governo al blocco comunista rompe l'unità e la solidarietà dell'emisfero”. Sono lontani quei tempi, ma di essi si conserva il blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli USA a Cuba, con un impatto criminale sul suo popolo e sugli effetti positivi che la sua fine produrrebbe. Blocco che è stato condannato dalla CELAC e da molti paesi e organizzazioni, compresa l'Assemblea Generale dell'ONU.

La CELAC e la sua presidenza pro-tempore a Cuba rappresenta un pugno nello stomaco degli USA e di una Unione Europea al servizio dei grandi monopoli, arrogante, interventista e interprete politico della permanente campagna mediatica anti-cubana diretta a partire da Miami e Madrid. Ironia di un tempo nuovo, Cuba assume questa presidenza subito dopo il Vertice UE-CELAC. Questo evento si confronta con una UE che mantiene un'inammissibile “Posizione Comune” (1996) su Cuba, con l'obiettivo di “incentivare il processo di transizione” politica e cercando di negare il diritto inalienabile di Cuba alla propria autodeterminazione e indipendenza e la scelta di modello economico, politico, sociale e culturale che il suo popolo ritenga adeguato ai suoi interessi e aspirazioni. Il mantenimento della “Posizione Comune” discrimina un paese e tutta la regione dell'America Latina e dei Caraibi, che a questo paese ha attribuito la responsabilità di presiedere la più grande organizzazione di integrazione della regione. Angela Merkel, Durão Barroso, Rajoy (Spagna) e compagnia sono andati al Vertice UE-CELAC con il cappello in mano, chiedendo investimenti dell'America Latina nell'UE e “sicurezza giuridica per gli investimenti” del grande capitale dell'UE in questa regione – dopo le decisioni sovrane di vari paesi di nazionalizzare o rinazionalizzare diverse imprese. Se ne sono andati con la coda tra le gambe, con l'affermazione – richiesta dai paesi di ALBA – del “diritto sovrano degli Stati a regolare la loro economia”.

Gli sviluppi in America Latina sono contrassegnati da intense lotte di classe, con tutte le contraddizioni che ne derivano e a cui non sfugge la stessa CELAC (che comprende governi rivoluzionari e progressisti ma anche i governi reazionari di Colombia, Cile e Messico). La reazione manovra in un quadro di nuovi rapporti di forza. L'Alleanza del Pacifico, che è composta da Messico, Colombia, Perù e Cile, intende proporre nel 2013 un accordo che mira alla “libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone”.

Le contraddizioni e le difficoltà sono caratteristiche dello sviluppo della lotta di classe.

 

 

CELAC: Cuba dove va...

 

e gli USA anche

 

 

30.01.2013 - Iroel Sanchez Pubblicato in CubAhora

 

 

Nel novembre 2009 - alla vigilia di compiersi i 200 anni dell'inizio delle lotte per l'indipendenza dell'America Latina - Babelia il supplemento letterario del quotidiano spagnolo El Pais, ha selezionato 109 personalità per chiedere loro i dieci personaggi che hanno segnato la storia contemporanea della regione. Il risultato non deve essere piaciuto molto agli intervistatori e di esso si é parlato molto poco: Simon Bolivar, Fidel Castro, Ernesto Che Guevara e José Martí capeggiavano la lista; mostrando la profonda influenza che gli ideali della Rivoluzione cubana ha lasciato nella coscienza latino americana.


Se quanto rivelato da questa indagine si fosse divulgato meglio, non avrebbero fatto tanto lavoro alcuni analisti per comprendere quello che è appena successo, questa settimana, al I Vertice della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi
(CELAC) celebrata a Santiago del Cile, dove si é consegnata a Cuba la presidenza della nascente organizzazione che per la prima volta riunisce le nazioni della regione, senza la presenza degli Stati Uniti e del Canada.


L'autorità di Cuba non viene da suo potere economico -limitata dal
blocco che gli Stati Uniti gli impone e l'America latina condanna - deriva dalla sua capacità politica che le permette di accogliere i negoziati per la Pace in Colombia, dalla sua etica solidaria che ha regalato decine di migliaia di medici alle popolazioni più umili del subcontinente, di collocare l'essere umano al centro di ogni decisione. Ma è la sua vocazione all'indipendenza di fronte all'aggressione degli Stati Uniti quella che segna la sua designazione a capo della CELAC.


