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GERALDINA COLOTTI Le Monde diplomatique il manifesto
La Censura d'Internet
Coloro che sfamano le loro famiglie grazie al salario che
ricevono da parte del governo degli Stati Uniti non hanno altra
scelta che diffamare o travisare le situazioni quotidiane che si
verificano sulla più grande isola delle Antille, Cuba.
Come se il mondo di oggi non avesse problemi inimmaginabili e
persino dentro gli Stati Uniti dove la vita non vale niente,
insistono nel tentativo di fare di Cuba il centro di tutti i
mali, una situazione che non è stata raggiunta nonostante le
migliaia di
milioni di dollari spesi, per le campagne sovversive, da mezzo
secolo.
SU
questa stessa linea tentano di far credere, a molti, che a Cuba
si censura l'accesso a Internet e omettono da che parte è
davvero il divieto.
In primo luogo
per accedere alla rete delle reti si richiede un computer: gli
USA impediscono, a Cuba, di acquistarli sul suo mercato e anche
di riceverli, di seconda mano, come donazioni.
Le immagini dei Pastori per la Pace, ONG solidaria con il popolo
cubano, parlano da sé. Alla
frontiera USA con il Messico e il Canada gli spettacoli sono
deprimenti, quando il personale della dogana sequestra le casse
con computer usati, con destinazione Cuba. Ciò non è
parte della censura yankee?
Oltre al già noto spionaggio condotto dalle agenzie federali di
intelligence attraverso Internet, il governo degli Stati Uniti
esige dai provider e amministratori delle reti, di vietare
l'accesso a molti siti se la richiesta proviene da Cuba.
Lo stesso vale per l'uso di satelliti nord americani, non si
chiama ciò censura?
E' pubblico e noto l'agire sovversivo del governo degli Stati
Uniti contro la rivoluzione cubana, migliaia di documenti
ufficiali CIA ora declassificati lo confermano; la guerra
psicologica applicata giornalmente contro il popolo cubano è
tangibile e la creazione di siti digitali solo per Cuba lo
dimostra.
Se le cose stanno così non ha il governo cubano il diritto di
difendersi? non farlo sarebbe ingenuo.
Le azioni intraprese contro l'Europa dell'Est, ed in particolare
contro la Polonia, cercano di replicarle a Cuba ma non si
rendono conto che la Rivoluzione cubana è autoctona e non
importata dai carri armati sovietici.
Per questo motivo, il governo cubano è riuscito a eludere la
censura degli Stati Uniti e ottenere l'accesso a Internet
tramite altri modi e li pone al servizio di milioni di utenti
mediante social network come INFOMED, CUBARTE, CITMATEL, ENET ed
altri ed ha recentemente ottenuto di espandere
l'accesso alla popolazione.
I servizi che Cuba fornisce deve pagarli in moneta convertibile
ai proprietari dei satelliti ed anche alle imprese che
gestiscono il recente cavo sottomarino.
Tuttavia, Cuba non ha paura che il suo popolo abbia accesso a
siti controrivoluzionari e che possa verificare le bugie e le
distorsioni della realtà quotidiana che fanno i salariati di
Miami e Washington.
Ecco perché si può visitare il portale di notizie sovversive
DIARIO DE CUBA, il sito ufficiale di Rosa Maria Paya Acevedo,
figlia del controrivoluzionario Oswaldo Paya, i giornali nord
americani e altri siti creati solo per diffamare la Rivoluzione.
Naturalmente tutti noi vogliamo un ingresso completo a Internet
e non dover soffrire la censura quando vogliamo cercare un'
informazione di interesse ed esce una scritta con l'avviso 'Non
è consentito l'accesso per Cuba!'
Per la maggior parte dei cubani Internet è un modo per conoscere
ed apprendere, utilizzata da professionisti, tecnici e studenti;
per una minoranza é entrare nei siti controrivoluzionari
che imbruttiscono e limitano lo sviluppo, la maggior parte di
coloro che lo fanno non lavorano né producono
per il popolo, questa è la differenza.
Il resto è parte della guerra psicologica intrapresa dagli Stati
Uniti contro la Rivoluzione, per mezzo della propaganda e altri
mezzi d'informazione per influenzare le loro idee, sentimenti,
opinioni e comportamenti, in modo che sostengano la politica e
gli obiettivi, che dal
1959, sono stati tracciati per riportarci al passato
capitalista, diretto dai suoi figliocci assassini come Fulgencio
Batista.
La Censura de Internet
Los que alimentan a su familia gracias al salario que reciben del
gobierno norteamericano, no les queda otro remedio que difamar o
tergiversar las situaciones cotidianas que se dan en la isla mayor
de las antillas, Cuba.
