Dopo più di otto anni di stabilità e progresso, specialmente i nostri giovani tendono a dimenticare quello che era il vecchio paese: un Ecuador senza progetto nazionale, immobilizzato dai gruppi fattuali con potere di veto, dalla supposta sinistra radicale e sempre violenta, fino alla destra bancaria, passando per supposti sindacati imprenditoriali.
Non importava chi vincesse le elezioni e quale programma fosse votato nelle urne. Di fronte al frazionamento del potere, “loro” decidevano che cosa era quello che si poteva fare o no.
Come si “processavano” questi conflitti? Con la consegna delle nostre scuole al MPD, dell’educazione bilingue a Pachakutik e Conaie, Banca Centrale e Sovrintendenza a certe grandi banche, permettendo ai mezzi di comunicazione la loro impunità ed i loro privilegi, con ministri imposti dalle camere di produzione. In definitiva, la ripartizione della Patria quale bottino tra pirati.
Così si generava un “status quo” che compiaceva tutti questi poteri fattuali, ma che riteneva il paese tra i più arretrati dell’America Latina. Questa perversa situazione è stata polverizzata dalla Rivoluzione Cittadina, irrompendo con un progetto nazionale con immenso appoggio popolare, e che i soliti chiamano “autoritarismo” e “concentrazione di poteri.”
Il cambiamento delle relazioni di potere in favore delle grandi maggioranze ed in detrimento di pochi ma poderosi gruppi è quello che meglio definisce la nostra Rivoluzione. Si tratta della trasformazione di uno stato apparente, che rappresenta solo gli interessi di certi settori, in un stato integrale, che rappresenta il bene comune, la ragione di essere dell’autorità politica.
Approfittando di un anno difficile e la restaurazione conservatrice a livello regionale e mondiale, queste forze sconfitte una ed un’altra volta nelle urne vogliono ricostituirsi. Sanno che non potranno governare perché sono assolutamente dissimili e frazionate, ma vogliono recuperare il loro potere di veto. Questa è la spiegazione delle ultime marce e “manifestazioni” di forza.
Stiamo davanti ad una sfida come è stato il 30S. Ora o mai più l’Ecuador deve fare un salto qualitativo verso una vera democrazia, verso un vero stato di diritto, dove nessun gruppo, per importante che si creda, possa imporre la sua agenda politica se non ha vinto nelle urne. Se si fallisce in questa prova, il paese tornerà ad essere ostaggio eterno dei gruppi che non propongono, che solo impongono.
L’amoralità di certi attori nega perfino la realtà. Le proteste sono state piene di violenza, e gravi delitti, compresi sequestri, torture e tentativi di assassinio. Oggi nuovamente tentano la “giustizia del tumulto”, cioè, con marce ed azioni di forza, per lasciare i gravi delitti commessi senza sanzione né responsabilità.
Se vogliamo proseguire come paese, nessuno può essere al di sopra della legge. Questa è una prova decisiva della forza delle istituzioni della Patria.
Questo è un governo forte, sapremo resistere, ma è un errore pensare che si tratta di nomi o persone. Il problema di fondo è da sempre il potere perso dai gruppi fattuali, che usino poncho od una cravatta elegante.
Il dilemma è o ritornare al vecchio paese del potere di veto, o continuare a governare in funzione del bene comune, sempre con l’opzione preferenziale per i più poveri.
di Rafael Correa
con informazioni di TeleSur
traduzione di Ida Garberi