Colpi di stato riusciti e non riusciti, decine di migliaia di scomparsi e torturati dovuti ad operazioni come il
Piano Condor, interventi militari in America Centrale e nei Caraibi, miliardi e miliardi di dollari spesi in "aiuti militari", fiumi di inchiostro e innumerevoli ore di trasmissioni radio e tv dedicate a demonizzare Cuba non hanno potuto evitare che la storia incominci a mettere le cose a loro posto: l'isola dei Caraibi a capo dell'America Latina e gli Stati Uniti fuori dalle decisioni prese dalla regione che ha sempre considerato il suo cortile di casa.


Sebbene le regole della diplomazia impediscano dirlo, tutta l'unità è "in opposizione a", e in questo caso è molto chiaro di chi si tratta.

 

"Gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piagare l'America di miserie in nome della libertà" scrisse Simon Bolivar; Jose Marti dichiarò come suo dovere, poco prima di morire in combattimento, "impedire per tempo che con l'indipendenza di Cuba si estendessero per le Antille gli Stati Uniti e cadano, con questa forza supplementare, sulle nostre terre d'America". Nessuno ha fatto più della Rivoluzione  martiana di Fidel Castro, Ernesto Che Guevara e Raul Castro per adempiere a tale mandato.


Le idee sogliono essere più avanti della realtà. Così rivela quell'indagine ignorata dalla politica estera degli Stati Uniti e dai mass media che fungono da cassa di risonanza. Ma, non c'è dubbio: è arrivato il momento che i progetti di Bolivar, Fidel, il Che e Marti, comincino a mettere radici nella nostra America.

 

 

CELAC: Cuba donde va… y EE.UU. también

Iroel Sánchez

En noviembre de 2009 -vísperas de cumplirse doscientos años del inicio de las luchas por la independencia de América Latina- el suplemento literario Babelia, del diario español El País, seleccionó a 109 personalidades para preguntarle por los diez personajes que han marcado la historia contemporánea de la región. El resultado no debe haber agradado mucho a los encuestadores y de él se habló bastante poco: Simón Bolívar, Fidel Castro, Ernesto Che Guevara y José Martí encabezaron la lista, evidenciando la profunda huella que el ideario de la Revolución cubana ha dejado en la conciencia latinoamericana.
Si lo revelado por aquella encuesta se hubiera divulgado mejor, no estarían pasando tanto trabajo algunos analistas para comprender lo que acaba de suceder esta semana en la Primera Cumbre de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC), celebrada en Santiago de Chile, donde se entregó a Cuba la presidencia de la naciente organización que por primera vez agrupa a las naciones de la región sin la presencia de Estados Unidos y Canadá.
La autoridad de Cuba no viene de su poderío económico -coartado por el bloqueo que EE.UU. le impone y Latinoamérica condena-, procede de su capacidad política que la hace acoger las negociaciones de Paz en Colombia, de su ética solidaria que le ha regalado decenas de miles de médicos a las poblaciones más humildes del subcontinente, de colocar al ser humano en el centro de cualquier decisión. Pero es su vocación de independencia frente a la agresión norteamericana la que marca su designación al frente de CELAC.
Golpes de estado exitosos y fracasados, decenas de miles de desaparecidos y torturados por acciones como el Plan Cóndor, intervenciones militares en Centroamérica y el Caribe, miles y miles de millones de dólares gastados en “ayuda militar”, ríos de tinta e innumerables horas de radio y televisión dedicadas a demonizar a Cuba no han podido evitar que la historia comience a colocar las cosas en su lugar: la isla caribeña a la cabeza de América Latina y Estados Unidos fuera de las decisiones que toma la región a la que siempre ha considerado su patio trasero.
Aunque las reglas de la diplomacia impidan decirlo, toda unidad es “en oposición a”, y en este caso está muy claro de quién se trata. ”Los Estados Unidos parecen destinados por la Providencia a plagar la América de miserias en nombre de la libertad”, escribió Simón Bolívar; José Martí declaró como su deber, poco antes de morir en combate, “impedir a tiempo con la independencia de Cuba que se extiendan por las Antillas los Estados Unidos y caigan, con esa fuerza más, sobre nuestras tierras de América”. Nadie ha hecho más que la Revolución martiana de Fidel Castro, Ernesto Che Guevara y Raúl Castro por cumplir con ese mandato.
Las ideas suelen adelantarse a la realidad. Así lo reveló aquella encuesta ignorada por la política exterior de EE.UU. y los grandes medios de comunicación que le sirven de caja de resonancia. Pero, no caben dudas: llegó el tiempo en que los proyectos de Bolívar, Fidel, el Che y Martí, comienzan a echar raíces en la América nuestra. (publicado en CubAhora)