Como si en el mundo de hoy no hubiesen problemas inimaginables e
incluso dentro de los Estados Unidos donde la vida no vale nada, se
empeñan en intentar hacer de Cuba el centro de todos los males,
situación que no han logrado a pesar de los miles de millones que se
gastan en campañas subversivas desde hace medio siglo.
En esta misma cuerda, se empeñan en hacerle creer a muchos que en
Cuba se censura el acceso a la Internet y omiten de qué lado está
realmente la prohibición.
En primer lugar para acceder a la red de redes se necesita de una
computadora, lo que Estados Unidos le impide comprar a Cuba en sus
mercados e incluso recibirlas de 2da mano como donaciones.
Las imágenes de los Pastores Por la Paz, ONG solidaria con el pueblo
cubano, hablan por sí misma. En la frontera norteamericana con
México y Canadá los espectáculos son deprimentes, cuando el personal
de la Aduana les quita las cajas con computadoras de uso, con
destino a Cuba. ¿Eso no es parte de la censura yanqui?
Además del ya conocido espionaje que llevan a cabo las agencias
federales de inteligencia a través de Internet, el gobierno
norteamericano le exige a los proveedores y administradores de las
redes, prohibir el acceso a muchos sitios, si la solicitud proviene
de Cuba.
Lo mismo sucede con el empleo de los satélites norteamericanos, ¿no
se llama eso censura?
Es público y notorio el accionar subversivo del gobierno
norteamericano contra la revolución cubana, miles de documentos
oficiales de la CIA ya desclasificados lo confirman; la guerra
sicológica aplicada diariamente contra el pueblo cubano es tangible
y la creación de sitios digitales solo para Cuba lo demuestra.
Si esto es así ¿no tiene derecho el gobierno cubano a defenderse?,
no hacerlo sería ingenuo. Las acciones aplicadas contra Europa del
Este y en especial contra Polonia la intentan replicar en Cuba, pero
no se dan cuenta que la revolución cubana es autóctona y no
importada por los tanques soviéticos.
Por tal motivo, el gobierno cubano ha logrado evadir la censura
norteamericana y lograr el acceso a Internet mediante otros caminos
y los pone al servicio de millones de usuarios, en redes sociales
como INFOMED, CUBARTE, CITMATEL, ENET y otros más, y recientemente
logró ampliar el acceso a la población.
Los servicios que Cuba presta debe pagarlos en divisas convertibles
a los dueños de los satélites e incluso a las empresas que
administran el recién cable submarino. No obstante, Cuba no teme a
que su pueblo tenga acceso a sitios contrarrevolucionarios y que
puedan comprobar las mentiras y distorsión de la realidad cotidiana
que hacen los asalariados de Miami y Washington.
Es por eso que si se puede visitar el portal de noticias subversivas
DIARIO DE CUBA, el sitio oficial de Rosa María Payá Acevedo, hija
del contrarrevolucionario Oswaldo Payá, los diarios norteamericanos
y otros sitios creados solo para difamar a la Revolución.
Por supuesto que todos queremos un ingreso pleno a Internet y no
tener que sufrir la censura cuando queremos buscar una información
de interés y sale un cartel con el aviso ¡No es permitido el acceso
para Cuba!
Para la mayoría de los cubanos, Internet es una vía para el
conocimiento y aprendizaje, empleada por profesionales, técnicos y
estudiantes; para los menos es entrar en sitios
contrarrevolucionarios que embrutecen y limitan el desarrollo, la
mayoría de los que lo hacen no trabajan ni producen para el pueblo,
esa es la diferencia.
Lo demás es parte de la guerra sicológica emprendida por los Estados
Unidos contra la Revolución, por medio de la propaganda y otros
medios de información para influir en sus concepciones, sentimientos,
opiniones y conductas, de manera que apoyen la política y los
objetivos que desde 1959 se han trazado para retrotraernos al pasado
capitalista, dirigido por sus ahijados asesinos como Fulgencio
Batista.
Cosa spinge la CIA a reclutare un noto intellettuale cubano, professore
universitario, scrittore e critico letterario?
I lettori che riusciranno a procurarsi il libro di
Raul Antonio Capote,
Enemigo, Editorial José Marti (editjosemarti@ceniai.inf.cu) lo
scopriranno dalla viva voce dell’autore. Gli altri dovranno attendere
che qualche editore interessato lo pubblichi
in
italiano: magari facendo il paio con un altro libro di Capote,
l’avvincente romanzo El adversario (Editorial Plaza Mayor, San Juan,
Portorico), che dà il nome al suo blog. Raul è un comunista, amante
della sua isola e della rivoluzione che il 26 luglio ha festeggiato le
sue origini, sessant’anni fa: l’assalto alla caserma del Moncada da
parte dell’M 26-7 e la cacciata del dittatore Fulgencio Batista.
