Anche se la crisi degli anni ’90 del secolo scorso la conosciamo generalmente come Periodo Speciale, questo è il nome di un piano pre-concepito per affrontare le conseguenze di un’ aggressione.
Il 14 marzo del 2015 si sono compiuti esattamente 25 anni da quando un collega, già deceduto, , disse: “Questo si sta mettendo male. Dove credi che arriverà?“. Io mi limitai a guardarlo e di fronte alla sua insistenza, mi azzardai a dirgli: “Non so”, e cercai d’inghiottire il pranzo che ci servirono in un deformato vassoio d’alluminio. In quel 1990 fummo chissà i primi giornalisti della stampa scritta provinciale a ricevere segnali della profonda crisi che cominciava, perchè appena salutato il 1989, la nostra pubblicazione aveva smesso d’essere quotidiana e si stampava tre volte la settimana. Appena riorganizzati i contenuto nel limitato spazio, la pubblicazione divenne un settimanale con 8 pagine formato tabloide, ma nemmeno questo fu il limite minimo, perchè pochi giorni dopo contavamo su quattro pagine solamente.
Il numero dei veicoli cominciò a paralizzarsi e a diminuire, con scambi di pezzi e di parti per dare vitalità ad altri mezzi, sino a che il funzionamento fu ostacolato dalla mancanza di combustibile che lentamente si riduceva, come succedeva con quasi tutto, e pareva che ci fosse un ammortizzatore per rendere meno duri gli irrefrenabili cali.
Poi percepimmo che era in atto un processo generalizzato decrescente, impercettibile in alcuni casi e più notevole in altri, come chi cade lentamente senza incontrare nulla a cui aggrapparsi, ma che nemmeno va sbattere mortalmente contro il fondo, anche se in quella epoca alcuni preferivano dire che non avevamo sbattuto contro un duro finale perchè eravamo aggrappati ai bordi della parte inferiore del tunnel.
Forse fu nel 1993 o nel 1994. Stavamo correndo, Sacerio ed io, per giungere prima che la coda dei compratori crescesse. Fortunatamente riuscimmo a comprare diverse libbre di banane verdi. Quando mi lamentai che non c’era olio per friggere le banane il collega disse testualmente : “Niente è così cattivo da non poter essere peggiore. Non chiedere tanto strutto e accontentati di quello che hai con cui cucinare”.
In un altro dei tanti dialoghi, commentammo che la crisi non era al peggio, perchè gli effetti della rapida sparizione del campo socialista e dell’Unione Sovietica, sommati ai danni delle leggi degli Stati Uniti per indurire il blocco economico, commerciale e finanziario, erano stati smorzati perchè provvisoriamente era stata elaborata un’operazione denominata Periodo Speciale, concepita per resistere e vincere un’aggressione in condizione di paese assediato.
Quando quel piano adattato e chiamato Periodo Speciale in Tempo di Pace fu più che analizzato da noi due, ricordo che il collega disse: “Quello che stiamo passando è peggio di quello che avevano previsto per la guerra”. Sua moglie lavava i panni con un arbusto chiamato Magüey o con un sapone artigianale elaborato con grasso e chissà quali altre componenti capaci di maltrattare la pelle più resistente.
Nei bagagliai delle nostre auto non mancava la bicicletta, perchè dopo aver percorso lunghe distanze usavamo la bici nei tratti più corti. Collocavamo magnetizzatori alla benzina, con il proposito di percorrere più chilometri e di frequente cominciavamo la giornata sonnolenti e stanchi, perchè gli “apagones”, cioè la mancanza di elettricità impedivano l’uso dei ventilatori e facilitavano il volo del zanzare che ci pungevano e ci succhiavano il sangue.
“Voglio fotografare tutto quello che sta avvenendo, perchè altrimenti, quando terminerà lo dimenticheremo e quelli che nasceranno non ci crederanno”, disse un giorno un altro collega.
Non sappiamo se ha realizzato quell’obiettivo ma, valutando bene la sua idea, varrebbe la pena riflettere sull’attuale situazione e sulle sue trasformazioni nelle misura in cui il muro del blocco vada cadendo, un pezzetto dopo l’altro.