“Liberateli, mandateli a casa o portateli di fronte alla giustizia”, è il grido d’allarme di 150.000 firmatari di una petizione per Barack Obama, perchè ponga fine al calvario di più della metà dei detenuti nella Base Militare statunitense di Guantanamo, reclusi da più di dodici anni e senza un processo.
Dietro i muri di questa prigione militare nell’Isola di Cuba questi uomini condannati ad una reclusione a tempo illimitato, senza processo, tentano di richiamare l’attenzione sulla loro situazione attraverso uno sciopero della fame senza precedenti, che oggi lunedì 6 maggio, è entrato nel suo quarto mese.
“Ho perso ogni speranza”, assicura l’afgano Obaidula, la cui testimonianza è stata resa pubblica venerdì 4 maggio. “Sono detenuto a Guantánamo da circa undici anni e continuo a non conoscere il mio destino”.
Lo sciopero della fame è praticato da 100 dei 166 reclusi ,dicono le autorità della prigione. Ventitrè sono alimentati con sonde naso- gastriche e tre sono ricoverati, anche se non sono in pericolo di morte, ha detto il tenente colonnello Samuel House, portavoce della prigione.
Gli avvocati affermano che 130 prigionieri continuano il digiuno – in parte dal 6 febbraio- e non è necessario fare calcoli per constatare che i detenuti che giocano con la morte non sono combattenti nemici, nè sospettati di terrorismo e nemmeno militanti di espressioni che intimoriscono, stima la rivista New Yorker in un suo editoriale.
“Ottantasei dei 166 detenuti hanno ricevuto ‘un’approvazione’ dalle autorità nordamericane per il trasferimento, alcuni cinque anni fa, e questo indica che il 52% dei reclusi è qualificato per la liberazione”, ha dichiarato alla AFP Clive Stafford Smith, avvocato di quindici prigionieri.