Ha condiviso i tanti periodi difficili del suo paese sottoposto a un
feroce blocco economico da parte degli USA, che si rinnova di anno in
anno. E da qualche mese – ha denunciato il governo cubano – con
particolare virulenza. Come tutti gli artisti veri, Raul non ama
blindature e steccati e non rifugge le domande. Ha cominciato a scrivere
fin da giovanissimo (ora ha 52 anni), il suo è stato definito uno stile
«innovativo» della letteratura cubana. Per questo gli infaticabili
occhiuti dell’intelligence nordamericana hanno pensato che fosse un
potenziale «oppositore». Lo hanno contattato. E lui ha accettato... per
conto dei servizi segreti del suo paese.
Per loro era l’agente Daniel, per la CIA l’agente Pablo.
Un’infiltrazione durata molti anni, finché il governo cubano non ha
deciso di «bruciare» lui e altri compagni per far conoscere al mondo la
natura delle aggressioni che subisce dagli USA fin dai primi anni della
rivoluzione (1° gennaio del ’59). Un’attitudine che Cuba ha mantenuto
negli anni per rompere l’accerchiamento e contrastare le menzogne dei
grandi media. Capote ci ha raccontato la sua storia nel corso di un
recente viaggio in Italia, invitato dall’Associazione nazionale di
amicizia Italia-Cuba.
Com’è cominciata?
Stavo lavorando nella provincia cubana di Cienfuegos, che era in pieno
sviluppo industriale e artistico, frequentata da giovani ingegneri,
tecnici, intellettuali. Nonostante il bloqueo, ci eravamo ripresi dal
«periodo especial», seguito alla caduta dell’Unione sovietica con cui
avevamo scambi economici fondamentali. Nel ’96 mi hanno eletto
vicepresidente di un’associazione indipendente di giovani artisti, che
si chiama Hermanos Saiz, dal nome di un martire della rivoluzione. Avevo
già pubblicato con un certo successo alcuni libri: 2 di racconti, Para
divagar mientras llueve, e Juego de illuminaciones, e il romanzo El
caballero illustrado, molto ben accolto dal pubblico e dalla critica.
Nella sede dell’associazione passavano almeno 100 giovani ogni giorno,
studenti universitari, lavoratori, si faceva molto cinema e teatro. Fin
da quando avevo vent’anni ho visto arrivare a più riprese rappresentanti
di ONG dietro le quali c’era la
USAID,
l’Agenzia per lo sviluppo internazionale con sede a Washington. Una
volta venne un certo Denis, giornalista di Paris Match. Ci proponevano
di creare un movimento letterario con la promessa di contratti milionari
all’estero, a condizione che scrivessimo quel che volevano sulla realtà
di Cuba costruendo «nuove linee», ovvero la propaganda più grossolana
contro il nostro paese. Facevano leva sulla vanità, sulle difficoltà e
sull’irruenza giovanile. Li abbiamo
mandati via. Allora mi hanno offerto 10.000 dollari per influire sul
gruppo, promettendomi molto altro denaro. A quel punto la sicurezza
cubana mi chiama e mi chiede cosa voglio fare: denunciare quelle manovre
pubblicamente o lavorare per infiltrarmi nella Cia. Ho scelto la seconda
via. Per uno della mia generazione era il massimo dell’onore, il lavoro
della sicurezza cubana faceva parte del nostro immaginario eroico per la
resistenza allo scontro con gli USA. Io da bambino volevo seguire le
orme del Che, prepararmi alla guerriglia che non sono riuscito a fare.
Non sapevo però quanto sarebbe stato difficile.
E com’è andata, com’è stato l’addestramento?
Un processo lento e prudente perché alla CIA sono molto professionali e
basta poco per farsi scoprire. A volte passava anche un anno senza che
avessi un contatto, poi ne avevo uno quasi quotidiano. Ho accettato di
creare un’agenzia letteraria e una fondazione per la libertà per
influire sugli scrittori, come volevano. Per mia fortuna, non mi
chiedevano di mostrarmi diverso, né di frequentare gli «oppositori», di
cui peraltro non mostravano alcuna stima. Li consideravano inetti e
profittatori. A loro conveniva qualcuno che restasse all’interno,
conquistasse la fiducia di artisti e studenti, e costruisse «nuovi
leader» instillando veleno, magari offrendo profumate borse di studi in
qualche paese l’Europa o negli Usa a giovani preferibilmente mediocri e
manipolabili perché diffondessero menzogne all’estero. Io ero professore
in scienza dell’educazione. All’Avana ero diventato segretario del
sindacato dei lavoratori della cultura, quarantamila lavoratori,
grafici, artisti, tutto il mondo della cultura, per loro era molto
importante. Gli interessava vi fosse un gruppo di pensiero favorevole
alla Cia negli spazi informali, come La hora del trobador, che noi
usiamo molto. A fianco della sovversione armata, costruiscono quella
ideologica. Noi vogliamo costruire l’uomo nuovo, loro quello
capitalista. Portano la guerra sul terreno delle idee su cui pensano di
vincere nel mondo. Quando li scopriamo, cerchiamo di controllarli e
utilizzarli.
Che figure sono gli emissari CIA?
Con la sicurezza avevamo messo le cose in modo che fosse normale, in
quanto scrittore, accettare gli inviti pubblici dell’ambasciata
nordamericana e frequentare giornalisti stranieri. Uno dei miei contatti
è stato Anthony Boadle, ex capo dei corrispondenti della Reuters, poi
l’ufficiale di intelligence Mark Sullivan, altri meno assidui come una
studentessa universitaria o esponenti di ONG. La più capace mi è parsa
Kelly Keiderling, prima segretaria di stampa e cultura della SINA, la
sezione d’interesse degli USA all’Avana, un ruolo quasi sempre ricoperto
a agenti di intelligence. Proveniva da una famiglia di CIA. Ha creduto
di manipolarmi frequentando la mia famiglia, facendo regali ai miei
figli. Ci siamo frequentati molto.
E che effetto fa vivere a lungo su un doppio binario psicologico?
Ho conosciuto dei veri fascisti, altri che sembravano sinceri
democratici, uno ammirava persino il Che. Tutti, però, ferocemente
anticomunisti. Non sono abituato a tagliare le cose con l’accetta, penso
che l’essere umano possa cambiare e con alcuni di loro forse avrei
potuto avere buone relazioni in un altro contesto. Con altri decisamente
no, e dovevo pensare al mio paese. Il primo segretario
politico-economico della diplomazia all’Avana, James Benson, nell’aprile
2008 venne a casa mia per consegnarmi del materiale importante, noto
come Bgan, che permette la connessione a internet per via satellitare,
impossibile da intercettare. Come quello sequestrato alla spia
Alan Gross,
ancora nelle nostre mani. Per quella via dovevo trasmettere informazioni
cifrate sulla società cubana. Quello era l’apice del progetto Genesis,
che mi avevano dato da dirigere. Dovevo capire qual era il momento
adatto per preparare azioni concrete.
Altri attentati?
In questo caso «rivolte popolari» nel centro dell’Avana che, con
adeguata copertura mediatica, avrebbero dovuto motivare un intervento
esterno «in difesa della libertà». Nell’agosto del 2006, durante la
malattia di Fidel, credevano ci fossero le condizioni. Solo che il loro
valoroso «combattente per la libertà» che avrebbe dovuto dirigere la
protesta, Darsi Ferrer, ha preferito rifugiarsi in casa di un
diplomatico nordamericano il giorno prima. Una precedente delusione
l’hanno avuta quando hanno creato una simulazione di «elezioni
democratiche» facendo votare gli oppositori in cambio di pacchi e
regali. E mettendogli un timbro sulla mano per evitare che tornassero a
prenderli due volte. Solo che avevano messo sulle schede anche il
partito socialista e comunista, che sono risultati i più votati.
Ragionano per stereotipi, credono che Cuba sia chiusa e arretrata e che
non vi sia consenso, e regolarmente vengono respinti.
E così il governo ha deciso di «bruciarla».
Prima me lo hanno chiesto, la scelta è sempre volontaria. Con me sono
stati «bruciati» altri compagni infiltrati. Dopo è stato difficile
ritrovare gli amici che avevo dovuto allontanare, ma ho ricevuto una
grande solidarietà e gratitudine. Nel documentario Las razones de Cuba
abbiamo mostrato le prove raccolte circa i diversi piani di ingerenza e
sovversione. Oggi per loro è prioritario lavorare sul consenso.
Distribuiscono in modo clandestino le tv satellitari: programmate però
solo su alcuni canali che si vedono negli USA, i più tossici. Vogliono
costruire a Cuba una massa critica di giovani, magari anche
simpaticamente «indignados», ma convinti che la soluzione sia il
capitalismo e non il socialismo. Di fronte hanno però un paese che ha
potuto resistere per tutti questi anni, affrontare una guerra economica,
vivere senza niente e continuare a lavorare: perché crede nelle proprie
capacità e in quello che ha costruito.